giovedì 1 settembre 2022

Perché l’euro ha penalizzato soprattutto l’Italia

 

Breve (ma non tanto) post per rispondere a un commento ricorrente di chi ancora dubita di quanto sia stato disastroso per l’Italia l’ingresso nell’euro.

L’argomentazione degli euroausterici è molto semplice. Certo, le prestazioni dell’Italia dall’ingresso nell’euro in poi sono state estremamente deludenti. Ma solo la Grecia si è trovata in difficoltà ancora maggiori. Gli altri se la sono cavata, chi più chi meno, meglio, o meno peggio. “Quindi” il problema non è l’euro, ma l’Italia stessa.

Una precisazione a monte: di crisi dell’euro si parla all’incirca dal 2010, quando sono esplosi gli spread dei cosiddetti PIGS. Ma nel quartetto inizialmente l’Italia non c’era. C’erano Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna.

L’Italia è arrivata un annetto dopo, e i PIGS sono diventati PIIGS.

Effettivamente, tre dei quattro membri del quartetto originario (Grecia a parte) sono usciti dalle difficoltà di quel periodo meglio dell’Italia. E quindi l’Italia, sempre con l’eccezione della Grecia, è l’outlier in negativo dell’eurozona.

Le motivazioni tuttavia sono semplici, e non hanno nulla a che vedere con “la mancata volontà italiana di attuare le riforme” (che non si capisce tra l’altro perché sarebbe mancata, visto che con la sola eccezione dell’anno gialloverde, metà 2018 – metà 2019, da fine 2011 in poi l’Italia ha sempre avuto governi di stretta osservanza bruxellese).

In primo luogo, l’Eurozona si divide in due blocchi: il Nord caratterizzato da poca inflazione e (prima dell’euro) valute tendenzialmente forti, e il Sud connotato da più inflazione e valute tendenzialmente deboli.

Ne segue che la moneta unica rende più competitive le produzioni del Nord, e meno quelle del Sud. Il Nord, la Germania in particolare, ha quindi potuto generare grossi surplus commerciali: è cresciuto sulla domanda esterna molto più che su quella interna. A danno del resto dell’Eurozona.

Il Sud però non comprende solo l’Italia ma, come detto, anche altri paesi che hanno subito meno danni. Portogallo, Spagna, mettiamoci pure anche la Francia.

Perché questi paesi sono stati alla fine meno penalizzati dall’eurocrisi ? perché hanno “riformato” ? no, perché la UE ha chiuso un occhio mentre loro generavano deficit pubblici ben superiori a quelli italiani.

I dati rilevanti li fornisce Bankitalia, a pagina 4 qui.

La crisi dei debiti sovrani ha dispiegato i suoi effetti nel triennio 2011-3. In questo periodo, l’Italia si è letteralmente svenata, massacrando cittadini e aziende, producendo decine di migliaia di fallimenti e il raddoppio della povertà, perdendo cinque punti di PIL durante tredici trimestri consecutivi di recessione, nello sforzo disperato di tenere il livello del 3% per il rapporto deficit / PIL.

E c’è riuscita, o quasi. Sui tre anni, il deficit cumulato è stato del 9,4%. Peccato che il DEBITO PUBBLICO rispetto al PIL sia invece aumentato di TREDICI punti, per la motivazione peggiore – l’impatto negativo sul denominatore.

Gli altri ? anche loro hanno dato il massimo per raggiungere il 3% annuo, o qualcosa di molto vicino ?

Ma neanche per idea. Nei tre anni aggregati, la Francia ha registrato il 14,3%. La Spagna il 28,8%. Il Portogallo il 19%.

Quindi a seconda dei casi cinque, dieci, venti punti in più di risorse finanziarie immesse nell’economia. In tre anni.

Come mai siamo stati trattati così male ? la spiegazione ricorrente è: perché abbiamo un debito pubblico più alto (rispetto al PIL) degli altri. Ma, a parte che la strategia si è rivelata, come detto, fallimentare se lo scopo era di ridurlo, questa è semplicemente un’ulteriore prova che l’Italia nell’euro non ci doveva proprio entrare.

L’Italia non ha mai avuto, da decenni in qua, una posizione finanziaria sull’estero problematica. Oggi è addirittura un paese CREDITORE NETTO. La NIIP (Net International Investment Position) italiana a fine 2021 (dati Eurostat) era POSITIVA in misura pari al 7,4% del PIL. La Francia era a -32,1%, la Spagna a -70,4%, il Portogallo a -95,9%.

Dei paesi considerati, l’Italia era ed è proprio quello che NON ha vissuto al di sopra dei propri mezzi, che NON ha sistematicamente speso più di quanto producesse. Ed è stata invece trattata come se, più di tutti, avesse bisogno di comprimere domanda interna e investimenti. Con effetti catastrofici sulla crescita.

L’alto debito pubblico italiano va di pari passo con l’alto risparmio privato, Gli italiani semplicemente hanno più di altri utilizzato l’investimento in titoli di Stato come allocazione preferenziale del loro risparmio.

Tutto il problema del debito pubblico italiano si riduce alla necessità di rifinanziarlo a scadenza. Ma il rifinanziamento non è mai un problema per uno Stato che emette debito nella SUA moneta e gode della garanzia dell’istituto di emissione.

Con l'ingresso nell’euro, l’Italia si è creata un problema (l’alto debito pubblico) che con la lira non esisteva. Ha adottato politiche che potevano avere una qualche minima parvenza di senso se ci fosse stato un alto livello di debito netto esterno al paese – che non c’era. Non ha ovviamente risolto il problema (inventato) del debito pubblico, e “in compenso” ha devastato la sua stessa economia.

Ecco perché il progetto dell’euro, pessimo in sé, è stato catastrofico per l’Italia più che per altri paesi.

 


3 commenti:

  1. Siamo praticamente gli unici fessi che contemporaneamente 1) facciamo poco deficit pubblico; 2) abbiamo limitato surplus commerciale, e per alcuni anni eravamo pure in deficit; 3) siamo contributore netto dell'UE. Per tutti gli altri paesi almeno una delle 3 affermazioni è falsa.

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    1. In realtà per parecchi anni siamo stati in forte surplus commerciale (nel 2022 avremo un deficit, anche se non pesante - tipo 1% PIL, per l'impennata di gas e materie prime). Ma il surplus l'ha prodotto l'austerità, che ha calmierato fortemente la domanda interna e quindi le importazioni.

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    2. Sì con "limitato" intendevo non al livello di stati come Germania e Olanda.

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