Una delle più
frequenti critiche al progetto Moneta Fiscale – e, in effetti, a qualsiasi
proposta di politica economica imperniata sull’espansione della domanda – è un
presunto eccesso di fiducia nel “moltiplicatore keynesiano”: in altri termini,
si pone in dubbio che un aumento di spesa pubblica o una diminuzione di imposte
possa generare un’espansione più che proporzionale di domanda e di produzione.
Spesso si
leggono dibattiti condotti a colpi di citazioni e di sostegni statistici –
Olivier Blanchard dice, Carmen Reinhardt non è d’accordo, eccetera.
I critici
affermano che i dati sono discordanti e ambigui – non esisterebbe, in altri
termini, un’evidenza incontrovertibile che il moltiplicatore sia superiore a
uno.
Ma il punto
chiave è interpretare i dati in funzione del contesto in cui la manovra
espansiva ha effettivamente avuto luogo.
Non è difficile
capire che il moltiplicatore è alto in situazione di economia depressa, basso o
nullo se il sistema economico è, al contrario, in situazione tonica, o anche
solo normale.
Perché ? semplicemente
perché la normalità, per un sistema economico, è (o dovrebbe essere) un buon
livello di impiego delle risorse produttive. Il sistema dovrebbe, in altri
termini non sprecare risorse: quindi farle lavorare. Non avere livelli di
disoccupazione abnormi, né impianti fortemente sottoutilizzati.
Se l’offerta,
quindi la capacità produttiva del sistema economico, è satura, immettere domanda
genera pressioni al rialzo sui prezzi, ma non accresce produzione e
occupazione: appunto perché non ci sono significativi spazi di incremento,
quantomeno in tempi brevi.
Ma esattamente
il contrario vale quando la domanda è pesantemente depressa, la disoccupazione è
elevata, gli impianti sono sottoutilizzati. Un’azione di spinta sulla domanda
aumenta produzione e occupazione. Non esercita invece pressioni sui prezzi
particolarmente elevate se non quando il sottoutilizzo delle risorse produttive
è stato, almeno in buona parte, riassorbito.
Questa era la
situazione negli anni della Grande Depressione, e questa è la situazione di
oggi: in particolare nell’Eurozona, e ancora di più in Italia.
L’opera di Keynes
si comprende ricordando che nasce dall’analisi di un contesto di pesante
carenza di domanda aggregata, conseguente a una crisi finanziaria. E’ questo
che la rende così attuale oggi.
Il moltiplicatore
keynesiano non ha nulla di magico. E’ un acceleratore che porta alla velocità
di crociera una macchina che procede troppo lentamente. Non serve, al
contrario, se l’auto sta già marciando a velocità ottimale.
E l’effetto di
accelerazione, in un contesto depresso, è tra l’altro duplice: rapido stimolo
dei consumi (o degli investimenti pubblici, se l’azione espansiva è indirizzata
su quelli); ulteriore stimolo - differito ma sostanzioso - sugli investimenti
privati. Perché via via che il sistema economico si riavvicina all’utilizzo
pieno della capacità produttiva crescono gli incentivi a incrementarla.
E’ il cosiddetto
crowding-in degli investimenti, che
rafforza l’effetto espansivo delle politiche keynesiane in contesto di economia
depressa.
Al contrario, le
azioni espansive della domanda sono inefficaci quando l’economia è a regime:
qui gioca il crowding-out, lo
spiazzamento della spesa privata. L’impulso sulla domanda si disperde in
inflazione e/o crescita dei tassi d’interesse, la spesa introdotta dall’esterno
si compensa con contrazioni di altre forme di spesa.
Ma non è quello
di cui dobbiamo preoccuparci oggi. Siamo nella classica situazione in cui l’effetto
espansivo del moltiplicatore, dell’azione sulla domanda, è elevato. Ed è quanto
necessario ad uscire dalla crisi.
Giuseppe Cernuto: Al corso di macroeconomia però il crowding out l'avevano spiegato diversamente: è l'effetto di distrazione degli investimenti privati dal mercato, per effetto di un aumento di domanda pubblica di moneta, a tassi di interesse più conveniente di quello di mercato. In pratica, il governo alza i tassi dei titoli di stato e i privati, anziché investire nel mercato, comprano titoli pubblici.
RispondiEliminaL'inflazione in questo contesto può avvenire o meno. Dipende dall'uso che lo stato fa dei soldi raccolti e dall'elasticità del mercato. Se li usa per aumentare la domanda aggregata e l'effetto di crowding out è abbastanza forte da rendere il mercato anelastico (cioè incapace di fare gli investimenti necessari per adeguare l'offerta all'aumento di domanda), allora si crea inflazione. Se il mercato rimane sufficientemente elastico, non si verifica inflazione, così come se la spesa pubblica viene dedicata a stimolare l'offerta anziché la domanda. In tal caso, un crowding out potrebbe persino provocare deflazione.
Giusto, devo correggere in "inflazione E/O crescita dei tassi d'interesse".
EliminaFatto :)
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