Lui, ci sarà
senz’altro venuto in vacanza o per lavoro. Ma il suo ciclo no, non c’è arrivato.
In molti paesi
dell’Eurozona, la crisi ha seguito le linee dell’ormai ben noto modello
elaborato dall’economista argentino Roberto Frenkel.
Il “ciclo di
Frenkel” descrive fenomeni quali la crisi argentina del 2001, causata dall’adozione
del cambio fisso peso – dollaro:
finanziamenti
dall’estero – crescita di consumi e PIL – inflazione di costi interni, prezzi
di azioni e (soprattutto) immobiliari – la bolla scoppia – i capitali fuggono –
austerità per rimborsare i creditori – depressione dell’economia
e come si
spiegava qui, descrive con molta accuratezza quanto si è verificato in Spagna,
Portogallo e Grecia dopo l’ingresso nell’euro.
Ma in Italia l’ingresso
nella moneta unica non si è accompagnato a forti aumenti dei flussi di finanziamenti
esteri.
Il ciclo
italiano è stato differente:
perdita di
competitività rispetto alla Germania – stagnazione dell’economia – dubbi che l’Italia
possa rimanere nell’unione monetaria – gli investitori chiedono tassi più alti
perché temono la fuoriuscita e la svalutazione – austerità per “rassicurarli” –
depressione dell’economia.
Perché l’ondata
di finanziamenti esteri non abbia raggiunto l’Italia non è chiaro. Di sicuro la
moneta unica ha prodotto una perdita di competitività di tutto il Sud Europa
rispetto alla Germania, causata in primo luogo dalla minore capacità di
contenere la crescita dei salari rispetto a quella della produttività e dall’impossibilità
di utilizzare i riallineamenti valutari come strumento compensativo.
Questo fenomeno sembra
aver danneggiato l’Italia in modo più sensibile rispetto al resto del Sud Europa.
Un’ipotesi è che il settore manifatturiero, in particolare il sistema
delle PMI, che è stato il più penalizzato dalla perdita di competitività rispetto alla Germania, in Italia pesa di più rispetto agli altri PIIGS. Quindi - è una possibile
interpretazione – i flussi di finanziamenti esteri si sono rivolti a economie
che apparivano più “dinamiche” (Spagna e Grecia…).
Un’altra
spiegazione potrebbe essere che l’ingresso nella moneta unica ha prodotto una (illusoria)
sensazione di aumento di credibilità finanziaria dei paesi del Sud, tanto più
marcato quanto più si partiva da una situazione di “ritardo”. E il rischio
finanziario connesso alla Grecia era percepito come ben più elevato di quello
italiano (ma questo è molto meno vero, o forse non lo è affatto, se riferito
alla Spagna…).
Quello che è
certo è che il “doping” dei flussi di finanziamenti esteri ha prodotto una
forte crescita del PIL in Spagna e in Grecia (non in Portogallo, per qualche
ragione). In Italia non si sono invece visti né i grandi finanziamenti esteri né
la forte crescita (l’austerità e la decrescita successiva invece sì,
purtroppo).
PIL di alcuni paesi
| |
Base 1999 = 100
|
dell'Eurozona
| |
2007
|
2012
|
| | | | |
Germania
|
| |
114,1
|
118,1
|
Francia
|
| |
117,7
|
117,8
|
Italia
|
| |
113,1
|
105,3
|
Spagna
|
| |
132,8
|
127,3
|
Portogallo
|
| |
112,5
|
106,1
|
Grecia
|
| |
137,9
|
110,1
|
| | | | |
Totale Eurozona
| |
119,3
|
117,8
|
Naturalmente gli
indici 2013 saranno peggiori e le differenze tra Germania e Sud Europa ancora
più marcate.
Se vogliamo
trovare una positività, per l’Italia, in questo quadro, è che la perdita di
competitività unita alla mancanza di finanziamenti esteri ha lasciato al palo
il nostro PIL, ma quanto meno non si sono creati grandi sbilanci di partite
correnti né forti accumuli di debito estero.
| | | | | |
Posiz. finanz. estera
|
Saldi partite correnti
| |
Mld di
|
% su
| |
netta al 31.12.2012
|
totale 1999 - 2012
| |
euro
|
PIL 2012
| |
mld €
|
% PIL '12
|
| | | | | | | |
Germania
|
| |
1.360
|
51%
| |
1.068
|
40%
|
Paesi Bassi
| |
447
|
74%
| |
325
|
54%
|
Finlandia
|
| |
81
|
42%
| |
24
|
12%
|
Belgio
|
| |
77
|
20%
| |
246
|
65%
|
Austria
|
| |
69
|
22%
| |
2
|
1%
|
Lussemburgo
| |
39
|
89%
| |
64
|
144%
|
Centro
|
| |
2.075
|
50%
| |
1.729
|
41%
|
| | | | | | | |
Francia
|
| |
-85
|
-4%
| |
-428
|
-21%
|
Slovacchia
| |
-34
|
-48%
| |
-46
|
-64%
|
Estonia
|
| |
-10
|
-59%
| |
-9
|
-55%
|
Malta
|
| |
-3
|
-49%
| |
2
|
25%
|
Paesi intermedi
| |
-132
|
-6%
| |
-481
|
-23%
|
| | | | | | | |
Spagna
|
| |
-678
|
-64%
| |
-961
|
-91%
|
Italia
|
| |
-249
|
-16%
| |
-388
|
-25%
|
Grecia
|
| |
-241
|
-124%
| |
-222
|
-115%
|
Portogallo
|
| |
-194
|
-117%
| |
-193
|
-117%
|
Irlanda
|
| |
-27
|
-17%
| |
-177
|
-108%
|
Cipro
|
| |
-14
|
-78%
| |
-16
|
-88%
|
Slovenia
|
| |
-7
|
-19%
| |
-16
|
-45%
|
Periferia
|
| |
-1.410
|
-44%
| |
-1.973
|
-62%
|
| | | | | | | |
Totale Eurozona
| |
533
|
6%
| |
-725
|
-8%
|
Come si vede,
gli ordini di grandezza dei saldi commerciali 1999-2012 sono simili, almeno
riguardo alle macrocifre, al debito finanziario netto estero dei vari paesi a
fine 2012.
Naturalmente
sono simili ma non uguali perché entrano in gioco altri fattori, quali la
situazione pre-1999 e i movimenti di capitale non legati a flussi commerciali. Questo
è particolarmente evidente nel caso dell’Irlanda, che non aveva grandi problemi
di competitività ma ha subito il crac del sistema bancario (alimentato da
finanziamenti esteri) in seguito alla “crisi Lehman” del 2008.
Ritornando all’Italia,
tuttavia, mi pare importante rilevare quanto segue.
UNO, spesso si
afferma che la crisi dell’euro non è una crisi di debito pubblico ma di debito
privato. Nel nostro caso non è esatto: non è una crisi di debito pubblico, non
è neanche più di tanto una crisi di debito privato, è una crisi da perdita di
competitività.
DUE, non cambia
naturalmente il fatto che l’euro com’è oggi è insostenibile. Recuperare venti
punti di competitività nei confronti della Germania tramite austerità e
deflazione salariale è un progetto totalmente privo di fattibilità, e
disastroso sul piano sia economico che sociale.
TRE, per l’Italia
funzionerebbero, tuttavia, molto bene anche schemi di riforma che non
presuppongono la svalutazione dei crediti esteri verso i residenti italiani, in
primo luogo perché l’ammontare di questi crediti non è particolarmente elevato.
Si può affermare
naturalmente che l’accettazione, da parte della Germania e degli altri paesi
Nord-eurozonici, di questa svalutazione dei loro crediti rispenderebbe a un
equo concetto di solidarietà. Ma per motivi già esaminati non lo ritengo
plausibile, e alla luce dei dati visti sopra non è neanche necessario.
Mentre ritengo
evidente che il tedesco medio traduce “solidarietà” in “richiesta di elemosina”.
Le elemosine all’Italia
NON servono. Serve il ritorno all’autonomia monetaria e lo sviluppo di corrette
politiche di piena occupazione.