venerdì 7 marzo 2014

Sette premi Nobel contro l’euro ?


Da alcuni mesi circolano articoli e commenti relativi a un ampio gruppo di premi Nobel che si sono espressi, alcuni di recente, altri in un passato ormai piuttosto remoto, in termini fortemente negativi nei confronti dell’unione monetaria europea. In ordine di attribuzione del premio:

Milton Friedman, 1976
James Tobin, 1981
James Mirrless, 1996
Amartya Sen, 1998
Joseph Stiglitz, 2001
Paul Krugman, 2008
Cristopher Pissarides, 2010

Si è creato un dibattito, tra le altre cose, in merito all’interpretazione delle loro dichiarazioni. Dibattito che spesso è stato riassunto come segue: questi signori sono a favore della fine dell’euro, o no ? Dove gli anti-euro hanno citato questi studiosi a sostegno della tesi euroexit, mentre i pro-euro hanno controbattuto che in realtà si tratta di un’interpretazione forzata.

Posta in questi termini, la domanda tende a sintetizzare il problema ma anche a semplificarlo e a banalizzarlo un po’ troppo. Esaminando però con attenzione le effettive recenti dichiarazioni dei sette Premi Nobel – o meglio di cinque di loro, visto che Friedman e Tobin sono mancati alcuni anni fa – la loro posizione emerge con molta chiarezza.

Le gravissime inefficienze dell’Eurozona, nell’ambito dell’attuale governance economica dell’Unione Europea, sono evidenti e incontrovertibili.

L’euro, inteso come l’attuale sistema macroeconomico-monetario dell’Eurozona, è insostenibile.

Una deflagrazione violenta e improvvisa, come quella che presumibilmente si verificherebbe a seguito di una “spaccatura” della moneta unica, potrebbe tuttavia portare a violente turbolenze sui mercati finanziari e a conseguenze negative per l’economia mondiale.

La “spaccatura” non è quindi uno scenario da augurarsi, anche se sarebbe comunque da percorrere se l’unica alternativa fosse la continuità con la situazione odierna.

Esistono strade diverse ? sul piano tecnico, sicuramente sì. E potrebbero tranquillamente essere promosse dalla Commissione Europea e dalla BCE medesime.

L’attuale grave malessere dell’economia europea è riconducibile a due fattori principali: (1) necessità per la maggior parte delle economie nazionali, e in particolare per i paesi mediterranei, di incrementare la domanda e di riavviare produzione, redditi e occupazione; e (2) necessità di riallineare i costi di produzione, omogeneizzando i paesi che hanno perso competitività rispetto a chi invece l’ha guadagnata – in particolare, alla Germania – in modo da evitare sbilanci commerciali (senza però passare da processi di deflazione salariale, che sono socialmente iniqui e, peraltro, peggiorano la situazione in quanto comprimono domanda e redditi).

Può essere fatto, tutto questo, mantenendo in essere l’euro ? Sotto il profilo tecnico, ripeto, certamente sì. Immaginiamo che la BCE emetta moneta per un importo pari al 10% del PIL di ogni singolo paese dell’Eurozona, e la metta a disposizione (senza contropartite, cioè non sotto forma di credito) di ogni singolo paese.

Le nazioni che non hanno necessità di sostenere la domanda delle rispettive economie – per esempio la Germania – utilizzano la moneta per ricomprare titoli del loro debito pubblico e annullarli. Ottengono quindi l’effetto di ridurre il passivo statale.

Le nazioni che hanno invece tale necessità sono anche quelle che hanno bisogno di riportare il costo del lavoro per unità di prodotto delle loro aziende a livelli più vicini a quelli tedeschi. Utilizzano quindi la moneta per incrementare la domanda, con un’azione che passa in buona parte tramite la riduzione della fiscalità e, in particolare, delle imposte che gravano sul costo del lavoro delle aziende.

La Germania vedrebbe calare il suo debito pubblico. I paesi periferici riceverebbero una forte spinta su domanda, produzione e redditi, senza però che si creino sbilanci commerciali – in quanto a fronte della crescita della domanda interna c’è anche un miglioramento della competitività verso l’estero. Anche per loro il debito pubblico scenderebbe grazie all’incremento del gettito fiscale prodotto dal maggior PIL, e ancora più velocemente si avrebbe un calo del rapporto debito pubblico / PIL, dovuto all’aumento del denominatore.

Il recupero delle economie rimetterebbe al lavoro risorse (persone e impianti) inutilizzate, e non avrebbe quindi effetti nocivi sull’inflazione; probabilmente ci sarebbe un leggero incremento che la risolleverebbe dall’attuale livello prossimo (pericolosamente prossimo) allo 0%, fino al 2% circa – che è peraltro l’obiettivo della BCE.

Questa azione potrebbe essere protratta nel tempo, graduandola e via via riducendola, fino al momento in cui i pesanti effetti della lunghissima fase di crisi che si è aperta nel 2008 fossero totalmente recuperati.

Non c’è quindi un motivo tecnico per il quale l’euro, inteso come meccanismo di gestione macroeconomica-monetaria dell’Eurozona, non possa funzionare.

Esiste invece una carenza di volontà politica, le cui possibili motivazioni ho cercato di elencare qui.

Ma, anche supponendo che la volontà politica continui a mancare, è possibile introdurre modifiche del sistema di funzionamento dell’Eurozona, in grado di ottenere effetti analoghi in conseguenza di azioni unilaterali effettuate dai singoli paesi.

Chi segue questo blog conosce i dettagli della Riforma Morbida / progetto CCF, che descrivono una strada – implementabile da parte di ogni singola nazione che ne ha la necessità e/o l’utilità – tramite la quale tutto questo può essere ottenuto.

A me pare, in definitiva, che la posizione dei Premi Nobel si riassuma molto semplicemente nei seguenti punti:

Così, è assurdo andare avanti.

Riformare il sistema senza “spaccare” la moneta unica è possibile.

Se questo non avviene per effetto di un’iniziativa presa a livello degli organi centrali dell’Unione Europea e dell’Eurozona è per effetto di carenza di volontà e/o di diagnosi errate in merito alle origini della crisi.

In assenza di quanto sopra, l’iniziativa può (e quindi deve) essere presa dalle singole nazioni.

Esistono rischi significativi se questa iniziativa è condotta con una procedura “deflagrante” (il break-up dell’euro), anche se accettare questi rischi è di gran lunga preferibile rispetto a proseguire con lo status quo.

Detto tutto ciò (affermo io) la via non deflagrante esiste.

9 commenti:

  1. Bisogna fare l'nverso carissimo, se si resta nell'euro: mettere soldi in saccoccia ai lavoratori dei paesi sottovalutati (centro) in modo che la domanda interna faccia partire la loro inflazione e li faccia riallineare al cambio dei paesi periferici. Dopodichè i paesi del centro potrebbero addirittura importare dai periferici generando reddito senza effetti inflattivo e senza squilibri commerciali. Dare soldi in proporzione e al PIL lascerebbe gli squilibri inalterati. Terza ipotesi è il sistema Italia: liquidità traferita dalle regioni produttive a quelle "consumatrici". Così il Nord è diventato ricco e il Sud ha consumato senza produrre.

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    1. Ma come dicevo nell'articolo "Le nazioni che hanno invece tale necessità sono anche quelle che hanno bisogno di riportare il costo del lavoro per unità di prodotto delle loro aziende a livelli più vicini a quelli tedeschi. Utilizzano quindi la moneta per incrementare la domanda, con un’azione che passa in buona parte tramite la riduzione della fiscalità e, in particolare, delle imposte che gravano sul costo del lavoro delle aziende." Per l'Italia (ma grosso modo anche per gli altri) si tratterebbe del 4-5% PIL sull'intervento totale del 10% di cui si parlava. Altrettanto efficace e rapido di una svalutazione (ma senza svalutare).
      Far partire il costo del lavoro (quindi l'inflazione) nei paesi del centro, Germania in primis, richiederebbe 4-5 anni se fossero disposti ad accettare un'inflazione annua intorno al 5%. E non lo sono...

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  2. Sono favorevole a una riforma morbida e comunque attraverso una soluzione innovativa. Cosa ne pensa di questo orientamento che specifico di seguito.
    Nei Paesi periferici dell'Eurozona, vedrei l'introduzione di una moneta complementare pubblica (MCP) emessa da un ente pubblico rappresentativo (Stato o Regione) che potrebbe rivelarsi uno strumento con un importante impatto sociale e dimostrarsi utile per molti aspetti, particolarmente in un momento di crisi come l'attuale.
    La MCP, in forma cartacea o elettronica, si configurerebbe come una "cambiale circolante infruttifera" ovvero un titolo di pagamento dello Stato o della Regione che non produce cedole o rendimenti, ma che sarebbe direttamente spendibile e pienamente soggetta a riconversione in euro (con meccanismi di penalizzazione o tassazione nel caso di riconversione in euro o di trasferimento in conti esteri).
    Questa moneta avrebbe essenzialmente una circolazione interna (acquisto di beni e servizi sul mercato nazionale) e sarebbe sottoposta al meccanismo di scadenza (come i buoni pasto), procrastinabile con l’applicazione di bolli.
    L'ente pubblico emetterebbe questa moneta semplicemente raccogliendo un patrimonio a garanzia (tipicamente, per esempio, i beni immobiliari di proprietà pubblica o le quote partecipative) e stampando una rappresentazione di valore spendibile al posto del patrimonio stesso, realizzando un raddoppio temporaneo della capacità di spesa/investimento (patrimonio + MCP spendibile direttamente).
    A regime, gli ambiti di intervento della MCP possono essere diversi:
    - gestione (totale/parziale) delle posizioni debitorie dello Stato/Regione verso le imprese nazionali;
    - sostegno ulteriore delle misure pubbliche di investimento collettivo;
    - mantenimento dei redditi per le categorie dei cittadini a rischio di esclusione sociale;
    - valorizzazione delle attività sociali di servizio sul territorio (terzo settore);
    - strutturazione di alcune forme di investimento (sviluppo di politiche industriali focalizzate);
    - stabilizzazione dell'economia in senso anticiclico;
    - aumento della capacità di spesa dei cittadini.

    La MCP potrebbe essere, quindi, la moneta che lo Stato usa per far fronte ad una parte della propria spesa pubblica, anche in relazione ai problemi di pagamento delle forniture di prodotti e di servizi alla Pubblica Amministrazione che per i paesi più indebitati dell’Eurozona rappresenta un problema significativo, in quanto blocca i circuiti di liquidità e di affidabilità creditoria delle imprese, soprattutto di piccola e media dimensione. Questa tipologia di moneta complementare potrebbe essere poi impiegata per il pagamento dell’utilizzo di capacità lavorativa dei cittadini che operano nelle comunità di riferimento per generare impatti sociali importanti in risposta, ad esempio, ai multiformi problemi dovuti all’esclusione sociale. Inoltre, la MCP potrebbe costituire la rappresentazione circolante di un fondo di investimento raccolto a garanzia di attività sociali e gestito come meccanismo moltiplicativo di attività capaci di generare sviluppo.
    Accanto all’efficace sostegno della domanda interna, il meccanismo della MCP consentirebbe lo sviluppo di politiche industriali mirate a rafforzare tutte le imprese operanti nel Paese, senza discriminazioni lesive della concorrenza e della libera circolazione delle merci, e di attirare investimenti dall’estero, richiamati da un più favorevole contesto di mercato. Se ci fosse il coraggio di procedere in questa direzione, credo che anche la Merkel e gli Stati "virtuosi" del Nord dovrebbero farsene una ragione (per usare termini di moda oggi) e mi sembra che l'idea di una moneta interna (già sviluppata in ambiti circoscritti anche in Germania, oltre che in Svizzera) non sarebbe deflagrante per l'appartenenza all'Unione Europea. Cosa ne pensa?

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    1. La MCP è in effetti un'idea con forti omogeneità rispetto ai CCF. Mi piace il concetto che in parte sia emessa con valenze regionali / locali, che in Italia potrebbero anche essere utilizzate per ridurre il gap di CLUP nord / sud e quindi per affrontare (con più efficacia che in passato) il problema del ritardo di sviluppo del Mezzogiorno.
      Non vedo indispensabile garantire lo strumento monetario con quote di patrimonio pubblico perché mi sembra sufficiente l'accettazione dello strumento monetario in pagamento di tasse e altre obbligazioni finanziarie verso lo stato. Da esaminare, comunque, se possa facilitare l'introduzione.
      Sul meccanismo di scadenza (che richiama il "demurrage" di cui spesso si è parlato) confesso che non sono mai riuscito a farmi un'opinione in merito ai vantaggi che potrebbe produrre. Mi sembra figlio di un'applicazione pedissequa della teoria quantitativa della moneta, MV = PQ = reddito nazionale - quindi se aumento la velocità di circolazione aumenta il reddito (ma secondo me i prezzi, non le quantità... mi sbaglio ?)
      L'Unione Europea e la Germania dovrebbero accettare e anzi supportare progetti di questo genere ? se vogliono fare dell'Europa un'area di prosperità e concordia, certamente... ma questa volontà mi pare, ogni giorno che passa, sempre meno evidente... Oggi scommetterei che il recupero della sovranità nazionale finirà per accompagnarsi allo svuotamento di contenuto se non alla fine della UE. Ma è un giudizio politico, con tutte le alee del caso. Vediamo.

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  3. i premi nobel contro l'euro lo sono finché non arriva il bonifico per un nuovo libro o un giro di conferenze a pagamento. poi smentiscono di esserlo mai stati o di essere stati male interpretati sull'euro.

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    1. No no... nessuno di questi si è mai smentito.

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    2. perché in europa i tedeshi pretendono che si parli bene dell'euro gratis e questo i premi nobel non lo accettano. nessuno lavora gratis.

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  4. c'è una premessa fondamentale da non sottovalutare in questo dibattito sulla moneta unica: i padri fondatori dell'Unione Europea, in primis Altiero Spinelli, avevano un progetto molto chiaro: l'unità economica doveva essere non l'obiettivo ma una tappa, sia pure fondamentale, verso l'unità politica, l'obiettivo era quello di fondare un'Europa dei popoli, sia pure nella salvaguardia dell'unità nazionale e della indipendenza istituzionale dei singoli stati membri. Ciò premesso, questa ormai stucchevole diatriba tra guelfi e ghibellini pro e contro l'euro mi richiama alla mente la vecchia concezione positivista che confondeva la musica con le corde del violino; non è la moneta unica in sé il problema, in quanto la moneta è soltanto uno strumento che dovrebbe facilitare lo scambio di beni e di servizi; in un mondo sempre più "globalizzato" (termine orrendo ma serve in questa sede a semplificare il ragionamento), il proliferare delle monete nazionali non farebbe altro che creare squilibri negli scambi di beni e di servizi tra gli stati e nella bilancia dei pagamenti, per non parlare dei problemi legati alla svalutazione; come nella torre di Babele la pluralità delle lingue comportava l'incomunicabilità tra le persone, così la proliferazione delle divise nazionali aggraverebbe l'incomunicabilità monetaria (e non solo) tra gli stati. In realtà chi è apertamente ostile alla moneta unica in quanto tale è ostile allo stesso principio dell'unità europea, secondo le intenzioni dei padri fondatori. I problemi non nascono dall'esistenza della moneta unica. i problemi, come sostiene la maggior parte dei premi Nobel acriticamente e sbrigativamente liquidati come anti euro da chi se ne serve a fini strumentali, nascono dalla politica economica degli organi comunitari, BCE in primis, dalle scelte economiche dei governi, dalla volatilità dei mercati finanziari e dall'estrema eterogeneità dei debiti pubblici dei singoli stati. E' necessario incidere profondamente queste dinamiche patologiche, non proponendo semplicisticamente il ritorno alla pluralità delle divise (che provocherebbe veri e propri disastri nell'attuale situazione di squilibrio economico e monetario) ma armonizzando le politiche economiche tra gli stati membri e soprattutto perseguendo il progetto originale dell'Europa dei popoli in luogo dell'Europa dei potentati economici e finanziari.

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    1. Questo blog è dedicato a una proposta che esce dagli schemi euro sì / euro no perché indica come riformare l'euro e rilanciare l'economia senza spaccarlo. Detto questo, dissento sul fatto che "Il proliferare delle monete nazionali non farebbe altro che creare squilibri negli scambi di beni e di servizi tra gli stati e nella bilancia dei pagamenti, per non parlare dei problemi legati alla svalutazione": un sistema di monete nazionali e cambi flessibili è assolutamente in grado di funzionare in modo efficace. Io propongo di ridare flessibilità al sistema per un'altra via (la Riforma Morbida), ma per un motivo diverso - le difficoltà politiche e operative di attuare un breakup.
      E certo che l'unità economica doveva / dovrebbe essere un passo per l'unità politica e non un fine di per se stessa: ma la volontà di creare l'unità politica è TOTALMENTE INESISTENTE proprio da parte del paese più grande, per popolazione ed economia, della UE. C'è una sentenza della corte costituzionale tedesca che stabilisce senza ambiguità che i trattati UE non valgono quando confliggono con gli interessi tedeschi. Vale a dire: la UE esiste quando ci serve, se no è irrilevante. L'unità politica è un sogno, oggi la definirei più un'allucinazione. Qualcosa di fuori dalla realtà, comunque...

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