mercoledì 26 aprile 2017

Sergio Cesaratto, i saldi Target2 e la trimurti della pizza di fango


Sergio Cesaratto ha di recente elaborato un corposo documento in merito al tema dei saldi Target2, citando molti recenti articoli. Tra questi il mio, pubblicato su Micromega.

In una nota a piè di pagina, fornisce un’interpretazione alquanto curiosa delle mie argomentazioni, precisamente la seguente.

“Cattaneo non si esenta dal ribadire una proposizione di sapore MMT per cui basta stampare lire e offrirle nel mercato delle valute per procacciarsi gli euro per saldare i conti Target2: “utilizzare la sua ritrovata potestà di emissione monetaria per emettere NL (nuove lire) da convertire in euro sul mercato valutario – con i quali estinguere una parte del saldo verso BCE”. Questo farebbe naturalmente crollare il valore delle nuove lire. Peraltro, se bastasse la stampa di lire nella presunzione che essa sia una solida moneta di riserva, allora queste verrebbero direttamente accettate dalla BCE a regolazione dei saldi. Un’altra proposta è di “concordare swap di attività con BCE a riduzione dei saldi Target2”, ovvero la BCE ci dà euro in cambio di lire, e con quegli euro regoliamo i saldi T2: un evidente gioco delle tre carte, sempre euro dobbiamo alla BCE, prima come T2, ora come swap. Infine, si sostiene, si possono prendere i soldi a prestito: “acquisire finanziamenti garantiti dagli attivi”, sostituendo in debito con un altro!”

Cesaratto ha ritenuto necessario concludere la nota con un punto esclamativo, come se il rifinanziamento di un debito fosse una procedura di inusitata anomalia, invece di un’azione che aziende e governi effettuano su base quotidiana…

Subito dopo nel testo del documento, Cesaratto cita una mia proposta alternativa – “mantenere in vita Target2 per i pagamenti verso l’Italia”. E la commenta più avanti affermando che in questo modo “l’Italia perde valuta pregiata utile per le importazioni”. E quindi “buona fortuna ai cittadini italiani che vedrebbero la lira colare a picco e l’inflazione aumentare corrispondentemente”.

Allora, facciamo un po’ d’ordine. Le opinioni espresse da Sergio Cesaratto sono – con ogni probabilità lui non se n’è reso conto, ma è così – una riedizione della “teoria della pizza di fango”, cara a tanti opinionisti di quelli che una volta si definivano da bar e che oggi hanno a disposizione blog e social network per diffondere le loro opinioni con maggiore agio. La teoria, sic et simpliciter, è che la reintrodotta nuova lira sarebbe una moneta sostanzialmente senza valore, non in grado di essere scambiata sul mercato dei capitali a nessun rapporto di cambio sensato, come se non fosse l’unità di conto e di scambio di un paese da quasi 1.700 miliardi di PIL (una delle prime dieci economie mondiali, nonostante tutto).

Abbiamo naturalmente esempi di paesi il valore della cui moneta si è disintegrato per effetto di un volume di emissioni e di circolazione di potere d’acquisto abnorme rispetto alle capacità produttive dell’economia. E si inquadrano in tre casistiche:

Paesi la cui economia è fortemente dipendente da una materia prima il cui prezzo è crollato sul mercato internazionale.

Paesi funestati da violenti fenomeni di instabilità politica, ai limiti o oltre i limiti della guerra civile, con conseguente crollo della produzione economica.

Paesi in cui le medesime conseguenze sono state prodotte dall’occupazione militare straniera di una parte significativa delle proprie risorse economiche e del proprio apparato produttivo.

Insomma, la trimurti  Venezuela – Zimbabwe – Weimar, con cui gli opinionisti da bar si illudono di controbattere le tesi di chi propone manovre keynesiane di stimolo della domanda, finanziate con emissione monetaria – o di debito in moneta sovrana, o di moneta nazionale parallela quali i CCF / MF.

Queste manovre funzionano se l’azione espansiva riporta la domanda a livelli allineati con la capacità produttiva del sistema economico, ed hanno quindi un senso se esiste un rilevante output gap, alti livelli di disoccupazione e sottoccupazione, pesante sottoutilizzo del potenziale produttivo delle aziende: che è la situazione dell'Italia oggi. Altrimenti produrrebbero solo inflazione, e in quel caso non mi affannerei certo a sviluppare e a promuovere il progetto CCF / Moneta Fiscale.

Ma, ci dice Cesaratto, qui non abbiamo solo il tema di emettere moneta (o suoi equivalenti) per produrre la ripresa della domanda ed eliminare l’output gap, abbiamo anche quello di gestire l’uscita dall’Eurosistema e l’estinzione del saldo Target2. Bene, si tratta appunto del rifinanziamento di un debito estero, dell’ammontare di 358 miliardi di euro a fine 2016 (sarebbero 312 al netto di alcune poste attive compensative, ma trascuriamole), equivalenti a 465 miliardi di Nuove Lire nell’ipotesi di una svalutazione del 30%.

L’Italia nel 2016 ha prodotto un saldo attivo delle partite correnti di 45 miliardi di euro (il saldo dell’interscambio di beni e servizi è ancora più positivo, 58 miliardi) e la “net international investment position” – il saldo netto tra tutte le attività e passività patrimoniali italiane verso l’estero – era passivo solo per il 15% del PIL, ovvero 250 miliardi di euro. In effetti esclusi i saldi Target2 (che sono compresi nei 250) l’Italia detiene un’eccedenza di attivi patrimoniali all’estero rispetto ai passivi.

Immaginate un’azienda che sviluppa un valore aggiunto di 1.700 milioni di euro (il PIL italiano in milioni invece che in miliardi). Se il valore aggiunto è pari al 40% del fatturato (grosso modo il dato medio per l’aggregato delle aziende nazionali) quest’ultimo (il fatturato) è pari a 4.250 milioni. Il debito finanziario netto di questa azienda “similItalia” – 250 – sarebbe circa il 6% del fatturato. C’è da gestire la sostituzione di una linea di credito da 465 milioni, l’11% del fatturato, quindi con ogni probabilità meno del suo capitale circolante netto (che tipicamente si aggira sul 15-20% delle vendite).

Sarebbe perfettamente normale per questa azienda finanziare l’esposizione con debito a breve revolving, e rinnovarlo senza nessuna difficoltà di anno in anno. La sostituzione di una linea di credito di quelle dimensioni è gestibile senza ansie. Tanto più che l’azienda in questione produce un flusso di cassa netto (e per netto s’intende dedotte tutte le esigenze di investimento, dividendi, pagamenti d’imposte ecc.) di 45 milioni annui. Quindi viaggia a un ritmo che azzera in poco più di sei anni il debito finanziario netto.

La linea di credito da rifinanziare – il saldo Target2 – tra l’altro, come argomentavo nel mio articolo, non è da estinguere dalla sera alla mattina. La soluzione più logica è in effetti a mio avviso di mantenerla in essere in un’unica direzione, rendendola cioè utilizzabile per pagamenti di altri paesi dell’Eurozona verso l’Italia (ma non viceversa). Se questi pagamenti fossero tutti per esportazioni di beni e servizi, l’estinzione della linea richiederebbe non meno di due anni: l’export italiano verso il resto dell’Eurozona è infatti pari a circa 220 miliardi (nel 2016), quindi i beni e servizi esportati sono meno della metà del saldo Target2 (465, già considerata la svalutazione della Nuova Lira rispetto all'euro).

Naturalmente l’estinzione può essere ben più rapida se – e in qualche misura sicuramente questo avverrà – una parte degli utilizzi dei saldi Target2 avvenisse a fronte di investimenti finanziari e non di acquisti di beni e servizi. Ma gli investimenti finanziari, nella misura in cui si verificano, sono appunto un rifinanziamento di parte del debito – quello che tanto spaventa Cesaratto…

In ogni caso, le esportazioni saldate con Target2 sottraggono valuta all’economia italiana, e ci sarà quindi, dice Cesaratto, il problema di finanziare le importazioni. Beh a essere sinceri questo è principalmente un problema di chi esporta verso l’Italia. Che tutto sommato non mi è mai parso così in difficoltà nel gestirlo. Esperienza mia recente: dopo parecchi anni, in famiglia ci siamo finalmente decisi a rinnovare il parco automobili (parco si fa per dire, due…). Abbiamo acquistato marche estere (non eurozoniche peraltro, una giapponese e un’anglo-indiana) e ricevuto finanziamenti per oltre il 90% dell’importo totale…

Naturalmente, post svalutazione può essere che qualche produttore sia meno competitivo sul mercato italiano, e rinunci quindi ad alcune vendite. Più Fiat e meno Lexus e Jaguar quindi (ma magari anche più Audi, Bmw e Mercedes con i tedeschi che aumentano la quota di componenti acquistati in Italia). Insomma può essere che calino le importazioni nette italiane. Il che riduce di per sé il problema di finanziarle…

In sintesi, un paese con forti attivi commerciali e poco debito finanziario estero non ha problemi a rifinanziare il debito Target2, se si trova nella necessità di estinguerlo (gradualmente) nel contesto di un’azione di rilancio dell’economia abbinata a un riallineamento del cambio reale che lascia invariato il surplus commerciale.

Che sono, tra parentesi, le caratteristiche del progetto CCF / Moneta Fiscale. Il quale però non prevede la rottura dell’euro e quindi alcun ipotetico problema a fronte dei saldi Target2. Ma che tuttavia, mi si dice, Cesaratto vede con scetticismo. Ho il sospetto che non l’abbia ancora esaminato attentamente e che quindi ritenga che sia una nuova riedizione del “principio della pizza di fango”. Non è così e lo invito alla lettura di questo documento – sintetico ma, credo, completo ed esaustivo.

Mi auguro che avremo il piacere di accoglierlo tra le fila dei sostenitori. E devo dire che mi sento ottimista al riguardo, perché Sergio Cesaratto è un eccellente economista e quindi – come disse un giorno Charlie Munger a Warren Buffett – “ you will end up agreeing with me Warren, because you are smart and I am right !”


martedì 25 aprile 2017

Modena, 29 aprile 2017 ore 16

Un convegno di economia con la partecipazione di un vincitore del Festival di Sanremo non ve lo sareste aspettato, vero ? e invece...

venerdì 21 aprile 2017

Non so come andranno le elezioni francesi, ma…


…trovo interessante questo articolo, segnalato da Stefano Sylos Labini. Aldo Cazzullo (sul Corriere della Sera) cita i punti di contatto tra la candidata anti-establishment di destra, Marine Le Pen, e l’anti-establishment di sinistra, Jean-Luc Mélenchon; e a un certo punto si legge quanto segue:

“Soprattutto, sono [entrambi] contro il sistema, le élites, l’establishment, i “media di regime” e la finanza, cui minacciano di rimborsare il debito pubblico in “moneta fiscale” o in franchi”.
 
L’ho trovato interessante perché una volta di più dà evidenza che il progetto Moneta Fiscale / CCF, quando si arriva al momento di ipotizzare soluzioni praticabili per uscire dai vincoli dell’Eurosistema, è di gran lunga l’alternativa più plausibile: forse l’unica. Questo è vero in Francia così come in Italia.
 
L’articolo di Cazzullo non chiarisce (non è la sede giusta, va detto) vari temi importanti, che è auspicabile siano invece ben presenti nella testa di MLP e di JLM.
 
In primo luogo, il progetto MF / CCF può essere un ponte verso lo scioglimento dell’euro, ma non necessariamente. Ne risolve infatti le disfunzionalità e sul piano tecnico ha tutte le caratteristiche per essere un nuovo assetto permanente, ed efficiente, dell’Eurozona.

Inoltre, l’emissione di MF / CCF è il mezzo per rilanciare la domanda interna e incrementare la competitività delle aziende. Senza bisogno di spaccature della moneta unica e di ridenominazioni di crediti e debiti.

Non essendoci ridenominazioni, non si tratta di “rimborsare il debito pubblico in “moneta fiscale””, ma di stabilizzarlo (lasciandolo in euro). Mentre MF / CCF svolgono la funzione di rilanciare domanda, crescita e occupazione.

Magari (lo sapremo domenica) al ballottaggio per le elezioni presidenziali francesi andranno Fillon e Macron, e non JLM e MLP (già notevole comunque che un derby tra candidati anti-establishment sia una concreta possibilità: poche settimane fa era impensabile).

Ma il punto degno di nota è che l’espressione “moneta fiscale” sta diventando ricorrente anche negli organi di informazione “allineati”. E lo diventerà sempre di più: perché il dato di fatto è, e rimane, che l’Eurosistema nella sua struttura attuale non funziona.


mercoledì 19 aprile 2017

Italy's Third Way Between Austerity and Euroexit

By Biagio Bossone and Marco Cattaneo


Everybody is talking in these days in France about the possibility of either Ms Le Pen or Mr Melenchon winning the presidential election and engineering a France-exit from the Eurozone.

Perhaps less noticeable but possibly even more eventful are in our view the developments that are taking place in the Italian political landscape. With the national institute of statistics (ISTAT) certifying 4.5 million Italians living in absolute poverty (three times the 2007 level, and not declining) the debate is intensifying on whether the country should still struggle to remain within the Eurozone.

At least four main political parties are seriously considering the introduction of some form of parallel currency as a way to overcome the Eurosystem’s dis-functionalities. The Fiscal Money project was recently introduced in Beppe Grillo's M5S electoral program (M5S being credited with a 30% support, according to recent polls), while Mr Berlusconi, who still leads Forza Italia (13%), talks about a national parallel currency and the right wing coalition of Mr Salvini's Lega Nord and Ms Meloni's Fratelli d'Italia (17%) plans to distribute tax-backed small-denomination government bonds, albeit as an intermediate step eventually leading to ExItaly.

The time is ripe for having a national debate on ‘Fiscal Money’ as an instrument to avert Italy taking the complex step of leaving the euro, while giving it a strong chance to recover from perennial stagnation.


What is Fiscal Money?

It is a tax-credit security, issued by the Government, which entitles its holders to reduce future tax payments, say, two years from its issuance. It is assigned, free of charge, to households (thus supplementing their income) and to enterprises (thus cutting their labour costs), and a portion of it can also be used to fund social programs and public investment. It is not legal tender, but it can be voluntarily used and accepted as a means of payment in exchange for goods, services and assets of all types. As to its value vis-à-vis the euro, it should trade at a discount similar to a 2-year zero-coupon bond, but if uncertainty were to widen its discount or make it too erratic, an interest rate could be paid on its holdings to stabilize its value. As the Eurostat rules stipulate, fiscal money would not add to the current budget deficit and public debt, and would be recorded in the budget only when used for tax rebates. 

Once assigned, fiscal money would provide additional purchasing power. In a stagnant economy with largely underused resources, a multi-year sustained program of fiscal money issuances would increase spending, raise output and employment, and generate during the 2-year deferral the additional revenues needed to finance the tax rebates, until full-employment were achieved. In the (unlikely) event of raising inadequate revenues, pre-committed safeguard measures would kick in automatically, thus offsetting any deficit. These safeguards would therefore assuage market uncertainties as to potentially negative budgetary implications. The reduction of enterprise labour cost, on the other hand, would improve Italy’s external competitiveness and prevent trade balances from worsening under increasing demand and support the output multiplier effect.

In conclusion, whereas there would be no downside risks even in the event of the program fiscally underperforming, in all other cases the economy would recover as expectations steadily improve, confidence is restored and enterprises start new investments.


How does fiscal money work?

Fiscal money would be exchanged across a nationwide electronic platform where all resident agents hold accounts that can be accessed through cards, mobile phones or the Internet.  Government would allocate new fiscal money issuances by directly crediting the accounts of select agent categories. Payments and value transfers would take place via the simultaneous debiting and crediting of the accounts of payers and payees, respectively, and fiscal money would become the settlement instrument for all transactions executed in the platform. Fiscal money could also be exchanged as an asset, being demanded from those who may want to use it for future tax rebates or to make profit out of asset price arbitrage.  

Participation in the platform would be governed by a voluntary arrangement whereby the state and individual agents (enterprises, workers, pensioners, merchants and utilities, as well as banks and other financial institutions) accept to use and receive fiscal money for transaction purposes. While not compulsory, acceptance would be actively promoted and supported by Government, with a view to maximizing efficient and effective circulation of the new monetary instrument.


What would be gained?

In practice, fiscal money is the only option available to reflate the economy of a country, such as Italy, with no fiscal space left, no monetary sovereignty, and thus no control over exchange rate policy. We believe it is the only ‘third way’ possible between austerity and Euroexit, capable to help the country survive the shortcomings of the deeply flawed euro architecture.  

giovedì 13 aprile 2017

Intervento al convegno Attuare La Costituzione - il transcript

Grazie a Francesco Chini, che si è sobbarcato la faticaccia di trascrivere il mio intervento (e anche tutti gli altri della giornata !) e a Bottega Partigiana che li sta pubblicando sul suo sito.

martedì 11 aprile 2017

CCF e Moneta Fiscale: obiezioni e confutazioni


L’inserimento del progetto Moneta Fiscale nel programma M5S per le prossime elezioni politiche ha dato luogo a un buon numero di commenti su stampa e media.

Vale la pena di sintetizzare le principali critiche che sono state sollevate, e le relative confutazioni.


Obiezione numero 1: CCF e Moneta Fiscale violano i trattati che disciplinano il funzionamento della moneta unica europea.

Confutazione: CCF / MF sono titoli che danno diritto a beneficiare di riduzioni di pagamenti altrimenti dovuti (in particolare, per tasse e imposte) alla pubblica amministrazione dello Stato che li emette. Sono quindi titoli di sconto fiscale, a utilizzo differito.

Non c’è alcuna violazione del monopolio di emissione monetaria della BCE. La BCE rimane l’unico soggetto emittente di moneta ad accettazione obbligatoria in tutti i 19 paesi dell’Eurozona. CCF / MF sono invece accettati dallo stato emittente solo sulla base di un impegno unilaterale, e solo per una particolare finalità (riduzioni di pagamenti, soprattutto per tasse e imposte).

Qualsiasi altro soggetto economico sarà libero di accettare i CCF / MF, o meno, come contropartita negli scambi di beni, servizi, investimenti finanziari ecc. L’accettazione sarà completamente volontaria (non ci sarà corso forzoso, in altri termini). Su base volontaria, nessuno vieta (né mai è stato vietato) di scambiare beni e servizi contro attività diverse dall’euro (valute straniere, altri beni e servizi in forma di baratto, azioni, obbligazioni o titoli di qualsiasi tipo, ecc.).


Obiezione numero 2: CCF e Moneta Fiscale violano i trattati che disciplinano la governance economica dell’Eurosistema e i relativi regolamenti attuativi.

Confutazione: trattati e regolamenti sono finalizzati a limitare i deficit di bilancio pubblico, in modo da raggiungere l’equilibrio tra entrate e uscite, di stabilizzare il debito in valore, e di ridurlo gradualmente ma costantemente in rapporto al PIL (che si suppone cresca nel tempo, per l’effetto combinato dello sviluppo economico e di un moderato ma positivo tasso d’inflazione). Questo è, in particolare, il senso del Fiscal Compact.

La governance dell’Eurosistema è stata impostata in questi termini per evitare turbolenze e potenziali dissesti derivanti dalla crescita dell’indebitamento pubblico in uno o più stati membri, in quanto non è prevista né la condivisione dei rischi legati a potenziali default, né una garanzia assoluta da parte della BCE (la garanzia c’è, ma in buona sostanza è collegata al rispetto del Fiscal Compact).

I CCF / MF non comportano, tuttavia, alcun impegno di rimborso: l’emittente non può quindi essere costretto al default. I CCF / MF, di conseguenza, non sono debito: i regolamenti Eurostat, coerentemente, precisano senza ambiguità che un non-payable tax credit – un titolo che dà diritto a ridurre pagamenti futuri verso la pubblica amministrazione, ma non a ricevere un rimborso cash – non debba essere computato nel debito. Vedi qui.


Obiezione numero 3: se anche i CCF / MF non sono debito al momento dell’emissione, incrementano il debito (a parità di condizioni) al momento dell’utilizzo. Il problema è quindi solo spostato nel tempo.

Confutazione: il CCF / MF ha valore autonomo fin dal momento dell’emissione perché incorpora il diritto a uno sconto fiscale futuro. Chi li riceve beneficia quindi di un immediato arricchimento patrimoniale e aumenta la propria capacità di spesa. L’economia italiana soffre in questo momento (in effetti da vari anni) di un pesante deficit di domanda, che causa disoccupazione elevata e sottoutilizzo del potenziale produttivo del paese. In queste condizioni, l’effetto espansivo di un’immissione di potere d’acquisto nell’economia è particolarmente elevato (moltiplicatore keynesiano superiore all’unità: purtroppo il moltiplicatore funziona anche al contrario, motivo per il quale – contrariamente a quanto allora si sperava – le manovre restrittive intraprese nel 2011-2012 per cercare di limitare deficit e debito pubblico hanno avuto effetti disastrosi, producendo un calo di PIL di oltre il 4%).

Peraltro, se i CCF / MF sono emessi con una dilazione temporale di utilizzo (per beneficiare degli sconti fiscali) di (ad esempio) due anni, anche un moltiplicatore keynesiano sotto l’unità è sufficiente per raggiungere a termine l’equilibrio tra maggior gettito lordo prodotto dall’espansione economica, e riduzione di gettito prodotta dagli sconti.


Obiezione numero 4: in ogni caso, si viola il principio costituzionale che prevede l’indicazione di coperture specifiche per ogni nuova spesa pubblica, o per ogni riduzione di entrata fiscale.

Confutazione: il principio viene totalmente rispettato se le coperture vengono previste, con attuazione però differita al momento in cui i CCF / MF diventeranno utilizzabili per conseguire sconti fiscali (non ha senso, peraltro, che le coperture agiscano prima). Per esempio, nel 2018 si emettono CCF / MF per 30 miliardi con scadenza di utilizzo (per conseguire gli sconti fiscali) al 2020; le coperture vengono immediatamente identificate, ma con attuazione (eventuale) nel 2020.

Nel caso limite in cui chi riceve CCF / MF non li utilizzi in alcun modo (li dimentichi in un cassetto per due anni, in pratica) per utilizzarli poi nel 2020, si farà “partita patta”: riduzione di gettito da un lato, coperture che scattano per pari importo dall’altro.

Questo è un caso limite del tutto inverosimile (e comunque non crea alcun effetto negativo rispetto a non attuare il progetto Moneta Fiscale). Con ogni probabilità, al contrario, l’espansione economica e il connesso maggior gettito faranno automaticamente decadere la necessità di attivare le coperture.


Obiezione numero 5: l’accettazione del CCF / MF richiede comunque che la collettività – cittadini, aziende, operatori finanziari - abbia fiducia nel valore del titolo.

Confutazione: il CCF / MF incorpora un diritto illimitato nel tempo, a partire da una data futura (peraltro vicina nel tempo: ad esempio, come detto, da due anni dopo l’emissione in poi) a beneficiare di uno sconto fiscale. Sotto questo aspetto è più sicuro di un titolo di Stato emesso dalla Repubblica Italiana con impegno al rimborso in euro. La Repubblica Italiana potrebbe non disporre degli euro per rimborsare un BTP, mentre non potrà mai essere forzata a disconoscere l’impegno ad accettare il CCF / MF per ridurre pagamenti di imposte o tasse. E un diritto di riduzione fiscale ha sempre un valore (appunto perché ci saranno sempre pagamenti fiscali da effettuare).


Obiezione numero 6: l’emissione di una rilevante quantità di CCF / MF metterà in agitazione i mercati finanziari.

Confutazione: al contrario, è altamente probabile che li tranquillizzi. Oggi l’impegno dell’Italia a portare in pareggio il saldo tra entrate e uscite pubbliche in euro è molto arduo da raggiungere, e nella misura in cui ci si prova rischia di aggravare le pesanti condizioni di depressione di cui l’economia italiana soffre ormai da anni. Il progetto Moneta Fiscale crea invece i presupposti per raggiungere l’equilibrio dei saldi di finanza pubblica, avviando contemporaneamente un processo di forte e rapido recupero dell’economia. Senza peraltro (vedi il punto 4) effetti negativi neanche nello scenario più pessimistico (e più inverosimile), cioè nell’ipotesi di effetto espansivo nullo.


Obiezione numero 7: la ripresa economica, in regime di cambi fissi, implica un peggioramento dei saldi commerciali esteri.

Confutazione: questo effetto è facilmente evitabile, erogando alle aziende una parte dei CCF / MF emessi, in funzione dei costi di lavoro da esse sostenuti (una stima plausibile può essere il 25% del totale, che all’incirca è l’incidenza sul PIL sia dell’export che dell’import). Questo crea un immediato recupero di competitività e consente di avviare una rilevante ripresa economica senza peggiorare la bilancia commerciale.

Va comunque ricordato che l’Italia non parte da una situazione di squilibrio nei flussi commerciali esteri, e neanche di pareggio, ma di forte attivo. Nel 2016 il saldo delle partite correnti è stato positivo per circa 45 miliardi; il puro interscambio di beni e servizi ha registrato un’eccedenza di quasi 60 miliardi.

venerdì 7 aprile 2017

Video convegno Attuale La Costituzione, Milano 18.3.2017

Più che entrare nei dettagli tecnici di CCF e Moneta Fiscale, ho cercato di chiarire perché sul piano politico la via di affiancamento ha più probabilità di raggiungere il risultato, rispetto a quella di rottura (dell'euro).

Il che poi è coerente con la constatazione che a questo punto di moneta parallela / fiscale parlano tutte le forze politiche, in un modo o nell'altro: il solo PD escluso (per ora).

Il M5S ne sta facendo un punto di programma, Berlusconi parla da tempo di moneta complementare, la Lega di Minibot fiscali (in questo caso come transizione verso l'euroexit).

Significa i rappresentanti di due terzi dell'elettorato. Cosa che non ho mancato di far notare, negli ultimi giorni, a qualche osservatore non particolarmente attento secondo il quale "di Moneta Fiscale parlate solo voi...".

Qui il video.


giovedì 6 aprile 2017

Default su debito in moneta propria: alcuni chiarimenti


Qualche giorno fa mi sono trovato immerso in un animato dibattito (su twitter) in merito alla possibilità che un paese faccia default su debito denominato nella propria moneta nazionale. Le discussioni vertevano sul fatto che qualcosa del genere possa accadere al Giappone, o all’Italia in caso di ritorno alla lira.

Mi veniva, da alcuni, contestata un’affermazione che in effetti non ho mai formulato.

Non ho mai detto che nella storia non si siano mai verificati default su debito in moneta propria. E’ accaduto, e l’esempio recente più rilevante e più frequentemente citato è quello russo del 1998.

Ho invece affermato, e non vedo come si possa contestarlo, che uno stato non può mai essere forzato a fare default su debito in moneta propria. Se sono l’emittente della moneta, nessuno mi può costringere a non onorare un impegno espresso in quella moneta. Mi sembra che non ci sia nemmeno necessità di spiegarlo.

Se, quindi, in qualche rara occasione il default su debito in moneta propria è avvenuto, si è trattato di una consapevole scelta di politica economica: volontaria, non imposta.

E’ possibile immaginare almeno due giustificazioni per un’operazione di questo tipo (al di là delle valutazioni di merito sull’opportunità di effettuarla).

In primo luogo, lo stato emittente potrebbe ritenere necessario ridurre il potere d’acquisto in circolazione nella propria economia, per frenare eccessi di domanda e di inflazione. Il default in questo senso è assimilabile a un’imposizione fiscale (a una tassazione patrimoniale, per la precisione). Posso preferire far subire la perdita di potere d’acquisto ai titolari del debito pubblico invece che tagliare spese o aumentare le tasse su redditi, consumi, immobili o quant’altro.

In secondo luogo, posso cercare di mantenere un determinato rapporto di cambio tra la mia moneta e le valute estere. Se non ho abbastanza riserve valutarie per convertire la moneta in circolazione, devo adottare politiche deflattive. E una forma di politica deflattiva è ridurre la moneta propria, o i titoli da rimborsare in moneta propria, per abbassare le probabilità di ricevere richieste di conversione a cui non riesco a far fronte sulla base di un rapporto di cambio che, per qualche motivo, ho deciso di mantenere fisso a un determinato livello.

Come si vede, all’origine della decisione in entrambi i casi c’è la volontà di deflazionare l’economia: nel primo caso per ridurre la domanda e l’inflazione, nel secondo per sostenere il cambio.

Che lo strumento più opportuno per ottenere questi risultati sia il default su debito in moneta propria è discutibile, e in effetti si è verificato solo in circostanze estreme. Ma il punto è un altro: non ha senso preoccuparsi di un rischio di default sul debito pubblico giapponese “perché è il 230% del PIL”. Il rapporto al PIL non rileva: rileva il fatto che il Giappone non ha problemi di inflazione e non è in regime di cambio fisso con nessun’altra valuta.

Né avrebbe senso preoccuparsi per un default in moneta sovrana dell’Italia dopo il ritorno alla lira e l’adozione di un regime di cambio flessibile. Il rapporto debito pubblico / PIL anche qui non ha importanza. Importanti sono invece l’inflazione bassissima, e la domanda fortemente depressa rispetto alle capacità produttive del sistema economico: condizioni sotto le quali adottare politiche deflattive è privo di senso.

L’Italia, tornata alla lira e ai cambi flessibili, non potrebbe essere forzata al default e non avrebbe alcuna necessità, né teorica, né pratica, di prendere nemmeno lontanamente in considerazione un’eventualità del genere. Sarebbe, in altri termini, nella posizione odierna del Giappone, non in quella della Russia nel 1998.


lunedì 3 aprile 2017

Ancora sugli aspetti giuridico-contabili della Moneta Fiscale

Come sempre molto preciso e puntuale, Massimo Costa sintetizza qui i temi chiave.

“I principi contabili “privati” (IAS / IFRS) presiedono alla tenuta dei conti di qualsiasi azienda “for profit” che detenga un titolo, o anche alla contabilità economico-patrimoniale degli enti pubblici (da noi regolata dal D. 118 / 2011 e non regolata, in quanto mai istituita, per lo Stato).

Altra cosa è la statistica economica regolata dai principi Eurostat, gli unici rilevanti per i trattati. La contabilità Eurostat è una contabilità che è sì “aziendale”, cioè relativa alle singole unità economiche, ma è pensata per un’aggregazione da contabilità nazionale, ciò che in effetti è. E quindi, rispetto alle contabilità aziendali propriamente dette, subisce alcune semplificazioni.

Tra queste la più rilevante per noi: le “passività”, a differenza delle attività, non sono distinte tra “non finanziarie” e “finanziarie”. Tutte le passività Eurostat sono quelle finanziarie, al punto che l’aggettivo è omesso. Le “non finanziarie”, di qualunque natura (cioè le passività che non siano debiti) non hanno alcun riconoscimento in quel sistema contabile. Non ho mai negato che dal punto di vista economico-aziendale la Moneta Fiscale sia una passività, ma non è una passività finanziaria, cioè non è un debito, come non lo sono gli acconti ricevuti da clienti, i risconti, i contributi in conto capitale, gli obblighi di fare, non fare e simili, i debiti in natura e tanti altri claims dai quali però non scaturisce in alcun modo un flusso futuro negativo di denaro.

Per questa ragione la passività non finanziaria, nei conti Eurostat, è trattata come non–payable tax credit, con le note conseguenze (Nota MC: di non essere considerata debito).

Giusto ? sbagliato ? Non sono io il legislatore. Posso solo notare che, in un’ottica di controllo finanziario qual è quella UE, il “flusso finanziario” più che la consistenza patrimoniale ha giustamente maggior rilievo di quanto accada sotto un profilo strettamente aziendale. In ogni caso è così, piaccia o no.

Il “vizio” logico consiste nello scoprire l’acqua calda, e cioè che i “debiti fiscali” sono passività secondo gli IFRS per chi li emette e crediti per chi li detiene. Ma non sono debiti finanziari, e quindi non costituiscono “debito” nell’unico senso richiesto dai trattati.

Il sistema Eurostat è però internamente coerente: i debiti tributari non pagabili non sono “passività” e, specularmente, i crediti tributari non incassabili (Nota MC: ma utilizzabili in compensazione, e solo in compensazione) (visti dal punto di vista di chi li detiene) non sono attività, né finanziarie né reali.”


domenica 2 aprile 2017

Sky Economia: Gennaro Zezza sulla Moneta Fiscale

Video del 31 marzo 2017: intervista che riassume il tema Moneta Fiscale, mettendolo tra l’altro a confronto con i Certificati di Credito Fiscale.


Su questo ultimo punto: io ho sempre considerato i termini – MF e CCF – intercambiabili, in quanto sono variazioni su un medesimo concetto.

Gennaro introduce al contrario una chiara distinzione: fa riferimento alla MF come strumento di pagamento circolante, e al CCF come titolo di Stato. E in effetti il CCF è un titolo di Stato: non di debito, ma comunque emesso dallo Stato e accettato due anni dopo l’emissione per ridurre pagamenti per tasse, imposte ecc.

La proposta CCF è nata appunto in questi ultimi termini. Associare al CCF uno strumento di pagamento elettronico e farne un mezzo di scambio usato nella quotidianità è peraltro possibile e senz’altro opportuno, specialmente per la quota di allocazioni che andrà a persone non particolarmente esperte nell’impiego di strumento finanziari. Se ne parlava per esempio qui. Questo trasforma il CCF in MF.

L’altra cosa che a Zezza appare opportuna è che la Moneta Fiscale sia utilizzabile subito (subito, s’intende, per ridurre pagamenti di tasse, fermo restando che in ogni variante il CCF / MF è spendibile immediatamente nella misura in cui viene accettata dagli operatori commerciali). Senza il differimento di due anni proposto per i CCF, in altri termini.

Qui però c’è il problema che se tutta la Moneta Fiscale emessa va immediatamente a ridurre pagamenti all’erario, la manovra equivale a un’immediata creazione di deficit. Per risolvere questo problema Gennaro ha in mente, mi sembra, che l’utilizzo immediato come sconto fiscale sia possibile ma solo in parte (ad esempio consentendo di ridurre – mediante Moneta Fiscale - pagamenti per IVA, imposte dirette, contributi ma solo fino a un massimo poniamo del 20% della somma lorda dovuta in occasione di ogni singolo pagamento).

Il punto è da approfondire. Comunque sono varianti tecniche importanti ma che non mettono in dubbio le grandi potenzialità del progetto. Che, finalmente, ha fatto un salto di qualità nel dibattito politico.


sabato 1 aprile 2017

CCF e Moneta Fiscale: riassunto degli eventi fino a oggi...

In questa presentazione di Giovanni Zibordi, un'utilissima sintesi di alcuni anni di proposte e argomentazioni sul tema CCF / Moneta Fiscale / moneta parallela per risolvere le disfunzioni dell'euro.

Proposte su cui finalmente si stanno accendendo i riflettori del dibattito politico.