Era da tempo che
intendevo scrivere in merito alla possibilità di applicare il progetto CCF a un’entità
pubblica territoriale di dimensioni inferiori a quella dell’intero Stato
nazionale.
E’ una richiesta
che mi fanno in tanti. In attesa che maturino le condizioni politiche per
risolvere il problema euro nella sua interezza, non sarebbe affatto male cominciare
a sbloccare la situazione a partire da singoli comuni, o magari anche da
singole regioni.
Esiste purtroppo
un problema di fondo. Un ente pubblico territoriale locale (comune, provincia o
regione) gestisce solo una frazione delle entrate complessive della pubblica
amministrazione nel suo territorio di competenza. Praticamente solo una parte
dell’IMU (o come diamine si chiama adesso), la TARES, le multe, il fatturato
delle aziende municipalizzate e poco altro.
Immaginiamo per
esempio che il Comune di Livorno (non è un esempio a caso, ho elaborato alcuni
dati e li ho forniti a David Penco per esaminare la possibilità di formulare una
proposta in vista delle prossime elezioni comunali) introduca i CCF livornesi.
Da recenti dati
Istat, i residenti a Livorno sono 157.000, il PIL procapite circa 27.000 euro
per un totale di PIL prodotto localmente di circa 4,2 miliardi.
Non ho
verificato i dati, ma credo (analogamente a quanto constatato in altri casi)
che il Comune di Livorno incassi annualmente imposte, tributi locali e
fatturati delle aziende municipalizzate per un importo di circa 100 milioni di
euro, quindi circa il 2 / 2,5% del PIL locale.
Come
ricorderete, il progetto CCF applicato a livello Italia prevede di emettere e
assegnare gratuitamente Certificati di Credito Fiscale, utilizzabili due anni
dopo l’emissione per pagare imposte, tasse e qualsiasi altro tipo di
obbligazione nei confronti della pubblica amministrazione NAZIONALE, per 200
miliardi di euro, che corrispondono al 13% dell’attuale PIL Italia.
I CCF vengono
assegnati a lavoratori e aziende, e utilizzati per altre finalità di spesa
pubblica. La domanda riparte, la disoccupazione viene riassorbita, il PIL
recupera. La quota assegnata alle aziende è funzione dei costi di lavoro da
esse sostenute e quindi riduce il costo di lavoro per unità di prodotto,
ottenendo per vie diverse benefici simili a quelli di una svalutazione – ed evitando
quindi che il recupero del PIL mandi in deficit la bilancia commerciale
italiana.
Dopo due anni i
CCF vengono utilizzati per pagare tasse e quant’altro, ma a quel punto il PIL è
salito e anche le entrate pubbliche complessive. Deficit e debito pubblico
rimangono sotto controllo e anzi il debito pubblico in percentuale del PIL cala
fortemente.
Ora, i CCF hanno
valore fin dal momento della loro assegnazione (anche se sono utilizzabili due
anni dopo) perché il percettore sa che lo Stato italiano incassa complessivamente
quasi 800 miliardi all’anno. I 200 miliardi che giungono a scadenza annualmente
(a partire da due anni dopo l’emissione originaria) sono quindi solo una parte
degli incassi statali complessivi. Sono a tutti gli effetti moneta che ha un
valore certo A TERMINE, e quindi già nell’immediato saranno accettati e
scambiati – con qualche punto percentuale di sconto per il fattore di
attualizzazione, tipo 5% del facciale: ma avranno SUBITO un valore.
I CCF locali,
per esempio “livornesi”, potranno essere emessi solo per un importo inferiore a
quello degli incassi comunali annui. Altrimenti anche se li rendiamo
utilizzabili a partire per esempio da due anni dopo l’assegnazione originaria,
l’utilizzo effettivo si diluirà in svariati anni e il valore attuale sarà
modesto.
Una possibile
soluzione è quella di introdurre i CCF locali E CONTEMPORANEAMENTE una nuova
imposta locale pagabile in CCF. Per esempio una “super-IMU” livornese.
Per esempio: a
Livorno puntiamo a ottenere un recupero di PIL locale dell’8%, pari a circa 369
milioni annui. Facendo affidamento su un moltiplicatore keynesiano (rapporto
tra incremento di PIL e stimolo della domanda) di 1,3, occorrerebbe immettere
284 milioni di potere d’acquisto.
Immaginiamo di farlo,
destinando per esempio 120 milioni alle aziende, 106 milioni ai lavoratori e 58
ad altre iniziative di spesa.
Per le modalità
di erogazione ad aziende e lavoratori, si può utilizzare uno schema di legge
analogo a questo.
Le aziende
private del comune di Livorno hanno costi di lavoro lordi stimabili in circa
1,2 miliardi di euro. Otteniamo quindi un 10% di riduzione del CLUP locale (120 / 1.200). Questo serve a evitare
che l’incremento della domanda nell’area territoriale del comune livornese si
rivolga a beni e servizi prodotti al di fuori di esso: o meglio, in parte
succederà ma sarà all’incirca compensato da maggiore competitività delle
aziende locali, quindi maggiori vendite fuori dal comune e sostituzione con
produzione interna di beni e servizi attualmente acquistati da aziende situate
all’esterno del comune.
Ora, 284 milioni
di emissioni annue di CCF “livornesi” si confrontano però (abbiamo detto) solo
con 100 milioni circa di incassi gestiti dalle pubbliche amministrazioni
locali. Per cui al momento dell’emissione questi CCF locali non varrebbero “poco
meno”, ma “parecchio meno” dell’importo facciale, perché occorrerebbero quasi
tre anni in più per utilizzarli.
Altro problema:
a termine, si crea un buco nelle casse comunali, perché la ripresa dell’economia
locale produce sì maggior gettito, ma per la maggior parte si tratta di
maggiore IVA, maggiori imposte dirette e in generale imposizioni che non vanno
al Comune di Livorno, ma allo Stato italiano.
Tecnicamente una
soluzione è la seguente. Il Comune di Livorno contestualmente ai CCF locali
introduce una “super-IMU”, pagabile in CCF e dovuta solo nel momento in cui i
CCF diventano utilizzabili (due anni o magari tre dall’assegnazione
originaria).
Il gettito della
super-IMU sarebbe pari alle emissioni annue di CCF, quindi sempre 284 milioni.
Se a Livorno
esistono prime case pari al numero di famiglie locali e la famiglia media è
formata da 2,75 persone, questo corrisponde (su 157.000 residenti) a circa
57.000 unità abitative. Per un valore medio stimabile in 150.000 euro, il
valore di questo patrimonio immobiliare è pari a circa 8,6 miliardi di euro.
Immaginiamo che
un ulteriore 50% di patrimonio immobiliare sia il totale di seconde case,
immobili industriali e altri cespiti immobiliari tassabili. Arriviamo a un
patrimonio di circa 13 miliardi di euro.
Quindi la
super-IMU sarebbe pari a circa 284 /
13.000 = 2,2% del valore immobiliare, ovvero 3.300 euro annui per un’unità
abitativa media (si può ridurre l’importo per le unità medie e medio-basse
dando una struttura di progressività all’imposta).
Per il Comune,
il cerchio si chiude nel senso che al momento della scadenza, i CCF locali
pagano la super-IMU.
Naturalmente l’obiezione
che sorge spontanea è: ma perché i cittadini livornesi dovrebbero sentirsi
incentivati a spendere di più e a rimettere in moto l’economia, se sanno che a
termine i mezzi finanziari a loro erogati serviranno a pagare una nuova tassa ?
non entra in gioco l’”equivalenza ricardiana” ? problema, questo, che non
esiste per il progetto CCF applicato a livello nazionale.
Su questo punto,
le mie riflessioni sono le seguenti.
PRIMO, per chi
riceve CCF ma non possiede immobili, il problema non sussiste.
SECONDO, chi
riceve CCF che dopo un paio d’anni dovrà riversare, in quanto possiede
immobili, sostanzialmente riceve un finanziamento che gli consente (nel
frattempo) di consumare e/o di investire. Lo stimolo c’è, altrimenti non
funzionerebbe il deficit spending keynesiano finanziato con debito (chiamiamolo
deficit spending “tradizionale”, non quello finanziato con moneta versione MMT –
anche se si sta sempre più comprendendo che proprio quest’ultima versione è
quella più omogenea al pensiero keynesiano autentico e originario !)
TERZO, l’azienda
che subirà la super-IMU sull’immobile strumentale ma si vede detassato il costo
del lavoro è comunque incentivata a lavorare, produrre e assumere, anche se il
vantaggio economico che ne deriva è eroso dalla maggior tassazione sull’immobile
(ma vedi anche il punto successivo: il recupero dell’economia incrementerà i
valori immobiliari e compenserà, a livello patrimoniale, l’effetto della
maggior tassazione).
QUARTO, il
proprietario immobiliare che subirà la super-IMU ma non è datore di lavoro né lavoratore
ha un danno finanziario a termine. Tuttavia la ripresa economica incrementa il
valore del cespite in misura probabilmente non inferiore al danno prodotto
dalla maggior tassazione.
Ci sono poi un
paio di importanti temi giuridici e fiscali da chiarire: (a) come evitare come
l’assegnazione di CCF locali sia considerata reddito imponibile per il
ricevente e (b) se la legislazione consenta l’introduzione di una super-IMU
congegnata come descritto.
In sintesi, c’è
spazio a mio parere per lavorare su un concetto di CCF locale. Anche se
indubbiamente l’attuazione del progetto a livello nazionale è molto più semplice
e diretta, e anche di efficacia più sicura.