martedì 9 giugno 2020

Timeo Germanos et dona ferentes


Oggi sul Financial Times è comparso un articolo (“The minds behind Germany’s fiscal stance”), altamente elogiativo, in merito alla svolta “keynesiana” della politica economica tedesca.

Protagonista di questa svolta sarebbe Jorg Kukies, vice primo ministro delle finanze che, uscito da Goldman Sachs per entrare nel governo, avrebbe convinto il suo nuovo boss Olaf Scholz in merito alle virtù delle politiche attive di sostegno della domanda.

E non solo a livello nazionale, ma anche per quanto riguarda la UE nel suo complesso. Il progetto del Recovery Fund sarebbe stato, infatti, fortemente ispirato da questa “nuova visione”.

Leggendo fino in fondo l’articolo, l’illusione (di altro non si tratta) cade a pezzi.

Perché “greater fiscal integration… in his view… can only work if every member state plays by the rules. “The Stability and Growth Pact needs to be strengthened so that all member states create fiscal space in the good times””.

E’ tutto chiarissimo. I vari paesi, e in particolare quelli con alto debito pubblico (io ne conosco uno…) si devono, nella visione di Kukies, impegnare ancora più rigorosamente di prima al pareggio di bilancio.

Questo, in nome della necessità di creare “fiscal space”, concetto caro ai “keynesiani da salotto” ma privo di senso per paesi che emettono la propria moneta e che sono caratterizzati da bassi livelli d’inflazione.

Poi, via Recovery Fund, gli si concede qualche spicciolo per stare a malapena a galla (tipo il 2% di deficit che ha caratterizzato l’Italia, decimale più decimale meno, negli ultimi anni).

Somme chiaramente del tutto inadeguate a produrre una reale e consistente ripresa: una condanna pressoché eterna a un regime di pesantissima e cronica depressione dell’economia.

E per di più, lo scarso deficit che viene concesso è vincolato a decisioni di spesa prese altrove (cioè a Bruxelles).

Cari Kukies e Scholz, tenetevi il Recovery Fund e la svolta eurokeynesiana raccontatela a qualcuno che crede alla fata turchina.

Noi andiamo avanti con la Moneta Fiscale


6 commenti:

  1. Altro articolo ipocrita e per questo detestabile quello di oggi sul sole 24 ore, di Valerio de Molli, CEO di Ambrosetti, funzionario della classe dominante oppressiva e totalitaria globalista e liberista. Da leggere.

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  2. Un amico ,che ha ricoperto cariche di rilievo nel P.D.S. e nel PD, mi ha consigliato la lettura del libro "21 lezioni per il XXI secolo "di Yuval Noah Harari, dicendomi che l'autore è un liberale.In realtà, a mio avviso, tale autore appartiene forse alla " famiglia" liberale, ma è un liberista e non un liberale Crociano come me. Comunque egli, tra l'altro, pone una questione interessante:i liberali ( e non solo)hanno sempre apprezzato il progresso tecnologico, a differenza di chi, soprattutto all'inizio del secolo scorso, lo vedeva con sfavore sostenendo , ad esempio, che la meccanizzazione, in particolare in agricoltura, avrebbe determinato un aumento di disoccupazione.I liberali sostennero che era timore infondato perché le nuove macchine avrebbero avuto bisogno di lavoratori che le manovrassero. Ora il problema è più complesso perché le intelligenze artificiali(IA)iniziano a creare delle " macchine pensanti" che potranno essere autonomamente usate, senza alcun intervento umano. Ho pensato a ciò ieri, quando ad Albarella ho visto un attrezzo che tagliava l'erba in un giardino, senza che nessuno lo manovrasse: se tale sistema si estendesse e potenziasse i giardinieri potrebbero divenire inutili.Ovviamente l'esempio-un pò banale-potrebbe estendersi a molti altri settori, con lavoratori completamente " annullati" dalle IA.Quale è il pensiero liberale in proposito?Bloccare il progresso no, ma che fare contro il rischio di lavoratori " inutili"?Io ci penso, se qualcuno mi aiuta:::

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    1. I tagliaerba robotici possono anche rendere inutili i giardinieri, ma non creare disoccupazione di massa. L'aratro meccanico e il telaio automatico non anno eliminato il lavoro umano, l'hanno reindirizzato. Problemi di riallocazione possono essercene, ma la disoccupazione permanente e di massa non nasce dallo sviluppo tecnologico, ma dall'insufficiente circolazione di potere d'acquisto nell'ambito del sistema economico. E il vincolo è politico, non tecnico.

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    2. È la cd disoccupazione tecnologica. La risposta di come andrebbe gestita non piacerà ai liberali: lo Stato deve fare spesa pubblica per creare la domanda che serve per riassorbire la disoccupazione tecnologica o per sussidiare e formare i disoccupati in attesa di nuova occupazione

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    3. Quindi se non viene risolta non è disoccupazione tecnologica, è disoccupazione da carenza artificiale di potere d'acquisto.

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