Negli ultimi
giorni ho letto alcuni commenti incentrati sulla tempistica con cui dovrebbe
aver luogo l’(ennesimo) salvataggio di Monte dei Paschi di Siena.
I dettagli sono
tuttora alquanto nebulosi. Si parla di un’operazione - coordinata da JP Morgan,
e con un ruolo importante di Mediobanca - che prevederà un aumento di capitale
di MPS per un ammontare dell’ordine di 5 miliardi, e, contestualmente, la
cessione di una decina di miliardi di NPL, per un valore pari a circa un
terzo del facciale.
L’operazione ha
ricevuto l’approvazione della BCE e delle autorità di vigilanza dell’Eurosistema,
il che dovrebbe corrispondere a un’attestazione di fiducia nella sua
adeguatezza a sanare la situazione patrimoniale della banca senese - unico
istituto italiano che ha ricevuto una valutazione negativa in conseguenza degli
“stress test” resi noti a fine luglio scorso.
Lascia perplessi,
indubbiamente, che si sia approvato un piano i cui elementi chiave sono tuttora
così vaghi: primo fra tutti, non si capisce se le istituzioni finanziarie che
lo organizzano garantiscano effettivamente il successo dell’operazione.
I commenti sulla
tempistica che menzionavo sopra, comunque, riguardano il fatto che l’operazione
non si dovrebbe perfezionare prima di dicembre 2016. La data interagisce in
qualche modo con il referendum sulle riforme costituzionali, che si dovrebbe
tenere poco prima, probabilmente a novembre. L’operazione MPS secondo alcuni
dovrebbe pendere come una sorta di spada di Damocle sull’esito del referendum.
Magari mi sfugge
qualcosa, ma mi pare un’ipotesi infondata. In primo luogo, il tema è troppo
tecnico per influenzare un segmento sufficientemente ampio della pubblica
opinione e dell’elettorato.
Inoltre, non vedo
come la cosa potrebbe in pratica funzionare. Se il referendum si svolge in
condizioni di mercato turbolento perché ci sono dubbi sul successo del
salvataggio, questo è un fattore negativo per il governo in carica, che del
referendum è il proponente nonché, ovviamente, il principale sostenitore.
Bisognerebbe
immaginare quindi una situazione in cui la borsa è agitata, ci sono dubbi sul
successo dell’operazione MPS, e i sostenitori del sì riescono a convincere l’opinione
pubblica che il referendum e le riforme costituzionali devono passare per “calmare
i mercati”. Mi sembra che sia molto più probabile il contrario: le turbolenze
finanziarie casomai diminuirebbero la fiducia nei confronti del governo Renzi e
delle sue proposte di riforma.
Non credo quindi che
il tema MPS sia strumentalizzabile a favore del sì al referendum. Casomai ha
senso pensare che, al contrario, la data posteriore al referendum (per l’operazione
di “salvataggio”) sia stata programmata per evitare che un eventuale insuccesso
affondi totalmente il fronte del sì.
Quindi, se c’è una
interrelazione tra le date, il governo Renzi non sta giocando all’attacco (“votate
sì perché altrimenti MPS, e di conseguenza il sistema bancario, sono a rischio”)
ma casomai in difesa (il referendum facciamolo prima per evitare che le
ipotetiche turbolenze abbattano il consenso). Se c’è un nesso tra tempistica
del salvataggio e tempistica del referendum, questo mi sembra l’unico
possibile.
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