Nel momento in
cui scrivo (mattina dell’11 febbraio 2015) è aleatorio fare previsioni in
merito all’esito dei complessi negoziati tra Atene, Bruxelles e Berlino.
L’Eurogruppo di oggi e del summit dei vertici UE di domani daranno indicazioni,
probabilmente, ancora parziali.
Lo scenario a
mio avviso più probabile è che si trovi un qualche tipo d’accordo che eviterà
le evoluzioni più deflagranti, quali un’uscita della Grecia dall’Eurozona e un
suo default totale, o comunque massiccio, sul debito.
Se non in pochi
giorni, nel giro di alcune settimane si potrebbe arrivare a concedere alla
Grecia una ridefinizione del profilo di rimborso del debito (con riduzione degli
interessi da pagare), l’accesso del sistema bancario a finanziamenti BCE in
misura sufficiente ad allontanare il rischio di corse agli sportelli e gravi
turbolenze finanziarie, e un allentamento dei vincoli fiscali.
In queste ultime
ore, si parla (riguardo a quest’ultimo punto) di autorizzare la Grecia a
ridurre il surplus di bilancio pubblico primario (interessi, quindi, esclusi) in
misura pari all’1,5% del PIL.
Si tratterebbe
di una concessione apprezzabile, ma insufficiente.
Se si permette
alla Grecia di ridurre il saldo tra incassi fiscali e spesa pubblica in misura
pari all’1,5% annuo, è in effetti possibile attivare un mix di maggior spesa
sociale, riduzione di imposte e investimenti pubblici, probabilmente pari (in
totale) al 2,5% circa. In condizioni di domanda fortemente depressa, infatti, un’iniezione
di domanda e potere d’acquisto nel sistema economico produce effetti più che
proporzionali. Il 2,5% di intervento espansivo alzerebbe il PIL greco del 3%
circa, producendo nello stesso tempo maggior gettito fiscale in misura pari
grosso modo all’1%. Il saldo tra 2,5% e 1% è pari, appunto, a 1,5%, cioè
all’ipotesi di allentamento del vincolo fiscale sopra menzionata.
Stiamo quindi
parlando di un intervento che innalza il PIL greco del 3% circa. In assoluto
non è poco, e rappresenterebbe una significativa inversione di tendenza dopo
otto anni di crisi. Ma dal 2007 a oggi il PIL greco è calato del 25%. Per
recuperare questa caduta in tempi ragionevoli servono interventi molto
più corposi.
Uno strumento
estremamente efficace potrebbe essere costituito dalla Moneta Fiscale
nazionale. Unitamente agli interventi concordati in sede UE, la Grecia potrebbe
emettere Certificati di Credito Fiscale (CCF), titoli utilizzabili per pagare (a partire da due anni dopo la loro emissione) tasse, imposte e obbligazioni finanziarie verso il settore pubblico in genere.
I CCF possono
essere attribuiti gratuitamente ai lavoratori, in modo da integrare il loro
reddito, e contemporaneamente alle aziende, in funzione dei costi di lavoro da
esse sostenuti. Quest’ultima azione migliorerebbe istantaneamente la
competitività delle aziende greche, evitando che la ripresa della domanda
interna crei squilibri nei saldi commerciali esteri. Le esportazioni nette
infatti aumenterebbero e questo compenserebbe la crescita dell’import che va
normalmente di pari passo con una significativa ripresa dell’economia.
Quote di CCF
potrebbero anche essere utilizzate per finanziare spesa sociale o investimenti
pubblici.
I CCF
aumenterebbero immediatamente il potere d’acquisto del ricevente. Avendo un
valore certo a due anni-data (in quanto sono, a quel punto, utilizzabili per
pagare tasse, in rapporto pari a un CCF per un euro) si svilupperebbe un attivo
mercato finanziario, sul quale i CCF potrebbero essere ceduti contro euro con
uno sconto in linea con quello di un titolo di Stato zero coupon di analoga
scadenza.
L’immissione di
questo ulteriore potere d’acquisto nell’economia produrrebbe una ripresa molto
più forte dell’economia greca. Al momento (due anni dopo) in cui i CCF
diventano utilizzabili, si viene così a creare il maggior gettito fiscale lordo
che compensa l’impiego dei CCF per pagare tasse. Questo rende possibile
rafforzare in misura molto significativa la ripresa,
rispettando nello stesso tempo gli impegni presi con la UE a livello di saldo
netto, anno per anno, tra spese e incassi pubblici in euro.
Il progetto
Moneta Fiscale / Certificati di Credito Fiscale è dettagliatamente descritto
nel manifesto / appello predisposto da Biagio Bossone, Luciano Gallino, Enrico
Grazzini e dall’autore del presente articolo ed è anche uno degli argomenti principali trattati ne “La soluzione per l’euro
– 200 miliardi per rimettere in moto l’economia italiana” (Marco Cattaneo e
Giovanni Zibordi, Hoepli 2014). Il manifesto e il libro trattano l’argomento
Moneta Fiscale / CCF soprattutto con riferimento al caso Italia, ma ovviamente il
progetto è applicabile a tutti gli stati membri dell’Eurozona.
L’introduzione
di Monete Fiscali nazionali in affiancamento all’euro permetterebbe, in
effetti, di dare finalmente al sistema monetario europeo un assetto stabile e
sostenibile. I vari paesi potrebbero effettuare azioni espansive della domanda
e migliorare la competitività delle proprie aziende senza creare nuovo
indebitamento.
L’immissione di
Monete Fiscali nazionali dovrebbe essere effettuata, paese per paese, con
dimensioni e allocazioni mirate a riassorbire la disoccupazione nata per
effetto della crisi, senza generare squilibri nei saldi commerciali esteri.
Otterrebbe anche il risultato di invertire l’attuale preoccupante tendenza
all’insorgere di fenomeni deflattivi nell’Eurozona. Rafforzare la domanda
interna produce infatti una ripresa dei prezzi, e l’azione espansiva può essere
regolata in modo da riportare l’inflazione media nei vari stati intorno
all’obiettivo BCE del 2% (ma non oltre).
Tornando alla
Grecia, ci sono possibilità concrete che la Moneta Fiscale possa essere
utilizzata e costituisca un fattore chiave per l’avvio di una significativa e
duratura ripresa ? Esistono, al riguardo, indicazioni positive.
Uno strumento molto simile ai CCF, i Tax-Anticipation Notes (TAN), è stato ad esempio
concepito da Robert Parenteau, economista del Levy Institute, con il quale ha
collaborato Rania Antonopoulus (attuale viceministro del lavoro).
E lo stesso
ministro delle finanze, Yanis Varoufakis, ha recentemente (circa un anno fa)
proposto FT-Coins. Simili anch’essi ai CCF (FT sta per Future Taxes), nell’ipotesi
di Varoufakis i FT-Coins sarebbero non da assegnare gratuitamente ma da
collocare (sia pure a condizioni vantaggiose per l’acquirente). A mio giudizio
è più efficace l’assegnazione gratuita, in quanto costituisce una vera e
propria azione di “Helicopter Money”: uno stimolo congiunto fiscale-monetario, attuato a livello di singolo paese (senza bisogno, quindi, dell’intervento
della BCE).
Al di là delle molte
varianti tecniche che possono essere concepite, comunque, è fondamentale
comprendere che le Monete Fiscali nazionali sono una via per dare flessibilità
ed efficienza al sistema monetario europeo, per risolvere la crisi e per
costruire un assetto stabile nel tempo. Sgombrando una volta per tutte il campo
dai rischi di deflagrazione dell’Eurozona, e non solo con riferimento alla
Grecia.
Riallacciandomi ad un suo post precedente, perché l'introduzione della moneta fiscale dovrebbe avvenire con "il favore delle tenebre"? Sperare che la BCE non se ne accorga mi sembra poco più che una pia illusione. Perche invece non farlo "alla luce del sole" dando alla cosa la più ampia pubblicitá, fregandosene del consenso europeo e facendo in modo che la gente possa accorgersi invece delle potenzialitá di questo strumento e notare l'enorme contraddizione dell'euro e della UE. La cosa dovrebbe essere resa più facile dal fatto che in questo momento syriza é al governo e quindi dovrebbe avere il controllo dei mezzi di informazione in Grecia.
RispondiEliminaGios
Sì, più che "con il favore delle tenebre" probabilmente è meglio dire: senza dargli un particolare risalto nelle trattative con UE e BCE - semplicemente perché non è, non deve essere, materia di loro competenza - ma senza tenere nascosto nulla.
Eliminail "livello precedente" era gonfiato dal debito al consumo del sud che ha gonfiato il mercantilismo del nord. non è colpa della moneta è colpa degli stati che dicono di volersi unire ma di fatto si fanno la guerra. l'euro è l'unica cosa unita e quindi l'unica corretta. tutte le altre sono in ritardo di 10 anni.
RispondiEliminaQuesta è la vecchia storia secondo la quale unire la moneta avrebbe portato a unire tutto il resto. Non sta succedendo, non lo si vuole fare. E la moneta unita è, di conseguenza, una tragedia (per come è gestita oggi) della quale bisogna liberarsi.
EliminaE comunque il "livello precedente" di PIL (cioè di produzione) greca non era gonfiato dal debito. Erano gonfiati i consumi, grazie ai finanziamenti dal nord. I consumi non potranno (subito) tornare ai livelli di prima (anche se possono recuperare molto), la produzione invece può e deve - senza creare indebitamento esterno.
Elimina1) infatti non basta una moneta per livellare le economie (bancor keynes) ci vuole una volontà politica. ma il mercato ha già unito le economie.
Elimina2) appunto, solo credito al consumo, errore. un piano marshall non dà credito per comprarti la mercedes bensì costruisce un paese e quindi il paese sarà favorevole ad unirsi a colui che ne sta finanziando la crescita, e non solo il consumo. voi date importanza solo ai consumi perché per troppi anni avete pensato solo ai consumi (mele e pere) e non a cosa è la "crescita" di un paese. il consumo è la conseguenza e non la causa.
Ma se la volontà politica non c'è, la moneta unica distorce e divide invece di livellare...
EliminaNoi non diamo importanza solo ai consumi. Diamo importanza alla domanda e al potere d'acquisto. Questo dà capacità di consumare, ma anche possibilità di produrre, di risparmiare, e quindi mezzi ed incentivo ad investire.
la vostra proposta ccf è solo domanda per consumi senza alcuna riforma del mercato. finiti i soldi dovrete ristampare di nuovo. non create lavoro in italia ma nei paesi fornitori dell'italia. bisogna dare credito epr fare impresa e non soldi per consumare a sbafo e alzare gli stipendi di chi non produce nulla.
EliminaC'è anche una forte riduzione del cuneo fiscale a beneficio delle azione. Non solo più consumi quindi, ma anche più competitività e più produzione.
Eliminanon è detto che la diminuzione dei costi del lavoro si traduca in investimenti. questo avviene solo quando chi beneficia di tale riduzione si ritrova con altri concorrenti e quindi è costretto a investire o perderà quote di mercato. ad esempio i prodotti italiani più richiesti dal mercato sono tutti protetti e tale protezione tiene alti i prezzi e sta facendo nascere copie fasulle di tali prodotti all'estero quando potrebbero essere "liberati" in italia per coprire quella richiesta. allora si genera pil e posti di lavoro in italia ovvero lo scopo della vostra proposta.
EliminaLa diminuzione dei costi di lavoro mi rende immediatamente più competitivo: più export, recupero di quote di mercato interne nei confronti delle importazioni. Questo vuol dire più margini per le aziende e più occupazione, più redditi per i lavoratori e più domanda interna. Tutte condizioni che danno la possibilità, e la giustificazione, a investire.
Eliminasi traducono in investimenti solo se c'è un mercato interno. essendo l'italia un sub fornitore, la riduzione dei costi non si traduce in investimenti ma in diminuzione dei prezzi a vantaggio dei nostri clienti che già oggi decidono i prezzi a cui dobbiamo produrre. la diminuzione delle tasse come la prevedete voi (stampando soldi) può al massimo rallentare la fuga di aziende che delocalizzano (come il jobs act, per le multinazionali) ma non crea posti di lavoro. i posti di lavoro (in numero consistente) li crei solo nel mercato interno aprendolo alla concorrenza e quindi impedendo anche l'inflazione. cioè vera crescita.
EliminaAnche dove siamo subfornitori, guadagneremo quota di mercato se possiamo proporre prezzi più bassi. Ma in tantissimi settori, siamo, invece, esportatori di prodotti finiti. E poi c'è tutto il beneficio dovuto alla maggior competitività che si recupera e fa sostituire importazioni con produzioni interna.
Eliminama la produzione interna è stata portata all'estero perfino dalla germania dove ci sono condizioni eccezionali dovute all'euro. perfino le auto le fanno in spagna e in polonia. questo dimostra che i fattori che incidono sulla grande industria sono altri. non è la grande industria che crea lavoro (come in passato senza la globalizzazione) ma la media e la piccola e i servizi (che non dipendono dalla globalizzazione) e servono la domanda interna. che però sono tutti chiusi e quindi privi di concorrenza.
EliminaTutti chiusi no, e oggi meno che qualche anno fa. Quanto a delocalizzare, l'hanno fatto anche le PMI, che però sono più che disponibili a rilocalizzare (come sta accadendo negli USA ad esempio) se i costi di produrre domesticamente si abbassano. E il progetto CCF, intervenendo (tra l'altro) sul cuneo fiscale e riducendo quindi il costo del lavoro lordo (senza penalizzare le retribuzioni nette, che anzi aumentano) crea condizioni fortemente incentivanti per rilocalizzare.
Eliminama lo fate con una "moneta" e non con riforme quindi se la moneta non sarà accettata dal mercato (cioè dai cittadini), la "meccanica" del vostro progetto è facilmente contestabile nel principio di base ovvero che le cose si muovano solo coi soldi, il che non è vero. lo dimostra come la maggior parte dei soldi va appunto in speculazione e non certo in costruzione di "economia reale" che è il vostro obiettivo.
EliminaVa in speculazione se continui a darli alle banche, se li dai ad aziende e cittadini no...
Eliminain quel caso vanno in inflazione nei periodi di crescita, e in risparmi nei periodi di crisi. nell'economia reale ci vanno solo se le condizioni sono possibili o almeno accettabili. e le classifiche danno l'italia dopo lo zimbawe.
EliminaSicuramente lei non è mai stato in Zimbabwe. Quanto al resto, l'esperienza degli ultimi anni dice che se togli soldi ad aziende e cittadini in situazione di domanda depressa l'economia cala. Tutto lascia pensare che sia vero anche il contrario. La prova l'avrei appena verrà fatto. Sono tranquillo sul risultato... :)
Eliminama nessuno ha tolto soldi, semplicemente ci sono espansioni e contrazioni in economia come in natura. e se i soldi si sono accumulati in politica e in poche caste vanno liberate proprio per liberare i soldi. se date i soldi senza riforme, finiranno in quelle stesse "caste" che si arricchiranno ancora di più alzando i "prezzi". è così che nascono gli estremismi nella popolazione meno abbiente che non potrà sopravvivere a quell'inflazione. una volta questa popolazione la si mandava in guerra a morire per la patria ma oggi questo trucco è stato scoperto dalla popolazione e quindi non funziona più.
EliminaPS sopra "l'avrai", non "l'avrei".
EliminaNo, austerità fiscale vuol proprio dire aver tolto soldi (soprattutto via crescita della tassazione). E la manovra fiscale espansiva da effettuare adesso per risolvere il problema si può (e si deve) costruirla in modo da favorire, appunto, la popolazione meno abbiente.