La moneta incorpora due caratteristiche apparentemente
così antitetiche da sembrare del tutto contraddittorie. E’, da una parte, un
oggetto di uso quotidiano, probabilmente più di qualsiasi altro uno strumento
imprescindibile, utilizzato da chiunque, noto a qualsiasi persona e a qualsiasi
organizzazione. Ed è però anche un’entità che mette in difficoltà la persona
media se gli si chiede di definirla e ancora di più di identificarne le
funzioni, l’origine e le modalità di gestione.
Che cosa è esattamente la moneta ?
Chi la crea ?
Chi la gestisce ?
Come si è formata ?
E’ indispensabile che esista ?
Penso che anche persone di ottimo livello culturale e
professionale sarebbero in seria difficoltà, se venisse loro chiesto di dare
una risposta precisa e circostanziata a queste domande.
I manuali universitari di economia politica, che per
qualche oscura (?) ragione tendono a parlare poco di moneta, a trattarla come
un fatto di natura acquisito, come fosse l’aria o l’acqua, le rare volte che
entrano in tema distinguono tre funzioni fondamentali della moneta:
Unità di conto: è il sistema di misura utilizzato per
quantificare crediti, debiti, incassi, pagamenti, patrimoni eccetera.
Intermediario di scambio: barattare beni e servizi è
possibile ma poco pratico. Uno strumento di compensazione omogeneo e
standardizzato è quindi indispensabile per gestire un’economia minimamente
complessa e articolata.
Riserva di valore: la popolazione tende a consumare
una parte del proprio reddito e a risparmiarne un’altra parte, e il risparmio
può essere accumulato in un’attività finanziaria utilizzabile per spese future.
La moneta è una di queste attività finanziarie.
Fin qui tutto abbastanza chiaro. Ma non viene
praticamente mai citata una quarta funzione.
La moneta è uno strumento di controllo politico.
Non viene mai citata, eppure è sotto gli occhi di
tutti.
Nulla vieta di produrre la moneta a seguito di un
accordo tra soggetti privati, tra cittadini e aziende, allo scopo di attivare
il funzionamento di un circuito di compensazione multilaterale. Ce ne sono
esempi interessanti e ben funzionanti, il WIR in Svizzera, il Sardex in Italia.
Ma in pratica è difficile utilizzarli al di sopra di
dimensioni locali. Sono accordi contrattuali tra privati, che valgono nella
misura in cui si riesce a creare una sufficiente varietà di interscambio di
prodotti, e a tutelare il rispetto degli accordi.
Nella grande maggioranza dei casi la moneta è invece
un bene pubblico, nel senso che è lo Stato a imporne il valore e quindi a
determinarne l’utilizzo.
E lo strumento tramite il quale se ne impone il valore
è la tassazione. Siccome una notevole parte della produzione di reddito è
assorbita dal settore pubblico tramite tasse, accise, bolli, imposte dirette,
imposte indirette, contributi sociali, se lo Stato prescrive che questi
pagamenti debbano essere effettuati mediante una determinata entità, questa
entità assume immediatamente valore, anche se il suo costo di produzione è
pressoché nullo e la sua funzione d’uso (al di là dell’utilizzo nei sistemi di
pagamento, in prima istanza verso lo Stato) è inesistente.
Non è una scoperta recente. “A prince, who should
enact that a certain proportion of his taxes should be paid in a paper money of
a certain kind, might thereby give a certain value to this paper money”. Lo scriveva Adam
Smith nel 1776, e non credo che sia stato il primo ad accorgersene.
Quindi lo Stato è il produttore naturale della moneta,
anzi il monopolista naturale della produzione della moneta o quanto meno della
maggior parte di essa.
Dovrebbe essere allora evidente che nell’interesse
pubblico la funzione di produzione della moneta debba essere monitorata e
monitorabile dalla collettività. Essere soggetta a controllo e scrutinio della
cittadinanza, con la massima trasparenza concepibile.
E invece, a leggere e ad ascoltare la narrazione degli
organi di informazione cosiddetti “accreditati”, per qualche ragione la
funzione di emissione monetaria deve restare avvolta in un alone di sacralità,
in una cortina di mistero, e soprattutto deve restare al di fuori del controllo
dei politici impiccioni e incompetenti, quando non disonesti, e comunque sempre
propensi a “comprare consenso con il denaro pubblico”.
Il punto è che i politici possono essere impiccioni,
incompetenti, disonesti e propensi a comprare consenso – o meno. Ma sono
soggetti a meccanismi di scelta e valutazione mediante libere elezioni. Se
crediamo nella democrazia.
Se invece, appunto, uno strumento così importante,
così essenziale come l’emissione e il controllo della moneta viene sottratto
alla sfera politica, il risultato è metterlo nelle mani di un gruppo di persone
magari competentissime (o magari no); ma che non sono state selezionate e
confermate al loro posto in funzione della loro capacità di promuovere
l’interesse pubblico bensì…
…bensì l’interesse di qualcun altro, o di
qualcos’altro.