Renzi sa che in un’economia
esangue, come quella italiana, soltanto uno stimolo fiscale forte può incidere
su aspettative che, in assenza di segnali incisivi di svolta, restano improntate
a pessimismo e impoverimento. Ha pertanto annunciato di voler operare un
taglio di alcune tasse.
Ma come
finanziare questi tagli? Recuperare le coperture è impossibile se non tagliando
la spesa pubblica (il che porta magari guadagni di efficienza – peraltro da
dimostrare - ma sottrae impulso a quella stessa domanda che s’intende rilanciare)
oppure ottenendo flessibilità sui conti pubblici da Bruxelles. Ma
quest’opzione, pur se concessaci, aumenterebbe il debito, conseguenza non
proprio desiderabile.
Noi proponiamo
una misura che consentirebbe un taglio fiscale across the board che si autofinanzierebbe attraverso la crescita. Proponiamo
che lo Stato emetta certificati di credito fiscale (CCF) che conferiscono al
portatore il diritto a una riduzione di tasse, tributi e ogni altra
obbligazione a favore dello Stato, a partire da due anni dall’emissione dei
titoli (vedremo perché) e pari al valore nominale dei titoli stessi. I CCF sono
titoli trasferibili e possono essere scambiati in euro (verosimilmente con uno
sconto sul valore nominale comparabile a quello applicato su uno zero-coupon a
due anni). Coloro che vendono i CCF vogliono euro per poterli spenderli. Coloro
che li comprano acquisiscono il diritto a una riduzione fiscale a scadenza (e
dunque a risparmi futuri). Gli intermediari finanziari possono acquistare CCF a
sconto da coloro che vogliono venderli e potranno o utilizzarli per riduzioni
fiscali a scadenza o rivenderli a sconto inferiore e ricavarne un profitto.
Lo Stato assegna
CCF di nuova emissione a famiglie e imprese. Molte famiglie li convertiranno in
euro e li spenderanno in consumi. Le imprese faranno altrettanto o troveranno vantaggioso
approfittare del minor carico fiscale per ridurre i prezzi, recuperare
competitività e migliorare l’export. In un’economia depressa, la spesa stimolata dalle emissioni di CCF avrà un
effetto moltiplicativo su reddito e occupazione. Le prospettive di rischio
creditizio miglioreranno e accresceranno l’incentivo per le banche a riprendere
l’erogazione di prestito per nuove attività di produzione e investimenti. Il
maggior output genererà nuovo gettito fiscale. Le nostre proiezioni mostrano che
basta un moltiplicatore del reddito intorno a 0,8 (assai più basso delle stime
prevalenti) per far sì che nei due anni di differimento previsti per la scadenza
dei CCF lo Stato incasserà introiti sufficienti a coprire il costo della
riduzione fiscale, senza incremento del rapporto deficit pubblico / PIL.
L’emissione di
CCF non comporta violazioni delle regole dell’euro. I CCF non sono uno
strumento di debito, non costituiscono un trasferimento di reddito e non sono
una valuta che lo Stato emette per sostituire l’euro. Permettono al settore
privato di monetizzare e spendere oggi i tagli fiscali previsti a due anni e
consentono tempo sufficiente affinché il prodotto nazionale cresca e generi introiti
fiscali per evitare deficit.
Le emissioni possono
inoltre essere accompagnate da clausole di salvaguardia da attivare nel caso in
cui la crescita dell’output generi meno introiti fiscali del previsto:
Lo Stato può
annunciare un impegno a finanziare in CCF una quota (presumibilmente piccola)
delle sue spese, e/o
ai contribuenti lo
Stato può assegnare nuovi CCF a fronte di nuove tasse (ciò sarebbe equivalente
a sostituire aumenti delle tasse con dei swap forzosi CCF-euro), e/o
lo Stato può
incentivare i possessori a ritardare l’utilizzo per sconto fiscale dei CCF
giunti a scadenza attraverso il riconoscimento di un aumento del valore
facciale dei titoli in loro possesso (il che è equivalente a riconoscere un
interesse sotto forma di nuovi CCF), e/o
lo Stato può
raccogliere capitali in euro dal mercato collocando CCF con scadenze più lunghe
al posto dei tradizionali titoli di debito.
Se adottate, queste
clausole avrebbero effetti enormemente meno pro-ciclici di quelli che impone la
UE per assicurare gli obiettivi di bilancio.
Con i CCF lo
Stato, sostanzialmente:
Uno, promette a
cittadini e imprese un ampio taglio delle tasse distribuito sull'arco di due anni;
Due, incorpora questa
promesse in titoli che cittadini e imprese nel frattempo possono scontare e
monetizzare oggi stesso per spenderle;
Tre, conta che
nei due anni previsti la nuova spesa genererà output e gettito fiscale
sufficiente per coprire il costo della riduzione fiscale.
In altri
termini, con i CCF lo Stato effettua una forma di ‘deficit spending’ che prevede uno spending (da parte del settore privato) immediato e un deficit (del
settore pubblico) ritardato che peraltro si auto-riassorbirà per effetto del
moltiplicatore della spesa. Lo Stato fa ciò emettendo titoli sui quali non può
fare essere, in nessuna circostanza, costretto al default.
Si tratterebbe
di una grande manovra di stimolo della domanda indotto dallo Stato, con effetti
moltiplicativi sul reddito e sull’occupazione.