Una riflessione
aggiuntiva in merito a quanto detto nell'ultimo post.
Il progetto CCF
prevede di evitare squilibri nei saldi commerciali esteri in quanto abbina (a)
un’azione espansiva della domanda interna con (b) la riduzione del costo del
lavoro lordo per le aziende che producono in Italia (allocando a queste ultime
una parte delle erogazioni di CCF, in funzione dei costi di lavoro sostenuti).
In tal modo la
competitività delle aziende italiane migliora, consentendo una crescita delle
esportazioni nette adeguata a compensare l’aumento dell’import di materie prime
e di altri beni o servizi non sostituibili con produzione interna.
Ora, va
sottolineato che questo beneficio è tanto maggiore quanto più il sistema
economico che attua il progetto CCF parte da una situazione di sottoutilizzo
delle risorse produttive interne (“output gap”).
La migliore
competitività prodotta dai minori costi di lavoro lordo può essere sfruttata
dalle aziende (1) riducendo i prezzi e aumentando le quantità prodotte e l’occupazione
interna.
Oppure,
alternativamente (2) lasciando i prezzi invariati e incrementando i profitti, ma
senza aumentare né la produzione né l’occupazione.
L’incentivo ad
attuare quando descritto sub (1) è tanto più accentuato quanto più in partenza
le risorse produttive sono sottoutilizzate: in tal caso, infatti, la produzione
potrà essere accresciuta con necessità molto inferiori di sostenere incrementi
di costi fissi e/o investimenti in maggiore capacità produttiva. L'incremento di produzione e vendite risulterà, quindi, decisamente più redditizio.
L’allocazione di
CCF a riduzione dei costi di lavoro lordi delle aziende è quindi particolarmente
efficace, in questo momento, per l’Italia, appunto perché la capacità
produttiva è fortemente sottoutilizzata.
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