Giovanni Zibordi
ha pubblicato oggi un commento alla proposta “Moneta Fiscale” e all’appello elaborato da Biagio Bossone, Luciano Gallino, Enrico Grazzini,
Stefano Sylos Labini e dal sottoscritto.
Riguardo alle
osservazioni tecniche di Giovanni, preciso che in effetti l’allocazione dell’intervento
– i 200 miliardi massimi di Certificati di Crediti Fiscale emessi annualmente –
non è oggi prevista in modo diverso rispetto alla formulazione originaria, di
cui al libro che Giovanni e io abbiamo pubblicato con Hoepli. Già lì si parlava
di 150 miliardi per ridurre tasse (circa 70 a favore dei lavoratori e 80 per le
aziende) e di 50 per interventi di spesa.
Il cambiamento è
invece la distribuzione temporale: l’idea attuale è arrivare a regime in tre
anni, per esempio emettendo 90 miliardi il primo anno e salendo poi a 150 il
secondo e a 200 il terzo.
Questo perché l’azione
espansiva sulla domanda non crea inflazione massiccia se si accompagna a un’espansione
dell’offerta, quindi della produzione effettiva, con tempistiche simili. Ha più
senso scaglionare l’intervento perché la rimessa in moto della capacità
inutilizzata delle aziende italiane ha dei tempi, e distribuirla su tre anni
appare sensato. In effetti la ripresa produttiva anche nel libro era ipotizzata
con questo scaglionamento, ma allora è corretto che l’emissione di CCF segua la
medesima distribuzione temporale (cosa che invece nel libro non era prevista).
Giovanni
conferma poi alcuni suoi dubbi, già espressi in passato, in merito al fatto che
l’azione sulla domanda possa portare a un innalzamento significativo dell’inflazione,
almeno in una fase iniziale, e a squilibri nei saldi commerciali esteri. A me
pare che data l’esistenza di un “output gap” massiccio l’inflazione non sia un
problema: oggi siamo a zero e salire al 2% (che peraltro è desiderabile,
anzi è proprio l’obiettivo che la BCE tenta – senza averne i mezzi... - di
raggiungere) in tempi rapidi è difficile: ancora di più arrivare a livelli nettamente più elevati.
Quanto ai saldi
commerciali esteri, nel 2014 l’Italia sta conseguendo un surplus commerciale
del 3% del PIL e un attivo delle partite correnti vicino al 2%. C’è quindi un cuscinetto da riassorbire. In aggiunta a questo, l’allocazione di CCF a favore
delle imprese produce un significativo riallineamento di competitività nei
confronti dei partner esteri. Ottanta miliardi di abbassamento dei costi di
lavoro lordi equivalgono a un 18% circa di riduzione. Se l’euro si rompesse e l’Italia
svalutasse rispetto alla Germania, le stime della nuova parità di equilibrio
convergono, generalmente, intorno al 20-25%. Giovanni dà percentuali più alte,
ma non ho visto ricerche che giustifichino il dato da lui citato (“50%, forse
60% contro marco”). Un 18% di riduzione dei costi di lavoro lordi via cuneo fiscale
può tranquillamente equivalere al 20-25% di riallineamento via svalutazione
(tenuto conto che il vantaggio della svalutazione in qualche misura viene eroso
dal maggior costo delle materie prime e delle importazioni non sostituibili).
Ma questi sono
elementi tecnici. Se andiamo per la via CCF / Moneta Fiscale, le dimensioni e
la tempistica delle varie allocazioni possono essere regolati. Possono essere aumentate
più o meno rapidamente in funzione della velocità di recupero del PIL, da un
lato, e dell’inflazione, dall’altro. Se il surplus commerciale scende molto in
fretta e diventa un deficit si può migliorare l’allocazione a favore delle
aziende, magari con un privilegio verso i settori ad alta esposizione alla
concorrenza estera; in caso contrario si può favorire maggiormente la domanda
interna; eccetera.
Il punto chiave
della critica di Giovanni, che poi è il motivo per cui ha preferito non
sottoscrivere il manifesto / appello, è un altro e si sintetizza così, nelle
sue parole:
“Il principio
fondatore dell’Eurozona è che i singoli stati non possano creare moneta e noi
proponiamo di fare esattamente questo ! Il comunismo non funziona meglio con la
proprietà privata, si sfalda. L’Eurozona… la stessa cosa”.
Ora, a me sembra
che stiamo in realtà discutendo di semantica. L’Eurozona così com’è non funziona
e il sistema di trattati su cui si fonda non è applicabile. Questo è un fatto.
Può essere risolto senza che gli stati si riapproprino della facoltà di
emettere moneta ? certamente: basta che la BCE finanzi con moneta il corretto
livello di spesa a deficit degli stati. Vedi, ad esempio, il punto SETTE di questo articolo.
Se la BCE
insiste a non volerlo fare, e se non ha nessun senso economico, politico e
sociale mantenere metà abbondante dell’Eurozona in situazione di depressione
economica permanente, il sistema DEVE cambiare. In questo senso, la nostra
proposta è un’euroexit. L’ho detto e ripetuto non so più in quante occasioni.
Introdurre la
Moneta Fiscale richiede una forte volontà politica, certo. Ma qual è l’alternativa
? il break-up richiede lo stesso livello di volontà politica, è molto meno
efficiente e ha complicazioni tecniche, legali e politiche altissime.
Introdotta la
Moneta Fiscale da parte dell’Italia, e probabilmente a quel punto da vari altri
stati, che cosa possono fare a Bruxelles, a Francoforte e a Berlino ? ci sono tre possibilità.
Prendere atto
che si è venuto a creare un nuovo sistema, e accettarlo così com’è.
Definire una
modalità di scioglimento completo, tale per cui in alcuni anni le Monete Fiscali
nazionali diventino monete circolanti principali, e in prospettiva uniche, dei
vari paesi: grosso modo tutto questo potrebbe avvenire come qui illustrato.
Attivare LORO il
break-up. A me pare un’azione autolesionistica, perché produce proprio tutti
gli effetti (svalutazione dei crediti, rivalutazione improvvisa della moneta
utilizzata dai “nord-eurozonici” eccetera) che si stanno cercando
disperatamente di evitare. Comunque il break-up innescato dalla BCE
tecnicamente è un po’ meno improbo dell’uscita di singoli paesi.
“Il comunismo
non funziona meglio con la proprietà privata, si sfalda”, dice Giovanni. Certo,
e questo politicamente può causare una rottura: ma anche non causarla. L’Unione
Sovietica ha reintrodotto la proprietà privata e si è sciolta. La Repubblica
Popolare Cinese è rimasta Repubblica Popolare Cinese, invece.
Nell’appello noi
affermiamo che la Moneta Fiscale è “la via per rendere sostenibile il sistema
monetario europeo”. Chiaramente, lo rende sostenibile trasformandolo in un’altra cosa rispetto ad oggi.
Naturalmente è
legittima l’opinione che questa strada evolutiva, invece che rivoluzionaria,
produrrà comunque una reazione politica deflagrante. Ma è indimostrabile. Può
essere ma anche no. E comunque non vedo percorsi alternativi.