Sergio Cesaratto
ha di recente elaborato un corposo documento in merito al tema dei saldi
Target2, citando molti recenti articoli. Tra questi il
mio, pubblicato su Micromega.
In una nota a piè
di pagina, fornisce un’interpretazione alquanto curiosa delle mie
argomentazioni, precisamente la seguente.
“Cattaneo non si
esenta dal ribadire una proposizione di sapore MMT per cui basta stampare lire
e offrirle nel mercato delle valute per procacciarsi gli euro per saldare i
conti Target2: “utilizzare la sua ritrovata potestà di emissione monetaria per
emettere NL (nuove lire) da convertire in euro sul mercato valutario – con i
quali estinguere una parte del saldo verso BCE”. Questo farebbe naturalmente
crollare il valore delle nuove lire. Peraltro, se bastasse la stampa di lire
nella presunzione che essa sia una solida moneta di riserva, allora queste
verrebbero direttamente accettate dalla BCE a regolazione dei saldi. Un’altra
proposta è di “concordare swap di attività con BCE a riduzione dei saldi
Target2”, ovvero la BCE ci dà euro in cambio di lire, e con quegli euro
regoliamo i saldi T2: un evidente gioco delle tre carte, sempre euro dobbiamo
alla BCE, prima come T2, ora come swap. Infine, si sostiene, si possono
prendere i soldi a prestito: “acquisire finanziamenti garantiti dagli attivi”,
sostituendo in debito con un altro!”
Cesaratto ha
ritenuto necessario concludere la nota con un punto esclamativo, come se il
rifinanziamento di un debito fosse una procedura di inusitata anomalia, invece
di un’azione che aziende e governi effettuano su base quotidiana…
Subito dopo nel
testo del documento, Cesaratto cita una mia proposta alternativa – “mantenere
in vita Target2 per i pagamenti verso l’Italia”. E la commenta più avanti
affermando che in questo modo “l’Italia perde valuta pregiata utile per le
importazioni”. E quindi “buona fortuna ai cittadini italiani che vedrebbero la
lira colare a picco e l’inflazione aumentare corrispondentemente”.
Allora, facciamo
un po’ d’ordine. Le opinioni espresse da Sergio Cesaratto sono – con ogni
probabilità lui non se n’è reso conto, ma è così – una riedizione della “teoria
della pizza di fango”, cara a tanti opinionisti di quelli che una volta si
definivano da bar e che oggi hanno a disposizione blog e social network per
diffondere le loro opinioni con maggiore agio. La teoria, sic et simpliciter, è
che la reintrodotta nuova lira sarebbe una moneta sostanzialmente senza valore,
non in grado di essere scambiata sul mercato dei capitali a nessun rapporto di
cambio sensato, come se non fosse l’unità di conto e di scambio di un paese da quasi
1.700 miliardi di PIL (una delle prime dieci economie mondiali, nonostante
tutto).
Abbiamo
naturalmente esempi di paesi il valore della cui moneta si è disintegrato per
effetto di un volume di emissioni e di circolazione di potere d’acquisto
abnorme rispetto alle capacità produttive dell’economia. E si inquadrano in tre
casistiche:
Paesi la cui
economia è fortemente dipendente da una materia prima il cui prezzo è crollato sul
mercato internazionale.
Paesi funestati da
violenti fenomeni di instabilità politica, ai limiti o oltre i limiti della
guerra civile, con conseguente crollo della produzione economica.
Paesi in cui le
medesime conseguenze sono state prodotte dall’occupazione militare straniera di
una parte significativa delle proprie risorse economiche e del proprio apparato
produttivo.
Insomma, la
trimurti Venezuela – Zimbabwe – Weimar,
con cui gli opinionisti da bar si illudono di controbattere le tesi di chi
propone manovre keynesiane di stimolo della domanda, finanziate con emissione
monetaria – o di debito in moneta sovrana, o di moneta nazionale parallela
quali i CCF / MF.
Queste manovre
funzionano se l’azione espansiva riporta la domanda a livelli allineati con la
capacità produttiva del sistema economico, ed hanno quindi un senso se esiste
un rilevante output gap, alti livelli di disoccupazione e sottoccupazione,
pesante sottoutilizzo del potenziale produttivo delle aziende: che è la situazione dell'Italia oggi.
Altrimenti produrrebbero solo inflazione, e in quel caso non mi affannerei
certo a sviluppare e a promuovere il progetto CCF / Moneta Fiscale.
Ma, ci dice
Cesaratto, qui non abbiamo solo il tema di emettere moneta (o suoi equivalenti)
per produrre la ripresa della domanda ed eliminare l’output gap, abbiamo anche
quello di gestire l’uscita dall’Eurosistema e l’estinzione del saldo Target2.
Bene, si tratta appunto del rifinanziamento di un debito estero, dell’ammontare
di 358 miliardi di euro a fine 2016 (sarebbero 312 al netto di alcune poste
attive compensative, ma trascuriamole), equivalenti a 465 miliardi di Nuove
Lire nell’ipotesi di una svalutazione del 30%.
L’Italia nel 2016
ha prodotto un saldo attivo delle partite correnti di 45 miliardi di euro (il
saldo dell’interscambio di beni e servizi è ancora più positivo, 58 miliardi) e
la “net international investment position” – il saldo netto tra tutte le
attività e passività patrimoniali italiane verso l’estero – era passivo solo
per il 15% del PIL, ovvero 250 miliardi di euro. In effetti esclusi i saldi
Target2 (che sono compresi nei 250) l’Italia detiene un’eccedenza di attivi
patrimoniali all’estero rispetto ai passivi.
Immaginate
un’azienda che sviluppa un valore aggiunto di 1.700 milioni di euro (il PIL
italiano in milioni invece che in miliardi). Se il valore aggiunto è pari al
40% del fatturato (grosso modo il dato medio per l’aggregato delle aziende
nazionali) quest’ultimo (il fatturato) è pari a 4.250 milioni. Il debito
finanziario netto di questa azienda “similItalia” – 250 – sarebbe circa il 6%
del fatturato. C’è da gestire la sostituzione di una linea di credito da 465
milioni, l’11% del fatturato, quindi con ogni probabilità meno del suo capitale
circolante netto (che tipicamente si aggira sul 15-20% delle vendite).
Sarebbe
perfettamente normale per questa azienda finanziare l’esposizione con debito a
breve revolving, e rinnovarlo senza nessuna difficoltà di anno in anno. La
sostituzione di una linea di credito di quelle dimensioni è gestibile senza ansie. Tanto più che l’azienda in questione produce un flusso di cassa
netto (e per netto s’intende dedotte tutte le esigenze di investimento,
dividendi, pagamenti d’imposte ecc.) di 45 milioni annui. Quindi viaggia a un
ritmo che azzera in poco più di sei anni il debito finanziario netto.
La linea di
credito da rifinanziare – il saldo Target2 – tra l’altro, come argomentavo nel
mio articolo, non è da estinguere dalla sera alla mattina. La soluzione più
logica è in effetti a mio avviso di mantenerla in essere in un’unica direzione,
rendendola cioè utilizzabile per pagamenti di altri paesi dell’Eurozona verso
l’Italia (ma non viceversa). Se questi pagamenti fossero tutti per esportazioni
di beni e servizi, l’estinzione della linea richiederebbe non meno di due anni:
l’export italiano verso il resto dell’Eurozona è infatti pari a circa 220 miliardi (nel
2016), quindi i beni e servizi esportati sono meno della metà del saldo Target2 (465, già considerata la svalutazione della Nuova Lira rispetto all'euro).
Naturalmente
l’estinzione può essere ben più rapida se – e in qualche misura sicuramente
questo avverrà – una parte degli utilizzi dei saldi Target2 avvenisse a fronte
di investimenti finanziari e non di acquisti di beni e servizi. Ma gli
investimenti finanziari, nella misura in cui si verificano, sono appunto un
rifinanziamento di parte del debito – quello che tanto spaventa Cesaratto…
In ogni caso, le
esportazioni saldate con Target2 sottraggono valuta all’economia italiana, e ci
sarà quindi, dice Cesaratto, il problema di finanziare le importazioni. Beh a
essere sinceri questo è principalmente un problema di chi esporta verso
l’Italia. Che tutto sommato non mi è mai parso così in difficoltà nel gestirlo.
Esperienza mia recente: dopo parecchi anni, in famiglia ci siamo finalmente
decisi a rinnovare il parco automobili (parco si fa per dire, due…). Abbiamo acquistato
marche estere (non eurozoniche peraltro, una giapponese e un’anglo-indiana) e
ricevuto finanziamenti per oltre il 90% dell’importo totale…
Naturalmente, post
svalutazione può essere che qualche produttore sia meno competitivo sul mercato
italiano, e rinunci quindi ad alcune vendite. Più Fiat e meno Lexus e Jaguar
quindi (ma magari anche più Audi, Bmw e Mercedes con i tedeschi che aumentano
la quota di componenti acquistati in Italia). Insomma può essere che calino le
importazioni nette italiane. Il che riduce di per sé il problema di finanziarle…
In sintesi, un
paese con forti attivi commerciali e poco debito finanziario estero non ha
problemi a rifinanziare il debito Target2, se si trova nella necessità di
estinguerlo (gradualmente) nel contesto di un’azione di rilancio dell’economia
abbinata a un riallineamento del cambio reale che lascia invariato il surplus
commerciale.
Che sono, tra
parentesi, le caratteristiche del progetto CCF / Moneta Fiscale. Il quale però non prevede la rottura dell’euro e
quindi alcun ipotetico problema a fronte dei saldi Target2. Ma che tuttavia, mi
si dice, Cesaratto vede con scetticismo. Ho il sospetto che non l’abbia ancora
esaminato attentamente e che quindi ritenga che sia una nuova riedizione del
“principio della pizza di fango”. Non è così e lo invito alla lettura di questo documento – sintetico ma, credo, completo ed esaustivo.
Mi auguro che
avremo il piacere di accoglierlo tra le fila dei sostenitori. E devo dire che
mi sento ottimista al riguardo, perché Sergio Cesaratto è un eccellente
economista e quindi – come disse un giorno Charlie Munger a Warren Buffett – “
you will end up agreeing with me Warren, because you are smart and I am right
!”