Wolfgang Schaeuble
ha offerto ad Alexis Tsipras l’opzione di uscita della Grecia dall’Eurosistema,
ma il primo ministro greco non ha accettato di percorrerla, a costo di
accettare un accordo durissimo che impone ulteriori tagli di spesa pubblica,
incrementi di imposte e perfino l’obbligo di destinare proprietà statali per un
valore di 50 miliardi di euro a un fondo che dovrebbe gestirne la
privatizzazione a tappe forzate, e a beneficio primario dei creditori.
La maggioranza di
coloro che difendono la scelta di Tsipras afferma che la Grexit sarebbe stata
un’opzione peggiore, in quanto la Grecia è priva di riserve valutarie e non
potrebbe quindi approvvigionarsi di importazioni essenziali, tra cui petrolio e
prodotti farmaceutici.
Quest’ultima
affermazione mi lascia molto perplesso. In caso di Grexit, la nuova dracma è
destinata, certamente, a una notevole svalutazione nei confronti dell’euro. Ma
una notevole svalutazione è una cosa, le battute sulla nuova moneta che sarebbe
carta igienica, tappezzeria da parati, pizza di fango, sono, appunto, solo
battute.
Cerco, qui di
seguito, di quantificare alcune ipotesi numeriche che possono essere utili ad
inquadrare il tema.
Una prima
indicazione in merito alla possibile svalutazione della nuova dracma rispetto
all’euro può essere ricavata dalle differenze cumulate di inflazione e di costi
di lavoro per unità di prodotto, che si sono prodotte a partire dall’adesione
della Grecia all’Eurosistema. Il valore di equilibrio può essere stimato nell’ordine
di un 30% di svalutazione: una nuova dracma per 0,70 euro.
Per valore di
equilibrio intendo un rapporto di conversione che porta la competitività delle
aziende greche al livello medio degli altri paesi dell’Eurozona. Con un cambio
di 0,70 : 1, è lecito ipotizzare che la Grecia sarebbe in grado di
intraprendere politiche di sostegno della domanda interna e di riduzione della
fiscalità adeguate a produrre una significativa ripresa di PIL e occupazione,
mantenendo in sostanziale equilibrio il saldo commerciale estero.
Attualmente le
esportazioni greche di beni e servizi ammontano a circa 50 miliardi annui, e
sono in linea con le importazioni. E’ un dato che sorprende molti, ma si spiega
con il fatto che il saldo merci negativo è compensato dalla positività dei
servizi (principalmente turismo e trasporti marittimi).
La svalutazione e
la ripresa produttiva comportano maggiori costi per importazioni non
sostituibili, tra cui i prodotti energetici. Ci sono però anche effetti
compensativi: il maggior export e la sostituzione di alcune importazioni con
produzioni domestiche, specialmente in settori tendenzialmente a basso valore
aggiunto (quali il tessile e l’alimentare).
Il punto chiave, a
mio parere, è che la nuova dracma sarebbe una valuta più debole dell’euro, ma
convertibile, e che le importazioni di beni non sostituibili sono finanziabili,
purché i saldi commerciali esteri restino in sostanziale pareggio.
E’ giusto mettere
in conto che, nei primi mesi successivi alla Grexit, la perdita di valore della
nuova dracma rispetto all’euro ecceda il livello di equilibrio, per vari motivi
tra i quali la diffidenza iniziale degli operatori finanziari e i tempi necessari
alle aziende greche per avvantaggiarsi della maggiore competitività (incrementando
i livelli produttivi, ridefinendo i contratti eccetera). Il tutto con ogni
probabilità amplificato da fenomeni speculativi.
Immaginiamo che
per i primi sei mesi post Grexit il cambio nuova dracma / euro sia 0,50 invece
di 0,70, e che questo si rifletta in maggiori costi per importazioni di beni
non sostituibili. E assumiamo che l’ammontare annuo di questi ultimi sia 20
miliardi di euro (40% delle attuali importazioni totali), quindi 10 miliardi
nel giro dei sei mesi successivi alla Grexit.
La Grecia
subirebbe, in questo periodo, un danno dovuto al fatto di pagare queste
importazioni 10 / 0,50 = 20 miliardi di nuove dracme, invece di 10 / 0,70 =
14,3 miliardi circa, come avverrebbe in condizioni di equilibrio.
Il maggior onere
di 5,7 miliardi è pari al 3% circa dell’attuale PIL greco, quindi non certo
trascurabile. Ma:
UNO, tutto questo non tiene in alcun conto che nel
frattempo (i) aumenterebbe il valore in nuove dracme delle esportazioni greche
e (ii) avrebbero un vantaggio ancora più sensibile i produttori di beni che
competono con importazioni non sostituibili.
DUE, per evitare
questo danno, di ordine di grandezza stimabile (sulla base di ipotesi, come
visto sub UNO, forse troppo pessimistiche) nel 3% del PIL, Tsipras ha accettato
misure di austerità che produrranno un calo di PIL greco pari ad almeno il 5%
su base annua tra il 2015 e il 2016.
TRE, il maggior
onere temporaneo associabile alla Grexit avviene in un contesto in cui l’economia
greca sviluppa le condizioni per una significativa ripresa (possibilità di
effettuare riduzioni di imposte e ripristino di spese sociali, miglioramento
della competitività estera). L’onere dovuto alle ulteriori dosi di austerità
previste dall’accordo attuale avrà invece luogo senza che per la Grecia si
intraveda alcuna prospettiva di recupero, per un periodo di tempo imprecisato.
QUATTRO, non si
tiene in alcun conto, in quanto detto sopra, della possibilità che la Grecia
possa ottenere sostegni finanziari esterni per attenuare i problemi prevedibili
durante la prima fase post Grexit. Sostegni ipotizzati dallo stesso Schaeuble
(anche se, è giusto ricordarlo, in termini solo generici, visto che l’alternativa
Grexit non è stata approfondita né, tantomeno, attuata).
Va menzionato che
nel 1992 l’Italia bruciò completamente le sue riserve valutarie nel tentativo di
sostenere il rapporto lira / marco previsto dagli accordi di cambio di allora,
per poi essere costretta, a settembre, ad abbandonare comunque lo SME e ad
accettare la svalutazione della lira. Non ci fu nessun effetto catastrofico né alcuna
brutale interruzione dei flussi di importazioni essenziali. Il 1993 fu un anno
di calo del PIL (imputabile essenzialmente al trascinamento delle azioni
restrittive – introduzione dell’ICI sugli immobili, prelievo straordinario sui
conti correnti ecc.) attuate PRIMA della svalutazione, e per cercare
(inutilmente) di evitarla. Ma i saldi commerciali esteri tornarono rapidamente
in positivo, e dopo pochi trimestri l’economia riprese a crescere.
Le riflessioni
sopra delineate sono, naturalmente, un’analisi di primissima approssimazione,
da approfondire e rifinire. Non mi appaiono tuttavia inaffidabili riguardo alle
indicazioni generali e agli ordini di grandezza che se ne derivano.
Sono molto
interessato a ricevere commenti, considerazioni, ipotesi, per validare o per
correggere o smentire quanto sopra espresso.
Sono perfettamente d'accordo.
RispondiEliminaAggiungo che per facilitare la formazione di un tessuto industriale nazionale che possa creare quei prodotti di sostituzione alle importazioni, potrebbe attuale delle politiche fiscali "aggressive", quasi da paradiso fiscale. Cosa non dissimile da quanto fatto in Irlanda peraltro.
Potrebbe ad esempio defiscalizzare per un tempo lungo (diciamo 10 anni) gli utili delle nuove attività produttive che si trasferiscono dall'estero, a patto che prevedano almeno 100 nuovi posti di lavoro.
E per gestire la transizione senza dover eccedere nella produzione di dracme, si potrebbe istituire un bonus fiscale per tutti quelli che pagano le tasse in anticipo.
Ad esempio, si potrebbe corrispondere un bonus pari alla quantità di denaro anticipato, ripartito in 10 anni. Se ad esempio un'azienda anticipa 10 milioni di dracme, può scalare il suo credito al momento di pagare le delle tasse. Nel momento in cui si esaurisce, ottiene un nuovo credito (bonus) di altri 10 milioni che verrà dilazionato in 10 anni (1 milione all'anno) con cui continuerà a compensare le tasse da pagare.
In questo modo il governo riuscirebbe ad avere le risorse economiche iniziali necessarie a sostenere la spesa pubblica necessaria a rilanciare la domanda interna e le infrastrutture, senza dover ricorrere esclusivamente a nuova emissione monetaria. O, per dirla meglio, scambiando nuove dracme con altra valuta e quindi contenendo il livello di svalutazione.
Insomma, le possibilità non mancano. Bisogna solo prenderle in considerazione.
Certo: è un meccanismo alternativo, ma simile nelle finalità, all'erogazione di CCF (Certificati di Credito Fiscale) in funzione dei costi di lavoro sostenuti. Nella proposta CCF la logica è quella di ridurre il cuneo fiscale e quindi i costi di lavoro lordi delle aziende. E i CCF sono titoli negoziabili sul mercato, il che dà loro un valore immediato senza che l'azienda debba attendere il momento in cui genererà utili (e la relativa incertezza).
Eliminac'è un particolare che cattaneo dimentica. i greci non vogliono uscire dall'euro e quindi una uscita forzata sarebbe vista come un massacro ulteriore del popolo .
RispondiEliminaCosì per evitare un massacro immaginario ne subiscono uno vero. Che cosa penso sul fatto che i greci effettivamente non vogliano uscire, l'ho espresso nel post del 15.7 scorso. Comunque lo scenario Grexit rimane assolutamente possibile, il che credo faccia si' che questo post (quello di oggi) rivesta un certo interesse...
Eliminatutti i post e il forum come il libro sono interessanti anche se le proposte non sono "meccanicamente" condivisibili. lo scenario grexit è reale solo se non si ristruttura il debito ma tutti i debiti insostenibili sono ristrutturati o vanno in default o vengono consolidati. quindi prima della grexit esistono molte opzioni.
Eliminai problemi del 92 continuano ad essere descritti senza tenere conto delle differenze globali che esistono oggi e delle relative connessioni. e, questo non è accettabile da economisti preparati come cattaneo.
Nessuna circostanza è identica e il 1992 non è identico al 2015. Ma è un riferimento su cui riflettere. Paesi usciti dallo SME senza riserve valutarie non hanno avuto nessuno dei problemi che si ventilano per la Grecia. Spetta a chi non vuole prendere in considerazione la Grexit spiegare perché per la Grexit sarebbe diverso.
EliminaQuanto alla ristrutturazione del debito, non è un'alternativa alla Grexit. La ristrutturazione avverrà perché il piano di rimborso è insostenibile. Ma è del tutto insufficiente per riportare a galla l'economia greca.
perché all'uscita dallo sme corrispondeva l'entrata in un mondo globalizzato con accordi internazionali cioè uno sviluppo dell'economia italiana. oggi l'uscita dall'euro favorirebbe la domanda interna ma non la produzione interna bloccata da condizioni proibitive e da una economia chiusa. non posti di lavoro ma inflazione e disoccupazione. è una spaccatura della società da cui nascono gli estremismi che non servono a nessuno ed infatti anche voi proponete una riforma morbida e non drastica. rimane lo stato come datore di lavoro ma ormai è saturo e quindi non può andare oltre.
EliminaRimetta i soldi in giro e vedrà che la produzione riparte subito...
Eliminai soldi sono stati immessi e hanno peggiorato la situazione perché a differenza che nei pesi anglosassoni non è il mercato a creare occupazione bensì lo stato. ma non potendolo fare ecco che i soldi danno l'effetto contrario. più draghi stampa peggio è. e al tempo stesso se non stampa non si ottengono i risultati che i tedeschi vogliono ovvero una svalutazione della forza lavoro in quanto non può esistere lavoro in una società senza mercato. in queste società solo lo stato può dare lavoro ma non può farlo all'infinito. e quindi l'economia è ferma.
EliminaFino a metà 2011, il trend dell'economia italiana era identico a quello UK. Poi gli inglesi hanno continuato a fare deficit spending finanziato dalla Bank of England, da noi invece è arrivato Monti... vedi grafico linkato al post del 30.11.2013.
Eliminama sono economie diverse, una privata flessibile e una statale fissa.
EliminaUna un po' più privata, l'altra un po' meno. Ma fino a quando la politiche economiche non si sono totalmente divaricate (metà 2011) andavano esattamente allo stesso modo. Mi sembra quindi molto, ma molto, ma molto plausibile (e anche in linea con l'intuizione comune) che la differenza sia nata da quanto è accaduto in Italia, dalla lettera BCE e dal governo Monti in poi...
Eliminama il debito pubblico inglese era al 45% quello italiano da sempre sopra il 120. non esiste paragone. le economie assistite non sono sostenibili. se chiudi il rubinetto è ovvio che cadono ma la colpa non è di chi ha chiuso il rubinetto ma di chi lo ha usato per assistere e prendere voti. e purtroppo anche il mainstream socialista si basa su tesi economiche fallate come appunto l'assistenza finanziaria a tasso zero che ha preso il posto dell'assistenza statale precedente di stampo comunista. la moneta si sta "vendicando" di chi la gestisce in questo modo. perché se non gestisci la moneta, la moneta reagisce contro i "padroni".
EliminaVeramente UK era intorno all'80%, ma a parte questo (i) era (ed è) debito in sterline, su cui il Regno Unito non può quindi essere forzato al default (di fatto è moneta, non debito: il che non vuol dire che ne possa essere emessa una quantità illimitata, ma che preoccuparsi del suo livello in un contesto di inflazione prossima a zero e di domanda depressa significa porsi un problema inesistente) e (ii) in periodi di domanda depressa, tentare di ridurre il rapporto debito / PIL con manovre restrittive diminuisce il denominatore e aumenta il rapporto: esattamente quanto è accaduto in Italia dal 2011 in poi.
Eliminauk prima della crisi era a 40-50. salito poi a causa appunto della crisi a 80-90. l'italia è da sempre a 100 anche prima dell'euro. nessuno viene costretto al default ma semplicemente viene costretto a pagare anche lui la sua quota di crisi perché nessun altro gliela paga.
EliminaMa se quel debito fosse rimasto in lire, l'Italia l'avrebbe rifinanziato emettendo moneta, senza chiedere nulla a nessuno e senza nessun impatto negativo su inflazione e tassi d'interesse (dato il contesto di debolezza della domanda post crisi). Come in Giappone, dove e' oltre il 200% (ma è in yen). L'euro c'entra, ed è un disastro...
Eliminala sua tesi è sostenibile solo se gli italiani avessero comprato il debito ma non lo hanno fatto né prima dell'euro né dopo. e non a caso la vostra proposta è appunto dare gratis i ccf perché nessuno li comprerebbe se fossero in vendita così come gli italiani non comprano il loro debito anche se sono costretti indirettamente a ricomprarselo pagandone gli effetti nefasti ovvero la stagnazione.
EliminaGli italiani hanno sempre comprato il loro debito. E quando era in lire, non esisteva rischio di default.
Eliminahanno comprato solo una piccola parte e non tutto preferendo i risparmi. il rischio default non esiste perché verrebbero prelevati appunto i risparmi come da legge europea. non rischiare il default però non significa non finire lo stesso in stagnazione come l'italia.
EliminaCon la lira non c'era bisogno di prelevare nulla, bastava la garanzia della banca centrale. Quanto alla stagnazione, la si risolve immettendo potere d'acquisto nell'economia.
Eliminama il prelievo fu fatto lo stesso anche con la lira. in caso invece di svalutazione sarebbe comunque una diminuzione del potere di acquisto quindi di fatto un prelievo. non a caso voi stessi non volete la svalutazione dell'euro bensì l'introduzione di una moneta parallela. ma siccome è una dichiarazione di guerra agli alleati con cui stampate euro ecco che un governo del genere cadrà prima ancora di fare l'annuncio.
EliminaAi tempi della lira il prelievo sui conti correnti avvenne - luglio 1992 - esclusivamente perché si tentava in tutti i modi di evitare la rottura del cambio fisso con il marco e l'uscita dallo SME, e fu inutile: la rottura avvenne lo stesso, due mesi dopo. Con il cambio flessibile non ci sarebbe stata motivazione per nessun prelievo. Oggi noi proponiamo uno strumento monetario parallelo in luogo dell'uscita secca dall'euro perché è tecnicamente più semplice, non perché ci siano da temere conseguenze sul potere d'acquisto dei salari, che sarebbero minime (vedi post 11.7.2013) e più che compensate dal rilancio dell'economia consentito dall'uscita dai vincoli dell'eurosistema.
Eliminama non fa differenza sempre minore potere di acquisto avreste come appunto poi negli anni 90. ciò che esce dalla porta rientra dalla finestra. i ccf sono una uscita dell'euro perché i cittadini ritirebbero euro fidandosi di più della bce che non dello stato italiano. per lo stesso motivo non comprano titoli di stato preferendo mantenere i risparmi.
EliminaMagari il potere d'acquisto delle retribuzioni si fosse mantenuto in questi ultimi anni come nel periodo post uscita SME 1992...
Eliminaprima della crisi lo era e infatti la critica più grave all'euro è appunto aver solo fatto crescere l'economia a debito per assistenza senza alcuna riforma. si è entrati nell'euro pagando e non riformando. non è colpa dell'euro bensì degli europei. che però adesso si sono incastrati con le loro stesse mani in un labirinto. con la lira invece il problema era un altro ovvero l'impossibilità a reggere i mercati globalizzati mentre prima con la guerra fredda e la protezione americana la liretta si barcamenava.
EliminaTsipras è umanamente comprensibile, politicamente molto meno, ma anche Varoufakis non è stato di grande aiuto. Nonostante l'evidenza del fatto che adottare una seconda moneta, almeno in via transitoria, avrebbe loro permesso di gestire la crisi in maniera più forte. Ma, sembra quasi un destino, probabilmente utilizzare una "moneta fiscale" è cosa contro la quale si subiscono fortissime pressioni essendo per sua natura la moneta fiscale anti evasione ed elusione e di conseguenza un bel bastone tra le ruote a banche e grandi interessi finanziari. La questione non è tecnica, ma squisitamente politica....
RispondiEliminaPuò essere. Però nel caso dei greci la confusione sugli aspetti strettamente tecnici del problema ha giocato un ruolo chiave, temo.
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