mercoledì 1 aprile 2020

Inflazione, crisi sanitarie e guerre


Cerco di fare chiarezza su un dubbio che, a quanto vedo, continua a essere sollevato: gli interventi di spesa e di immissione di liquidità nel sistema economico, in fase di attuazione per tamponare gli effetti economici della crisi sanitaria, rischiano di creare inflazione elevata – se non oggi, nel prossimo futuro ?

La risposta è no, e le motivazioni meritano di essere illustrate in dettaglio.

Sia Olivier Blanchard che, in un articolo di cui si sta parlando molto, Mario Draghi, hanno paragonato l’emergenza sanitaria a una guerra: addirittura a una guerra mondiale.

E le guerre mondiali hanno, in effetti, innescato fenomeni inflattivi di ampia portata.

Tuttavia, tra il Coronavirus e una guerra ci sono ovviamente anche differenze, su cui vale la pena di riflettere.

La guerra non riduce la spesa totale nell’ambito del sistema economico: anzi, in guerra la disoccupazione scompare. Tutti lavorano. Milioni di persone stanno al fronte, altri milioni nelle aziende che danno sostegno allo sforzo bellico.

La domanda totale non cala. Ci sono soldi in circolazione come e più di prima. Il problema è che crolla la produzione fisica di tutta una serie di beni e di servizi, perché gran parte delle aziende devono essere riconvertite e c’è meno forza lavoro a disposizione.

Occorre quindi razionare quanto non è più fisicamente disponibile nelle quantità precedenti. E la crescita dei prezzi è un tipico meccanismo di razionamento.

In più, ci sono beni di primissima necessità – a partire dal cibo – che devono soddisfare i minimi vitali per tutti. Qui non si possono lasciar salire i prezzi: ed entrano quindi in gioco strumenti quali le tessere annonarie (e anche l’imposizione di prezzi massimi, che però scatena fenomeni di mercato nero).

Una crisi sanitaria è diversa perché non c’è un grande incremento di spesa pubblica. Non bisogna pagare armi, eserciti e logistica di supporto.

Ci sono maggiori costi per medici, infermieri e strutture ospedaliere, ma niente di confrontabile alla mobilitazione generale causata dalle guerre.

Gli Stati stanno, certo, immettendo liquidità nel sistema economico, ma principalmente per consentire a tutti di soddisfare le necessità vitali, e per non innescare catene di insolvenze (aziende che non pagano finanziamenti e fornitori, individui che non pagano affitti e mutui, eccetera) che, in aggiunta a tutti gli altri problemi, dissesterebbero il sistema finanziario.

Nel frattempo, la domanda privata per beni e servizi è caduta perché la gente è chiusa in casa e consuma prodotti alimentari, farmaci e poco altro.

Di quelli, anzi, fa scorta, e su quei beni si stanno in effetti constatando alcuni incrementi di prezzo.

Ma su tutto il resto no. La domanda di beni di consumo durevoli è a livelli bassissimi. La produzione industriale è molto inferiore al normale, quindi cala il consumo di energia. Idem per i carburanti. Il petrolio è a 20 dollari: un prezzo che non si vedeva da diciassette anni.

Al momento, la domanda totale di beni e servizi è molto bassa e l’utilizzo di capacità produttiva è sceso di conseguenza. In queste condizioni, non c’è inflazione – e non si vede come ce ne possa essere.

Questa è la situazione attuale. Cambierà con il ritorno a condizioni normali ?

Una limitazione di capacità produttiva si potrà avere se le aziende chiudono e non riaprono, il che rende importante evitare, per quanto possibile, insolvenze e fallimenti.

Va comunque ricordato che la capacità fisica non viene meno a causa di un paio di mesi di stop. E perfino i fallimenti societari non impediscono che l’azienda possa ripartire, se subentrano (in qualità di azionisti) i creditori, o nuovi investitori: come spesso accade.

E via via che la situazione ritorna alla normalità, l’offerta riparte in misura corrispondente alla domanda. Il che impedisce fenomeni inflattivi rilevanti.

D’altra parte, nello scenario pessimistico in cui una parte della capacità produttiva andasse persa a causa di aziende che non riaprono, la domanda rimarrebbe a sua volta compressa in seguito alla crescita della disoccupazione. Uno scenario estremamente indesiderabile e, spero, molto improbabile: ma in ogni caso, non certo uno scenario dove si creano problemi di inflazione troppo elevata.


4 commenti:

  1. I 2500 mld promessi oggi dalla vonderleyen sono prestiti o cmq denaro dato in cambio di condizionalità?

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    1. Fin qui si è parlato solo di prestiti in cambio di condizionalità. Mi dà il link della dichiarazione in merito ai 2.500 miliardi però ? io non l'ho vista.

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    2. http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Von-der-Leyen-da-Ue-e-Stati-membri-2770-miliardi-contro-la-crisi-la-piu-ampia-risposta-mai-data-731f4bd9-edd8-46e8-9512-0ce169e82b5b.html

      Non dicono altro però e i dettagli sono importanti avendo a che fare con l'Ue. Ma poi 2700 mld diviso 27 Paesi 7 All'Italia quanto viene? Mah

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    3. La solita supercazzola. Ci ha messo dentro spese effettive e garanzie, la maggior parte erogate dai vari stati per se stessi. Da UE e BCE sostanzialmente solo il prolungamento del QE, che evita ai tassi d'interesse di schizzare ma non mette soldi a disposizione per essere spesi. Per l'Italia briciole, rispetto alle necessità.

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