venerdì 28 febbraio 2014

Certificati di Credito Fiscale: M5S e proposte in sede parlamentare

Un breve aggiornamento sul tema, a beneficio dei molti che mi chiedono a che punto stanno i contatti con le forze politiche.

Come sapete, ho presentato il progetto a un gruppo di parlamentari M5S quasi un anno fa (aprile 2013).

Fin dall’inizio l’orientamento dei miei interlocutori è stato di introdurre i Certificati di Credito Fiscale in una forma limitata rispetto al progetto "completo". Di utilizzarli, cioè, per accelerare il pagamento di debiti scaduti della pubblica amministrazione verso aziende fornitrici. Non, invece, di proporre l’utilizzo dei CCF per ridurre i costi delle aziende, per integrare il reddito dei lavoratori e per altre forme di sostegno della domanda in genere.

A quanto ho capito, l’idea sottostante alla formulazione della proposta in forma limitata e non completa era che quest’ultima sarebbe stata molto più difficile da far approvare da parte della maggioranza di governo.

Apprendo dal deputato Laura Castelli, via Mauro Bonino, che in effetti la proposta è stata discussa (mi pare di aver capito due volte in sede di commissione parlamentare) ma rigettata. L’approccio “minimalista” (che una logica l’aveva, beninteso) non ha quindi funzionato.

Ora i M5S la stanno per riproporre come progetto di legge da discutere direttamente in aula, sempre nella versione "limitata".

Vediamo se il governo Renzi sarà mentalmente più aperto (o se si sentirà maggiormente pungolato dalla necessità) del governo Letta. Se volete una previsione penso che l’atteggiamento continuerà a essere questo. Ma magari mi sbaglio.

martedì 25 febbraio 2014

Eurocritici tedeschi


Anche nel paese che fin qui ha avuto più benefici (almeno in apparenza) dall’euro e dalla governance economica UE, i partiti eurocritici sono in crescita e hanno ormai raggiunto un peso molto rilevante.

Alternative Fuer Deutschland (AfD) è accreditato, da recenti sondaggi, di un 8% di consensi alle prossime elezioni europee (dopo che alle politiche di settembre 2013 ha conseguito il 4,7%, molto significativo per un partito al primo test elettorale nazionale, anche se insufficiente per superare la soglia di sbarramento del 5% ed entrare al Bundestag).

Sul fenomeno AfD continuo a mantenere la mia valutazione positiva. Sono dei liberal-conservatori coerenti, e comprendono correttamente i motivi per i quali l’attuale euroassetto è insostenibile.

E il loro approccio alle possibili soluzioni tecniche è omogeneo con un meccanismo di strumenti monetari paralleli, quindi con il progetto CCF e con la Riforma Morbida dell’euro.

Sono stati accusati di avere un atteggiamento "scaltro" in quanto puntano a mantenere in valuta forte (cioè a non svalutare) i crediti verso i paesi che si svincoleranno dal sistema euro.

Ma, a parte il fatto che sono disponibili a stralci (che nella loro ottica liberale devono gravare sul finanziatore privato, non su meccanismi di salvataggio pubblici) per i crediti verso controparti non in grado di onorare il cento per cento dell’impegno, un meccanismo di ripristino della sovranità monetaria con forte azione sul cuneo fiscale permette, in realtà, alla maggior parte dei paesi in difficoltà dell’Eurozona di avviare una forte ripresa delle loro economie e di rimanere solvibili in valuta forte.

E questo è particolarmente vero proprio per l'Italia, che oggi ha un grosso problema di competitività (che la Riforma Morbida risolve) ma non un alto livello di debito estero.

Nel frattempo, sono sempre più esplicite le posizione eurocritiche di Die Linke, che ha conseguito l’8,6% alle politiche del settembre 2013. In questa intervista, Sahra Wagenknecht rimarca le differenze tra il suo partito e AfD in materia tra l'altro di stato sociale, welfare, retribuzioni e distribuzione dei redditi.

Ma, nello stesso tempo, la critica di Die Linke all’eurogovernance economica è altrettanto esplicita, chiara e fondata.

A questo punto c’è da attendersi che, alle prossime elezioni europee del 25 maggio, partiti e movimenti fortemente negativi in merito all’attuale assetto economico dell’Eurozona e dell’Unione Europea ottengano consensi compresi tra il 15% e il 40% de minimis in Francia, Grecia, Italia, Regno Unito, Paesi Bassi, Germania e Austria.

Manca stranamente all’appello la Spagna, forse perché le posizioni critiche sono state “intercettate” dagli indipendentismi regionali (catalano e basco in particolare).

Maggio 2014, comunque, può essere un punto di svolta.

domenica 23 febbraio 2014

CCF locali: sono possibili ?


Era da tempo che intendevo scrivere in merito alla possibilità di applicare il progetto CCF a un’entità pubblica territoriale di dimensioni inferiori a quella dell’intero Stato nazionale.

E’ una richiesta che mi fanno in tanti. In attesa che maturino le condizioni politiche per risolvere il problema euro nella sua interezza, non sarebbe affatto male cominciare a sbloccare la situazione a partire da singoli comuni, o magari anche da singole regioni.

Esiste purtroppo un problema di fondo. Un ente pubblico territoriale locale (comune, provincia o regione) gestisce solo una frazione delle entrate complessive della pubblica amministrazione nel suo territorio di competenza. Praticamente solo una parte dell’IMU (o come diamine si chiama adesso), la TARES, le multe, il fatturato delle aziende municipalizzate e poco altro.

Immaginiamo per esempio che il Comune di Livorno (non è un esempio a caso, ho elaborato alcuni dati e li ho forniti a David Penco per esaminare la possibilità di formulare una proposta in vista delle prossime elezioni comunali) introduca i CCF livornesi.

Da recenti dati Istat, i residenti a Livorno sono 157.000, il PIL procapite circa 27.000 euro per un totale di PIL prodotto localmente di circa 4,2 miliardi.

Non ho verificato i dati, ma credo (analogamente a quanto constatato in altri casi) che il Comune di Livorno incassi annualmente imposte, tributi locali e fatturati delle aziende municipalizzate per un importo di circa 100 milioni di euro, quindi circa il 2 / 2,5% del PIL locale.

Come ricorderete, il progetto CCF applicato a livello Italia prevede di emettere e assegnare gratuitamente Certificati di Credito Fiscale, utilizzabili due anni dopo l’emissione per pagare imposte, tasse e qualsiasi altro tipo di obbligazione nei confronti della pubblica amministrazione NAZIONALE, per 200 miliardi di euro, che corrispondono al 13% dell’attuale PIL Italia.

I CCF vengono assegnati a lavoratori e aziende, e utilizzati per altre finalità di spesa pubblica. La domanda riparte, la disoccupazione viene riassorbita, il PIL recupera. La quota assegnata alle aziende è funzione dei costi di lavoro da esse sostenute e quindi riduce il costo di lavoro per unità di prodotto, ottenendo per vie diverse benefici simili a quelli di una svalutazione – ed evitando quindi che il recupero del PIL mandi in deficit la bilancia commerciale italiana.

Dopo due anni i CCF vengono utilizzati per pagare tasse e quant’altro, ma a quel punto il PIL è salito e anche le entrate pubbliche complessive. Deficit e debito pubblico rimangono sotto controllo e anzi il debito pubblico in percentuale del PIL cala fortemente.

Ora, i CCF hanno valore fin dal momento della loro assegnazione (anche se sono utilizzabili due anni dopo) perché il percettore sa che lo Stato italiano incassa complessivamente quasi 800 miliardi all’anno. I 200 miliardi che giungono a scadenza annualmente (a partire da due anni dopo l’emissione originaria) sono quindi solo una parte degli incassi statali complessivi. Sono a tutti gli effetti moneta che ha un valore certo A TERMINE, e quindi già nell’immediato saranno accettati e scambiati – con qualche punto percentuale di sconto per il fattore di attualizzazione, tipo 5% del facciale: ma avranno SUBITO un valore.

I CCF locali, per esempio “livornesi”, potranno essere emessi solo per un importo inferiore a quello degli incassi comunali annui. Altrimenti anche se li rendiamo utilizzabili a partire per esempio da due anni dopo l’assegnazione originaria, l’utilizzo effettivo si diluirà in svariati anni e il valore attuale sarà modesto.

Una possibile soluzione è quella di introdurre i CCF locali E CONTEMPORANEAMENTE una nuova imposta locale pagabile in CCF. Per esempio una “super-IMU” livornese.

Per esempio: a Livorno puntiamo a ottenere un recupero di PIL locale dell’8%, pari a circa 369 milioni annui. Facendo affidamento su un moltiplicatore keynesiano (rapporto tra incremento di PIL e stimolo della domanda) di 1,3, occorrerebbe immettere 284 milioni di potere d’acquisto.

Immaginiamo di farlo, destinando per esempio 120 milioni alle aziende, 106 milioni ai lavoratori e 58 ad altre iniziative di spesa.

Per le modalità di erogazione ad aziende e lavoratori, si può utilizzare uno schema di legge analogo a questo.

Le aziende private del comune di Livorno hanno costi di lavoro lordi stimabili in circa 1,2 miliardi di euro. Otteniamo quindi un 10% di riduzione del CLUP locale (120 / 1.200). Questo serve a evitare che l’incremento della domanda nell’area territoriale del comune livornese si rivolga a beni e servizi prodotti al di fuori di esso: o meglio, in parte succederà ma sarà all’incirca compensato da maggiore competitività delle aziende locali, quindi maggiori vendite fuori dal comune e sostituzione con produzione interna di beni e servizi attualmente acquistati da aziende situate all’esterno del comune.

Ora, 284 milioni di emissioni annue di CCF “livornesi” si confrontano però (abbiamo detto) solo con 100 milioni circa di incassi gestiti dalle pubbliche amministrazioni locali. Per cui al momento dell’emissione questi CCF locali non varrebbero “poco meno”, ma “parecchio meno” dell’importo facciale, perché occorrerebbero quasi tre anni in più per utilizzarli.

Altro problema: a termine, si crea un buco nelle casse comunali, perché la ripresa dell’economia locale produce sì maggior gettito, ma per la maggior parte si tratta di maggiore IVA, maggiori imposte dirette e in generale imposizioni che non vanno al Comune di Livorno, ma allo Stato italiano.

Tecnicamente una soluzione è la seguente. Il Comune di Livorno contestualmente ai CCF locali introduce una “super-IMU”, pagabile in CCF e dovuta solo nel momento in cui i CCF diventano utilizzabili (due anni o magari tre dall’assegnazione originaria).

Il gettito della super-IMU sarebbe pari alle emissioni annue di CCF, quindi sempre 284 milioni.

Se a Livorno esistono prime case pari al numero di famiglie locali e la famiglia media è formata da 2,75 persone, questo corrisponde (su 157.000 residenti) a circa 57.000 unità abitative. Per un valore medio stimabile in 150.000 euro, il valore di questo patrimonio immobiliare è pari a circa 8,6 miliardi di euro.

Immaginiamo che un ulteriore 50% di patrimonio immobiliare sia il totale di seconde case, immobili industriali e altri cespiti immobiliari tassabili. Arriviamo a un patrimonio di circa 13 miliardi di euro.

Quindi la super-IMU sarebbe pari a circa 284  / 13.000 = 2,2% del valore immobiliare, ovvero 3.300 euro annui per un’unità abitativa media (si può ridurre l’importo per le unità medie e medio-basse dando una struttura di progressività all’imposta).

Per il Comune, il cerchio si chiude nel senso che al momento della scadenza, i CCF locali pagano la super-IMU.

Naturalmente l’obiezione che sorge spontanea è: ma perché i cittadini livornesi dovrebbero sentirsi incentivati a spendere di più e a rimettere in moto l’economia, se sanno che a termine i mezzi finanziari a loro erogati serviranno a pagare una nuova tassa ? non entra in gioco l’”equivalenza ricardiana” ? problema, questo, che non esiste per il progetto CCF applicato a livello nazionale.

Su questo punto, le mie riflessioni sono le seguenti.

PRIMO, per chi riceve CCF ma non possiede immobili, il problema non sussiste.

SECONDO, chi riceve CCF che dopo un paio d’anni dovrà riversare, in quanto possiede immobili, sostanzialmente riceve un finanziamento che gli consente (nel frattempo) di consumare e/o di investire. Lo stimolo c’è, altrimenti non funzionerebbe il deficit spending keynesiano finanziato con debito (chiamiamolo deficit spending “tradizionale”, non quello finanziato con moneta versione MMT – anche se si sta sempre più comprendendo che proprio quest’ultima versione è quella più omogenea al pensiero keynesiano autentico e originario !)

TERZO, l’azienda che subirà la super-IMU sull’immobile strumentale ma si vede detassato il costo del lavoro è comunque incentivata a lavorare, produrre e assumere, anche se il vantaggio economico che ne deriva è eroso dalla maggior tassazione sull’immobile (ma vedi anche il punto successivo: il recupero dell’economia incrementerà i valori immobiliari e compenserà, a livello patrimoniale, l’effetto della maggior tassazione).

QUARTO, il proprietario immobiliare che subirà la super-IMU ma non è datore di lavoro né lavoratore ha un danno finanziario a termine. Tuttavia la ripresa economica incrementa il valore del cespite in misura probabilmente non inferiore al danno prodotto dalla maggior tassazione.

Ci sono poi un paio di importanti temi giuridici e fiscali da chiarire: (a) come evitare come l’assegnazione di CCF locali sia considerata reddito imponibile per il ricevente e (b) se la legislazione consenta l’introduzione di una super-IMU congegnata come descritto.

In sintesi, c’è spazio a mio parere per lavorare su un concetto di CCF locale. Anche se indubbiamente l’attuazione del progetto a livello nazionale è molto più semplice e diretta, e anche di efficacia più sicura.

lunedì 17 febbraio 2014

Il prossimo governo


In questo momento non ho opinioni in merito alla riuscita del tentativo di Renzi. Né a che cosa abbia intenzione di fare nel caso in cui diventi il prossimo capo del governo.

Molto chiaro è, comunque, che il suo successo come eventuale premier dipende solo da una cosa. Dalla capacità di produrre una reale e significativa ripresa dell’economia.

Altrettanto chiaro è che c’è un sistema rapido e sicuro per ottenere questo risultato. Sforare in misura significativa i vincoli attualmente imposti dagli accordi assunti in sede UE.

Immaginiamo per esempio che il governo Renzi decida di innalzare dal 3% al 6% il rapporto deficit pubblico / PIL (ricordo che il 6% sarebbe un livello comunque inferiore a quello raggiunto nel 2013 da Spagna e Irlanda, paesi che di recente sono stati definiti come “più avanti dell’Italia” sulla strada delle “riforme”).

In realtà tre punti in più di deficit equivalgono non a tre ma a circa sei punti d’incremento del saldo netto (a parità di condizioni) tra spesa pubblica e tasse.

L’azione espansiva consentita da questo incremento innalza, infatti, il PIL e quindi le entrate fiscali, producendo un automatico recupero di una parte del maggior deficit.

Inoltre, nelle condizioni attuale (domanda estremamente depressa rispetto alle capacità produttive dell’economia italiana) l’azione espansiva ha effetti più che proporzionali rispetto alle cifre messe inizialmente in gioco. La maggior domanda spinge le aziende ad assumere, aumentano consumi e investimenti, parte un circolo virtuoso che si autoalimenta.

Avremmo per esempio:

6% in più di deficit / PIL (a parità di condizioni)

8% di recupero del PIL (non immediatamente, diciamo distribuito nell’arco di 24 mesi)

3% (almeno) di maggiori incassi fiscali

6% meno 3% = 3% in più di deficit / PIL (al netto del recupero fiscale).

E anche un rapporto debito pubblico / PIL inferiore, grazie al recupero del denominatore.

Un 6% in più tra spesa e minori imposte significa oltre 90 miliardi, da distribuirsi tra maggior spesa, minori tasse ai privati e sgravio del carico fiscale e contributivo che pesa attualmente sui costi di lavoro sostenuti dalle aziende. Una ripartizione 30-30-30 potrebbe essere grosso modo quella da adottare. La quota che andrebbe a beneficio delle aziende le renderebbe automaticamente più competitive nei confronti della concorrenza estera ed eviterebbe quindi che l’incremento di domanda e di PIL produca uno squilibrio della bilancia commerciale. Bilancia commerciale che attualmente è grosso modo in pareggio, e l’obiettivo è che tale rimanga.

A chi ha “metabolizzato” i dettagli del progetto CCF, risulterà chiaro che questa ne è una riedizione su scala più contenuta (ma comunque significativa) e attuata senza introdurre un nuovo strumento monetario, bensì semplicemente sforando i parametri di Maastricht.

Confido in Renzi perché faccia questo ? non confido in niente, mi limito a sintetizzare i dati del problema e a indicare un possibile percorso di soluzione.

Il progetto CCF diventa superfluo ? al contrario, la chiave per sbloccare la situazione con la UE potrebbe proprio essere indicare che è possibile realizzarlo. E che quindi è inutile pretendere di impedire qualcosa che l’Italia è COMUNQUE in grado di attuare per altre vie…

sabato 15 febbraio 2014

Riforma Morbida del sistema monetario e dell’economia italiana: principali caratteristiche e vantaggi rispetto al break-up dell’euro


Le controindicazioni di un processo di break-up dell’euro derivano dal fatto che una serie di rapporti contrattuali e di posizioni di debito e credito subiscono una conversione della valuta in cui sono espressi.

Stipendi, pensioni, contratti d’affitto, contratti di fornitura, contratti di finanziamento, in caso di break-up trasformano la loro valuta di denominazione in una moneta di minor valore.

Confusione, complicazioni, contenziosi legali, effetti redistributivi, incertezza sulle reazioni delle controparti, turbolenze sui mercati finanziari, instabilità del sistema bancario, sotto TUTTE in un modo o nell’altro conseguenze derivanti dalla ridenominazione dei contratti in essere al momento del break-up.

Sono prevedibili forti ostilità a qualsiasi ipotesi di questa natura da parte di gruppi d’interesse molto influenti quali:

le aziende tedesche e degli altri paesi dell’area ex-marco, che si troverebbero immediatamente a operare con una moneta rivalutata; e

i mercati finanziari, dove gli operatori che detengono crediti verso l’Italia subirebbero una perdita sui loro crediti.

Tuttavia anche i cittadini italiani, compresi molti di coloro che stanno sempre più capendo la relazione tra disfunzionalità del sistema monetario e problemi economici del paese, vivono comunque con disagio la possibilità di vedere i loro risparmi, le loro retribuzioni e le loro pensioni trasformate in un’unità monetaria di minor valore.

Queste ultime preoccupazioni sono di natura prevalentemente psicologica, in quanto non c'è da aspettarsi l'emergere di fenomeni inflattivi (in seguito al break-up) se non su scala molto inferiore all’entità della svalutazione. Ma costituiscono comunque un forte freno all’emergere di un netto consenso della pubblica opinione in favore del break-up.

Ci sono poi le difficoltà tecniche di gestire un processo di break-up senza che si producano fughe di notizie, turbative di mercato, corse agli sportelli bancari e fughe di depositi, eccetera.

Una riforma del sistema monetario che permette di conseguire TUTTI i risultati che ci si propongono in seguito al break-up:

PRIMO, eliminazione degli squilibri di competitività tra paesi appartenenti all’eurozona

SECONDO, sviluppo di politiche economiche di pieno impiego

TERZO, finanziamento del settore pubblico senza emettere debito in una moneta che lo stato non gestisce e non controlla

senza che si ridenomini nessuno dei rapporti contrattuali pregressi è quindi nettamente più efficace e meno rischiosa di un break-up, suscita di gran lunga meno ostilità, meno inquietudini e dubbi nella pubblica opinione, e ha difficoltà di esecuzione enormemente inferiori.

Tra l’altro, la Riforma Morbida è attuabile SENZA che debbano essere effettuate richieste di alcun tipo ad altri stati membri dell’Eurozona e in particolare alla Germania (richieste quali eurobond, trasferimenti finanziari o qualsiasi altra forma di sostegno).

La strada da seguire non è quindi di rottura, ma di affiancamento e sostituzione.

Fermo restando che tutti gli effetti benefici del recupero di sovranità monetaria possono, e devono, essere conseguiti immediatamente.

 
Tutto quanto sopra esposto è ottenibile con un processo articolato nei seguenti passaggi.

UNO: Certificati di Credito Fiscale (CCF) vengono assegnati gratuitamente a cittadini e aziende, e utilizzati dallo stato per finanziare provvedimenti di spesa. Le assegnazioni annue sono adeguate, in quantità, a riportare l’economia italiana al pieno impiego (stima attuale: 200 miliardi annui). Una quota è assegnata alle aziende in funzione dei costi di lavoro sostenuti, per riportare la loro competitività al livello dei paesi più efficienti dell’Eurozona (principalmente la Germania: stima attuale 80 miliardi annui) ed evitare il formarsi di sbilanci commerciali (l’obbiettivo è un saldo import-export tendenzialmente in pareggio).

DUE: I CCF, che possono anche essere denominati Lire Fiscali, saranno negoziabili tra gli assegnatari e il sistema bancario (gli assegnatari potranno cioè convertirli in euro) e anche utilizzati in transazioni tra privati. Sicuramente tramite supporti elettronici / informatici; eventualmente potranno essere emessi titoli bancari cartacei al portatore rappresentativi di Lire Fiscali (in pratica sarebbero banconote: da valutare le esigenze di compatibilità con l’art. 105 del trattato di Maastricht).

TRE: con effetto immediato, lo Stato italiano cesserà di emettere titoli di debito pubblico in euro. Le emissioni saranno esclusivamente denominate in Lire Fiscali: daranno quindi diritto al rimborso di capitale e interessi in moneta utilizzabile per pagare obbligazioni finanziarie verso lo Stato italiano.

QUATTRO: nessun rapporto di debito / credito, nessun contratto, nessun rapporto di lavoro, nessun impegno per pagamento di pensioni (eccetera) verrà convertito da euro a Lire Fiscali.

CINQUE: tuttavia è prevedibile che i NUOVI contratti di lavoro, finanziamento eccetera vengano sempre più spesso stipulati in Lire Fiscali e non in euro.

SEI: nel giro di qualche anno con ogni probabilità l’utilizzo della Lira Fiscale (moneta sovrana) risulterà predominante rispetto a quello dell’euro (moneta non sovrana).
 
Riguardo ai rapporti con l’Unione Europea, va precisato che quanto sopra deve essere messo in atto SENZA trattative o richieste di autorizzazioni, in quanto non viola nessun trattato ed è, d’altra parte, ESSENZIALE per il ripristino di adeguate condizioni di occupazione e sviluppo.
 
Potrà essere tenuto un referendum per stabilire la completa cessazione dell’utilizzo dell’euro da parte della pubblica amministrazione italiana (in luogo del quale verrebbe, in questo caso, esclusivamente utilizzata la Lira Fiscale). Tutto questo però SUCCESSIVAMENTE a quanto esposto ai precedenti punti UNO, DUE, TRE e QUATTRO (e senza che il referendum sia precondizione per metterli in atto).

giovedì 13 febbraio 2014

Sistema monetario italiano: gli elementi della Riforma Morbida per il rilancio dell’economia


UNO: Certificati di Credito Fiscale (CCF) vengono assegnati gratuitamente a cittadini e aziende, e utilizzati dallo stato per finanziare provvedimenti di spesa. Le assegnazioni annue sono adeguate, in quantità, a riportare l’economia italiana al pieno impiego (stima attuale: 200 miliardi annui). Una quota è assegnata alle aziende in funzione dei costi di lavoro da esse sostenuti, per riportare la loro competitività al livello dei paesi più efficienti dell’Eurozona (principalmente la Germania: stima attuale: 80 miliardi annui) ed evitare la formazione di sbilanci commerciali (l’obbiettivo è un saldo import-export tendenzialmente in pareggio).

DUE: I CCF, che possono anche essere denominati Lire Fiscali, saranno negoziabili tra gli assegnatari e il sistema bancario (gli assegnatari potranno cioè cederli e quindi convertirli in euro) e anche utilizzabili in transazioni tra privati. Sicuramente le transazioni potranno avvenire tramite supporti elettronici / informatici; eventualmente potranno essere emessi titoli bancari cartacei al portatore rappresentativi di Lire Fiscali (in pratica sarebbero banconote: da valutare le esigenze di compatibilità con l’art. 105 del trattato di Maastricht).

TRE: con effetto immediato, lo Stato italiano cessa di emettere titoli di debito pubblico in euro. Le future emissioni saranno esclusivamente denominate in Lire Fiscali: daranno quindi diritto al rimborso di capitale e interessi in moneta utilizzabile per pagare obbligazioni finanziarie verso lo Stato italiano (e non in euro).

QUATTRO: nessun rapporto di debito / credito, nessun contratto, nessun rapporto di lavoro, nessun impegno per pagamento di pensioni, eccetera verrà forzatamente convertito da euro a Lire Fiscali.

CINQUE: tuttavia è prevedibile che i NUOVI contratti di lavoro, finanziamento eccetera vengano sempre più spesso stipulati in Lire Fiscali e non in euro.

SEI: nel giro di qualche anno con ogni probabilità l’utilizzo della Lira Fiscale (moneta sovrana) risulterà predominante rispetto a quello dell’euro (moneta non sovrana).

 
Riguardo ai rapporti con l’Unione Europea, va precisato che quanto sopra deve essere messo in atto SENZA trattative o richieste di autorizzazioni, in quanto non viola nessun trattato in essere ed è, d’altra parte, ESSENZIALE per il ripristino di adeguate condizioni di occupazione e sviluppo.
 
Potrà essere tenuto un referendum per stabilire (ad esempio) la completa cessazione dell’utilizzo dell’euro da parte della pubblica amministrazione italiana (in luogo del quale verrebbe, in questo caso, esclusivamente utilizzata la Lira Fiscale). Tutto questo però SUCCESSIVAMENTE a quanto esposto ai precedenti punti UNO, DUE, TRE e QUATTRO.

martedì 11 febbraio 2014

Documento sull’incontro di Ferrara (1/2 febbraio 2014)


Ricevo e con piacere pubblico il seguente documento, elaborato dagli organizzatori dell’incontro (Alberto De Carli, Andrea Signorini e Claudio Zanasi).

 

Si è svolto, l’1 e 2 Febbraio 2014 a Gambulaga (FE) presso l’Agriturismo “Ai due Laghi”, promosso dal “Gruppo Economia Ferrara” e “Progetto Verità” di Bologna,

un incontro programmatico-organizzativo, con la partecipazione di personalità di altissimo profilo professionale sul piano economico e storico; hanno partecipato anche esponenti dei due gruppi di studio.

I nomi dei relatori (in ordine alfabetico, inclusi esponenti gruppi di studio) :

 

Dott. Daniele Basciu

Dott. Marco Cattaneo

Geom. Alberto De Carli

Dott. Antonino Galloni

Prof. Claudio Moffa

Prof. Antonio Maria Rinaldi

Dott. Paolo Tanga

Dott. Gian Luigi Ugo

Dott. Giovanni Zibordi

 

Tutti convengono sul fatto che è necessario creare un “Laboratorio” di idee e di pensiero, aperto al contributo di tutti coloro che ne condividano le finalità, avente come riferimento comune, il raggiungimento per l’Italia della piena Sovranità Monetaria ossia, della prerogativa che deve appartenere a tutti gli Stati che ambiscano a definirsi “Sovrani”, di poter emettere/coniare la propria moneta.

Consideriamo che lo Stato, a normativa vigente, non può battere moneta cartacea, ma può emettere certificati di credito fiscale che consentano di surrogare il denaro come mezzo di pagamento della fiscalità, e sopperire dunque alla cronica mancanza di liquidità, anche perché, detti certificati, sarebbero oggetto di scambio fra  coloro che li detengono.  

Già sappiamo che, in ambito UE, diversi Stati fra cui la Gran Bretagna, detengono questo diritto/dovere, sancito, tra l’altro, dagli articoli 139 e 140 del trattato unificato Maastricht - Lisbona, il quale prevede, per chi lo richieda, lo status di “Stato in deroga”.

Gli U.S.A. lo hanno inserito nella loro Costituzione, nell'Agricultural Adjustment Act del 1933, che prevede che il Presidente, possa avvalersi dell’ordine esecutivo 11110,  (ordine esecutivo firmato il 4 giugno 1963 dal presidente degli Stati Uniti John Kennedy).

Per il raggiungimento di questo tanto ambizioso quanto naturale obiettivo, sono state delineate, durante l’incontro-dibattito, strategie diverse, aventi modalità e tempi di realizzazione intermedi all’obiettivo finale.

Esse corrispondono ad altrettante soluzioni che hanno il duplice scopo di ottenere :

1) Nel breve periodo un significativo miglioramento della precaria condizione economica che ormai da anni attanaglia il nostro Paese;

2) Il vantaggio di offrire una via percorribile per realizzare un’uscita “morbida” dall’euro.

Negli allegati, un’ampia descrizione di queste possibili soluzioni.

Il Laboratorio non ha né vuole avere connotazioni politiche, ben consapevole che già nulla è più politico della moneta stessa.

Il Laboratorio si rende disponibile ad accogliere il contributo di energie le più diverse, purché animate dal medesimo, imprescindibile anelito di indipendenza, di sovranità di libertà.

La grande finanza apolide sta distruggendo l’autonomia, l’identità, la libertà e la stessa vita degli Stati e dei loro popoli, togliendo a poco a poco ogni residua forma di democrazia e di dignità a centinaia di milioni di persone, che hanno come poco edificante prospettiva innanzi a loro, quella di divenire schiavi in un’Europa ed in un mondo dal quale non si sentono più rappresentati, ed a cui non si sentono più di appartenere .

In questo particolare momento storico, in cui la società TUTTA pare aver smarrito il senso del reale, il collegamento fra popolo e governanti, il significato di bene comune, il senso di "comunità":

in una parola il "buon" senso, noi ci sentiamo fieri di proclamare che abbiamo la presunzione di avere individuato alcune tra le soluzioni possibili per ridare al popolo Italiano la propria libertà, autonomia monetaria, e benessere economico.

Precisiamo: tutto ciò per il 99% dei cittadini, escludendo quell'1% che fino ad ora ha usurpato i diritti, la dignità, il lavoro e le ricchezze del resto della popolazione.

Dobbiamo recuperare la memoria storica del nostro Paese, che ci insegna come sia possibile trasformare il nostro Paese, da colonizzato ad indipendente, anche sul piano monetario.

Conserviamo a memoria di ciò, un patrimonio storico, architettonico, artistico e paesaggistico unico al mondo che tutti i paesi ci invidiano e che è assolutamente poco valorizzato.

Ognuno di noi può fin da ora partecipare a questa che a tutti gli effetti è una rivoluzione non violenta, culturale, rendendosi attivo nei confronti delle realtà umane con le quali già è in contatto: i famigliari, i parenti, gli amici, i conoscenti, ma, anche gli Enti Locali, il Parlamento, fino al Presidente della Repubblica.

Gli obiettivi raggiungibili a brevissimo termine sono né più né meno, altrettanti diritti di cui quel citato 1% ci ha progressivamente privato dalla fine degli anni '70 :

UNO: Un diritto al lavoro per tutti, al fine d'ottenere una libera e dignitosa esistenza (art.36 della Costituzione);
DUE: Una sensibile riduzione del carico fiscale, ed una sua molto più equa redistribuzione;
TRE: Una rinegoziazione di tutti i trattati internazionali, o meglio: sovranazionali;
QUATTRO: Una rilettura di tutte le leggi, bancarie e monetarie, degli ultimi 35 anni;
CINQUE: Una uscita"morbida "dall'euro (che è una moneta "straniera" emessa da un organismo privato sovranazionale che nulla ha a che fare con lo spirito di una Europa unita, moneta che impedisce completamente di progettare ed attuare una organica e seria politica economica in ciascuno dei paesi sotto il suo giogo).

domenica 9 febbraio 2014

OMT e sorprese tedesche


Ormai, riguardo all’eurocrisi, siamo abituati ad aspettarci ogni cosa e il suo contrario. Venerdì scorso (7 febbraio), tuttavia, è successo qualcosa a cui fornire una spiegazione convincente mi era parso sulle prime ancora più difficile del solito.

C’è stata la delibera della Corte Costituzionale tedesca in merito all’OMT (Outright Monetary Transactions), il programma annunciato da Draghi nell’agosto 2012 che contempla la possibilità di acquisti illimitati di titoli di stato (emessi da paesi in difficoltà) per evitare che turbolenze di mercato mettano in crisi l’architettura dell’eurosistema.

La Corte tedesca si è espressa in termini decisamente negativi. La sua opinione è che l’OMT sia incompatibile con i trattati europei, con lo statuto della BCE e con la costituzione tedesca.

Ha tuttavia interpellato la Corte di Giustizia Europea più o meno in questi termini: la nostra posizione è negativa, però siamo interessati a conoscere le vostre argomentazioni. Può essere che ci dimostriate che ci sbagliamo. Oppure che nel frattempo le incompatibilità che abbiamo ravvisato si risolvano perché il programma OMT viene in qualche modo modificato e limitato.

Tutto ciò, fermo restando che l’ultima parola sulla vicenda continuerà a spettare alla Corte tedesca, non a quella europea.

Ora, la cosa che mi è riuscita sorprendente non è stata la delibera della Corte tedesca, ma il fatto che i mercati finanziari l’abbiano salutata, in pratica, con un grossissimo sbadiglio. C’è stata una crescita dello spread di rendimento dei titoli italiani e spagnoli (rispetto a quelli tedeschi), ma è rientrata in pochi minuti. E nessuna reazione significativa né sulla borsa né sul cambio euro / dollaro.

Che senso ha ? La Corte tedesca mette seriamente in discussione il “bazooka” di Draghi, il cui annuncio aveva tamponato le pesanti turbolenze finanziarie dell’estate 2012; pone in dubbio che la Germania lo sosterrà al momento del bisogno; solleva incertezze sulla sua natura illimitata – quella che aveva in effetti dissuaso gli investitori dal testarlo – e sui mercati non succede niente ?

Provo a dare la mia interpretazione, con tutti i limiti del caso.

La Corte europea prenderà la posizione che i dubbi tedeschi sono infondati e che non ci sono incompatibilità. Magari con l’aiuto di qualche rettifica nella formulazione del programma OMT, che nel frattempo la BCE provvederà ad effettuare: rettifica però di natura sostanzialmente cosmetica.

A questo punto (attenzione questa non è la mia previsione: è la mia interpretazione di quello che pensano i mercati finanziari) i tedeschi hanno due possibilità.

La prima, abbozzano e si dichiarano convinti.

La seconda, mantengono la loro posizione.

Nel secondo caso abbiamo un OMT non supportato dalla Germania.

Ma – ripeto, questo non è quanto penso io, è quanto ritengo che i mercati pensino – l’OMT non lo attiva la Germania. Lo attiva il direttivo della BCE, dove i membri tedeschi sono 2 su 24.

E allora l’OMT (se serve) parte lo stesso. E la Germania che può fare ? uscire dall’euro e introdurre un Nuovo Marco…

I mercati ritengono che tutto questo semplicemente non succederà. Ma attenzione, se mai fosse c’è sempre il 2% di spread tra titoli tedeschi e titoli italiani (o spagnoli). A parità di tasso questo significa che il BTP decennale lo pago 90, il Bund 110.

E questo 20% circa è appunto una stima plausibile dell’ipotetica rivalutazione del Nuovo Marco rispetto all’euro residuo, sulla base delle differenze cumulate di competitività (costo del lavoro per unità di prodotto) formatesi dall’introduzione dell’euro a oggi.

Alla peggio, quindi, comprare un BTP a 90 rimane un’alternativa “correttamente prezzata” rispetto al Bund a 110.

Vediamo se il weekend porterà ripensamenti. Non credo. Penso che lunedì si continuerà a parlare poco della delibera tedesca, e quel poco tra alzate di spalle e grossi sbadigli.

venerdì 7 febbraio 2014

Si vede male ma si sente bene


Gli amici di Reimpresa, Mimmo Romano e Mario Perrotta, hanno realizzato questo video per la loro WebTV, Telerete.tv (canale 9).

Vi piazzo qui il link, e spero che qualcuno di voi (meglio se tutti) riuscirà ad aprirlo e a guardarselo ! io, essendo dotato di strumenti informatici paleolitici, non riuscito a scaricare il supporto (Adobe Acrobat Flash se ho capito bene) che permette di avviarlo.

Dura un’oretta circa. Mario mi dice che l’audio è ottimo ma il video mica tanto. Sempre colpa mia, l’abbiamo realizzato via skype e la mia webcamera è, pure quella, “d’annata”. Per la prossima volta mi attrezzo meglio.

Comunque ammirare il mio faccione non è particolarmente interessante, ascoltare quello che dico spero invece di sì ! poi mi fate sapere…

martedì 4 febbraio 2014

La differenza tra break-up e riforma morbida dell’euro


si riassume, in ultima analisi, in due parole.

No ridenominazione.

Le controindicazioni di un processo di break-up, di spaccatura, dell’euro derivano dal fatto che una serie di rapporti contrattuali e di posizioni di debito e credito subiscono una conversione (da euro a nuova lira) della valuta in cui sono espressi.

Quindi: ho uno stipendio in euro, diventano nuove lire.

Ho una pensione in euro, diventano nuove lire.

Ho un contratto di affitto in euro, diventano nuove lire.

Ho un contratto di fornitura di materiali o di erogazione di servizi in euro, diventano nuove lire.

Ho un credito in euro, diventano nuove lire.

Ho un debito in euro, diventano nuove lire.

E la variazione comporta una diminuzione di valore (svalutazione).

Confusione, complicazioni, contenziosi legali, effetti redistributivi, incertezza sulle reazioni delle controparti, turbolenze sui mercati finanziari, instabilità del sistema bancario, sono TUTTE in un modo o nell’altro conseguenze derivanti dalla ridenominazione dei contratti in essere al momento del break-up.

Una riforma del sistema monetario che consente di ottenere TUTTI i risultati a cui punta il break-up:

eliminazione degli squilibri di competitività tra paesi

sviluppo di politiche economiche di pieno impiego

possibilità di finanziare l’attività del settore pubblico senza assumere indebitamento in una moneta che lo stato non gestisce e non controlla

senza che si ridenomini nessuno dei rapporti contrattuali pregressi è nettamente più efficace e meno rischiosa di un break-up, suscita di gran lunga meno ostilità, meno inquietudini e dubbi nella pubblica opinione.

La strada da seguire non è di rottura, ma di affiancamento e sostituzione.

Fermo restando che tutti gli effetti benefici del recupero di sovranità monetaria sono comunque conseguibili immediatamente.