sabato 25 febbraio 2017

Ma sei per il break-up o sei per la Moneta Fiscale ?

Questa domanda, ultimamente, me la pongono in parecchi. Ed è curioso, perché le mie opinioni sull’alternativa – tra rompere l’euro e introdurre un sistema di Monete Fiscali nazionali, in affiancamento all’euro - mi pare di averle sempre espresse molto chiaramente.

Ma chiari evidentemente non si è mai abbastanza, quindi…

Il break-up dell’euro ha un notevole grado di complessità operativa. Inoltre, è difficile raggiungere il consenso politico necessario per metterlo in atto.

Questo non significa che sia impossibile. E’ caduto l’Impero Romano, si è sfasciata l’Unione Sovietica, figuriamoci se non si può sciogliere un’unione monetaria.

I problemi tecnici sono tutti risolvibili. Target2, CAC, Credit Default Swaps (conto di scriverne prossimamente), ridenominazione dei debiti privati (idem): nessuna difficoltà è insormontabile.

Detto questo, attuare il break-up non è banale, il che è esattamente la ragione per cui, nel 2012, ho cominciato a sviluppare e promuovere il progetto CCF, come strada per ridare al sistema monetario europeo la necessaria funzionalità e per risolvere la crisi, senza passare tramite la rottura dell’euro e le relative complicazioni.

Tecnicamente, introdurre i CCF è molto più semplice che rompere l’euro. E politicamente è molto più facile coagulare la volontà di agire – credo. Anche se su quest’ultimo punto le valutazioni sono molto più aleatorie.

Quindi:

Se mi date un tasto da premere per attivare il break-up, sapendo che in alternativa tra sei mesi con certezza si introdurranno i CCF (o qualcos’altro che ottenga effetti analoghi), posso pensare di attendere sei mesi. Sei mesi, non sei anni. E nemmeno due.

Ma questa certezza in pratica non ci sarà mai.

E siccome l’alternativa tra sei mesi non sarà una certezza ma al massimo una probabilità, se il tasto break-up si materializza, lo premo.

Per riassumere: tra Moneta Fiscale e break-up, due strade entrambe finalizzate a togliere l’Italia e l’Europa da questa situazione assurda, la prima che si rivela attuabile va percorsa. Io ritengo più probabile che sarà la Moneta Fiscale. Ma questo lo diranno i fatti.

lunedì 20 febbraio 2017

CCF non convertibili


Si discute spesso in merito alla possibilità che i Certificati di Credito Fiscale vengano introdotti in forma “non convertibile”. In altri termini, i CCF verrebbero assegnati gratuitamente a una pluralità di soggetti, che però (diversamente dal progetto base) non avrebbero facoltà di cederli in cambio di euro.

Gli assegnatari potrebbero invece utilizzarli come contropartita di transazioni dirette: quindi per pagare beni e servizi, partendo dal presupposto che un ampio ventaglio di operatori economici e commerciali accetterà indifferentemente CCF o euro. Un po’ come avviene per il Sardex (vedi qui e qui) o per altre forme di moneta complementare, ma su scala molto più ampia, in quanto i CCF godrebbero della garanzia di accettazione da parte dello Stato per scontare pagamenti di imposte, tasse, o altre obbligazioni finanziarie (di qualsiasi tipo) verso il settore pubblico.

Se ne parla di frequente, ad esempio, con Stefano Sylos Labini, soprattutto sulla base della preoccupazione che l’immissione di decine di miliardi di CCF produca una forte pressione al ribasso sul valore di mercato dei titoli.

Personalmente, resto dell’opinione che i CCF dovrebbero invece essere negoziabili e cedibili, senza limitazioni, sul mercato finanziario. E questo per varie ragioni.

UNO, l’utilizzabilità fiscale dei CCF a fini fiscali costituisce un fortissimo sostegno al loro valore. Se possiedo un titolo, assegnatomi il 1° luglio 2017, che a partire dal 1° luglio 2019 sarà illimitatamente utilizzabile per scontare pagamenti alla pubblica amministrazione, non ho incentivo a spossessarmene per un valore inferiore al facciale, se non nella misura di un (presumibilmente modesto) tasso di attualizzazione.

DUE, in ogni caso, non si verifica un’immissione immediata e massiccia di titoli sul mercato. Attualmente si sta ragionando su 30 miliardi per il primo anno, da incrementare poi successivamente. Le immissioni sono scaglionate nel tempo: si parte quindi da circa 2,5 miliardi al mese. Al confronto, l’intero mercato dei titoli di Stato italiani ha come numeri di riferimento 2.200 miliardi di debito pubblico totale, e circa 500 miliardi di nuove emissioni annue (per coprire il deficit ma soprattutto per rifinanziare il debito che giunge a scadenza). Le assegnazioni di CCF spostano ben poco rispetto il volume totale delle transazioni di titoli italiani (che beninteso non sono solo i titoli di Stato, ma anche obbligazioni private, azioni, derivati, strumenti ibridi eccetera).

Ma d’altra parte, se anche fosse vero che l’immissione sul mercato dei CCF può produrre una pressione al ribasso sui prezzi,

TRE, rendendoli non convertibili in euro mediante cessione sul mercato finanziario, si costringe l’assegnatario a far conto solo sul loro utilizzo per acquisti di beni e servizi. L’ipotetico problema della pressione al ribasso sui prezzi dei titoli rientrerebbe dalla finestra, perché se pressione ci fosse, gli operatori commerciali accetterebbero i CCF solo a sconto rispetto agli euro. Con in più l’aggravante della mancanza di liquidità di CCF, che tenderebbe a ridurne il valore di mercato (di quanto è difficile prevedere, ma di sicuro l’effetto è di riduzione).

In sintesi, la non convertibilità dei CCF si propone di risolvere un problema che a mio parere non esiste, o è comunque di scarso rilievo: ma se esistesse, ne sarebbe in effetti una soluzione puramente illusoria. Lo sconto massiccio non ci sarà: ma se ci fosse, la non convertibilità non lo evita – al contrario, lo incrementa.


sabato 18 febbraio 2017

Perché i CCF sono un progetto a rischio zero

Uno dei dubbi che più di frequente mi vengono espressi, dagli interlocutori a cui espongo il progetto, si riassume nella domanda “ma se poi, contrariamente alle previsioni, l’erogazione di CCF non produce alcun effetto espansivo, nel momento in cui – a due anni di distanza – i CCF stessi vengono utilizzati per conseguire sconti fiscali, si crea un “buco” nelle entrate statali”.

Bene, immaginiamo che l’assegnazione di CCF a famiglie e imprese non produca, effettivamente, alcun effetto espansivo. E’ un’ipotesi inverosimile: equivale a immaginare che chi riceve un titolo con un significativo valore di mercato – perché equivale a uno sconto fiscale utilizzabile tra due anni – li metta in un cassetto e se ne scordi fino al momento futuro in cui, appunto, li userà per ridurre pagamenti d’imposta.

Equivale a ipotizzare, in altri termini, che il ricevente non ceda i CCF sul mercato finanziario in cambio di euro, o che lo faccia e poi non spenda gli euro ricavati, né che li usi come contropartita di acquisti di beni e di servizi. Neanche per un centesimo.

Ma discutiamo pure gli effetti di questo “caso limite”. Nel momento in cui una determinata quantità di CCF viene assegnata, possono essere previste azioni compensative (tagli di spesa e/o incrementi di imposte) che decorrano anch’essi fra due anni, entrando però in vigore se e solo se non si è verificata una crescita di PIL e gettito fiscale sufficiente a compensare l’utilizzo dei CCF stessi.

Queste azioni compensative possono essere “normate” fin dall’inizio del progetto, il che tra l’altro confuta qualsiasi asserzione, o eccezione alla luce dei trattati UE, dei regolamenti, o dell’articolo 81 della Costituzione, che la manovra sia “priva di copertura”.

Ora, se si verifica il caso limite – zero effetto espansivo – due anni dopo la partenza del progetto i CCF vengono utilizzati e riducono il gettito, ma le azioni compensative pareggiano esattamente l’impatto sul deficit pubblico di questo utilizzo.

In altri termini, la partita finisce zero a zero: zero benefici e zero danni.

Attuando il progetto CCF in questi termini, il rischio di “buco fiscale a termine” semplicemente non esiste, anche nell’ipotesi – estremamente remota – che non ci sia alcun effetto positivo su domanda, PIL e occupazione.

Con altissima probabilità, l’effetto del progetto CCF sull’economia è fortemente positivo. Nell’inverosimile eventualità in cui questo non avvenga, l’effetto è, alla peggio, nullo. In nessun caso sono ipotizzabili danni o controindicazioni.

giovedì 16 febbraio 2017

Progetto Moneta Fiscale - la presentazione più aggiornata

Stavo per scrivere "l'ultima versione" ma dicendo "l'ultima" occorre subito precisare "the latest but not the last". Altre ne seguiranno perché il lavoro di messa a punto continua, i dati vengono continuamente aggiornati, eccetera eccetera.

Comunque ecco quanto di più esaustivo, e spero anche di più chiaro, abbiamo prodotto di recente per spiegare il progetto Moneta Fiscale / CCF.

martedì 14 febbraio 2017

Target2: articolo su Micromega

Un mio articolo su Micromega - che riprende e integra il contenuto di alcuni post precedenti, cercando di far chiarezza sull'ormai annosa vicenda dei saldi Target2.

Spero che leggendolo la questione risulti meno misteriosa ! comunque sul tema "gli sbilanci Target2 impediscono di uscire dall'euro ?" la mia risposta è, chiaramente, NO.

Poi, se vogliamo percorrere una strada operativamente (e credo anche politicamente, ma lì le valutazioni sono difficili) molto più semplice, ci sono i Certificati di Credito Fiscale...

domenica 12 febbraio 2017

Moneta Fiscale per fasce sociali disagiate

Alcune riflessioni derivanti da scambi di idee con Giuseppe Rizzo e (via twitter) con @Joel_S_Beaumont, che si ricollegano peraltro a confronti da tempo in corso in particolare con Biagio Bossone, Stefano Sylos Labini e, di recente, con Gennaro Zezza.

Il tema è l’erogazione di Moneta Fiscale a persone con bassi livelli di reddito e/o di disponibilità patrimoniali.

Queste persone con ogni probabilità troverebbero difficile operare con titoli, quali i CCF, cedibili contro euro sul mercato finanziario. Per un’azienda o per un individuo abituato a investire in BOT o BTP, disporre di un conto titoli in banca e negoziare i CCF (che sono semplicemente una nuova categoria di titolo di Stato, anche se non hanno natura di debito pubblico) è un passaggio di facile comprensione e di semplice attuazione.

Per le fasce sociali disagiate, con ogni probabilità no. A questi soggetti, potrebbe essere preferibile erogare Moneta Fiscale mediante carte elettroniche (una variante della social card: tra le altre possibilità, si potrebbero adattare a questi fini le tessere sanitarie) o anche in forma cartacea (una variante dei Minibot proposti da Claudio Borghi).

Questo tipo di Moneta Fiscale non sarebbe soggetta a dilazione di utilizzo: in altri termini, permetterebbe di ridurre pagamenti fiscali o di altra natura (comunque dovuti alla pubblica amministrazione) immediatamente a partire dall’erogazione. Non ci sarebbe, quindi, la dilazione di due anni prevista per i CCF.

Molti esercizi commerciali e operatori economici (catene di grande distribuzione, distributori di carburante, erogatori di luce, acqua, gas, gestori di autostrade) accetterebbero indifferentemente euro o Moneta Fiscale, purché la Moneta Fiscale fosse dotata di un tasso d’interesse un po’ più alto rispetto a quello di un conto corrente bancario in euro (oggi, con i tassi attivi bancari a zero, probabilmente basterebbe un 2% circa).

Il tasso d’interesse potrebbe essere corrisposto in Moneta Fiscale o anche in euro.

In poco tempo la diffusione diventerebbe totale o quasi, con accettazione che si estenderebbe anche alle aziende medie e piccole, agli operatori al dettaglio di minore dimensione, ecc.

Chi riceve questa "Moneta Fiscale a utilizzabilità immediata” potrebbe spenderla senza nemmeno chiedersi se sia una cosa diversa dagli euro. Sarebbero, sotto tutti gli aspetti pratici, semplicemente “soldi”.

Le aziende che accetteranno la Moneta Fiscale in pagamento di beni e servizi avranno, (come qualsiasi azienda) flussi costanti di pagamenti verso l’erario: soprattutto per IVA, nonché per imposte e contributi versati anche per conto dei loro dipendenti. Il che rende la Moneta Fiscale un valore molto tangibile e molto sicuro.

Il difetto di questa variante è che non si avrebbe la certezza del differimento di utilizzo, che permette all’economia di generare crescita e gettito prima che la Moneta Fiscale venga utilizzata come sconto. Manca, in altri termini, il differimento garantito per due anni, previsto nel progetto-base CCF.

Tuttavia, il tasso d’interesse più alto (rispetto a un conto bancario o ad altri impieghi a breve termine, quali BOT e CTZ) indurrebbe molti degli operatori a non sfruttare subito la Moneta Fiscale per conseguire gli sconti fiscali, preferendo invece accumulare interessi per un certo periodo di tempo. Si avrebbe quindi comunque un differimento, non necessariamente inferiore (o non di molto), in media, rispetto ai due anni previsti per i CCF.

Se per esempio la Moneta Fiscale erogata nel primo anno del progetto fosse pari a 30 miliardi, di cui 20-25 a utilizzabilità differita e 5-10 a utilizzabilità immediata (ma con interessi, e quindi incentivo a, comunque, differirla) l’equilibrio dei flussi di cassa statali resterebbe ampiamente preservato. 

giovedì 9 febbraio 2017

Ancora sui saldi Target2


Riflettendoci ulteriormente, la questione comincia a sembrarmi, in definitiva, abbastanza semplice. Beh, diciamo non così complicata…

Finché la Banca d’Italia fa parte dell’Eurosistema, ha facoltà – come l’hanno tutte le banche centrali che ne fanno parte – di emettere euro. La Banca d’Italia è, in effetti, una filiale dell’Eurosistema.

Se i pagamenti dall’Italia verso altri paesi dell’Eurozona sono superiori ai pagamenti in direzione opposta, si forma un saldo netto, finanziato da emissioni di euro da parte della Banca d’Italia (nella sua qualità di filiale dell’Eurosistema, appunto).

Queste emissioni di euro costituiscono un’attività per qualcuno che sta fuori dal nostro paese (coloro che ricevono i pagamenti). Per la Banca d’Italia sono invece una passività contabile: il saldo Target2, appunto.

E’ una passività, ma la Banca d’Italia la deve rimborsare ? no, perché non è un debito derivante da un contratto di finanziamento. Non ha scadenze né garanzie. E’ una passività che deriva da un’attività di emissione monetaria.

Qual è l’impegno della Banca d’Italia a fronte della passività Target2 ? La Banca d’Italia è impegnata ad accettare che questi euro (i saldi attivi di altre banche centrali, accumulati nel sistema Target2) vengano utilizzati per pagamenti nel territorio nazionale.

Vi sembra strano ? la Federal Reserve USA, che (come qualsiasi banca centrale) emette banconote, registrate contabilmente al passivo del suo bilancio, si trova in una situazione per molti aspetti analoga.

Una parte sostanziosa di queste banconote – svariate centinaia di miliardi di dollari – circolano all’estero. E circolano perché vari residenti USA hanno effettuato pagamenti cash verso l’estero, o hanno comunque, per varie ragioni, trasferito dollari (in contanti) all’estero. Non perché residenti USA siano stati finanziati da soggetti esteri (in quest’ultimo caso, infatti, non ci sarebbe stato deflusso di dollari all’estero, ma afflusso di valuta straniera negli USA).

La Fed deve rimborsare queste banconote ? no. Semplicemente, s’impegna a far sì che i dollari detenuti da non residenti USA siano sempre utilizzabili all’interno del territorio statunitense (così come quelli detenuti da residenti).

C’è una differenza: se l’Italia esce dall’Eurozona, la moneta legale italiana non sarà più l’euro, ma la Nuova Lira, o quale che sarà il nome.

Ma cambia poco: la Banca d’Italia sarà impegnata (se richiesta) a convertire gli euro affluiti tramite il canale Target2, al cambio corrente, in Nuove Lire. Finché lo fa – e non ha problemi a farlo, perché emette le Nuove Lire – è perfettamente in regola con i suoi impegni.

lunedì 6 febbraio 2017

sabato 4 febbraio 2017

Minibot e CCF

Pochi giorni fa, Claudio Borghi, durante un convegno organizzato a Milano della Lega Nord, ha fornito alcuni dettagli in merito alla sua proposta di emettere BOT di piccolo taglio, utilizzabili anche per pagare tasse, come transizione verso l’uscita dall’euro.

La sintesi dello schema la trovate in questo “Storify Twitter” predisposto da Borghi stesso. Solo una precisazione: Borghi effettivamente aveva pubblicato in precedenza (su “Il Giornale”) un articolo sul tema, ma io non l’avevo letto. L’avevo tuttavia sentito accennare all’idea in un intervento televisivo (all’”Ultima Parola” di Gianluigi Paragone, se non sbaglio), e da qui è nato il contatto e l’incontro che abbiamo avuto nel novembre del 2012. Non fa nessuna differenza, ci tengo solo a dirlo perché se avessi conosciuto allora quell’articolo, sarebbe stata da parte mia una scorrettezza non citarlo come riferimento nel libro Hoepli e nell’ebook Micromega.

Confermo che Minibot e CCF sono strumenti con molte somiglianze: il vero elemento differenziante è che i Minibot vengono concepiti in funzione di uno scioglimento completo dell’Eurozona, o de minimis come “scivolo” verso l’uscita dell’Italia. I CCF, non necessariamente.

Rispetto ai Minibot, i CCF sono infatti costruiti in modo da poter essere un assetto permanente, nel senso che l’Italia e altri paesi potrebbero emettere e far circolare CCF nazionali pur continuando a utilizzare l’euro come moneta a corso legale.

A quest’ultima eventualità Borghi non crede (ed è la stessa opinione, tra gli altri, di Giovanni Zibordi) ma per ragioni politiche, non tecniche. L’euro è nato per “forzare” il processo di integrazione dei principali paesi europei in un superstato, ed essendo ormai acclarato che questo progetto è fallito, non c’è ragione per mantenere in essere l’Eurozona, neanche in forma riveduta e corretta.

Capisco la logica di questa posizione. D’altra parte continuo a non escludere che, introdotta una moneta fiscale complementare (che poi si chiami Minibot, CCF o Asdrubale ovviamente è secondario) e creato un sistema economico-monetario che consente di superare la crisi, il nuovo assetto duri nel tempo semplicemente perché non crea più problemi, e l’inerzia spinge al mantenimento in essere della struttura, una volta che se ne sono risolte (finalmente) le disfunzioni.

Lo diranno i fatti. Per ora, molto importante è che si sta mettendo in chiaro come il primo e fondamentale passaggio, da effettuare appena ce ne saranno le condizioni politiche (con ogni probabilità, e tanto per cominciare, un governo senza PD…) è emettere uno strumento monetario nazionale. E che il titolo utilizzabile a fini fiscali appare la via di gran lunga più plausibile.


giovedì 2 febbraio 2017

Saldi Target2: Draghi “chiede un riscatto” per uscire dall’euro ?


Nelle ultime settimane si è parlato parecchio, su media e social network vari, di uno scambio di lettere tra due europarlamentari, Marco Valli e Marco Zanni, e il presidente della BCE Mario Draghi.

Valli e Zanni sono entrambi stati eletti nelle liste M5S, anche se recentemente Zanni è uscito dal gruppo europarlamentare EFDD, a cui aderisce M5S, per entrare nell’ENF, che ha invece tra le sue componenti la Lega Nord. Qui il testo della loro richiesta d'informazioni.

L’interesse mediatico è stato suscitato dall’affermazione finale contenuta nella risposta di Draghi. Testualmente: “Se un paese lasciasse l’Eurosistema, i crediti e le passività della sua BCN (Banca Centrale Nazionale) nei confronti della BCE dovrebbero essere regolati integralmente”.

Questa frase ha creato molto scalpore, per due motivi differenti.

In primo luogo, appare un’ammissione chiara ed esplicita della non irreversibilità dell’euro: che, provenendo dalla massima autorità monetaria dell’Eurozona, ha inevitabilmente fatto sensazione.

Ma altrettanto rumore ha generato l’interpretazione della richiesta di “regolare integralmente” le posizioni nei confronti della BCE. Al 31 dicembre 2016, la principale partita patrimoniale tra Banca d‘Italia e BCE è uno sbilancio debitorio pari a circa 357 miliardi di euro, ai sensi dei saldi “Target2”.

Sul primo punto, il mio sospetto è che a Draghi si siano attribuite volontà di “inviare messaggi” (più o meno subliminali…) che forse non esistevano. L’affermazione finale della risposta di Draghi in effetti sembra scritta “en passant”, per completezza.

Altrimenti detto, la lettera di Valli e Zanni conteneva tre quesiti. I primi due riguardavano punti tecnici su cui Draghi (o chi ha redatto la risposta per suo conto) si dilunga diffusamente. La terza e ultima chiedeva “che cosa succede in caso di uscita” e Draghi si è limitato a un’affermazione per la verità quasi ovvia, formulata (sospetto io) per non dare l’impressione di eludere la domanda: se si esce, vanno regolati i conti.

Detto ciò, che cosa si può dire riguardo all’eventuale “regolazione di crediti e passività” tra Banca d’Italia e BCE ?

Lo stato patrimoniale Bankitalia al 31.12.2016 evidenzia le seguenti posizioni (qui la fonte dei dati).


BILANCIO STATISTICO
Milioni

DELLA BANCA D'ITALIA
di euro
31/12/2016
Oro e crediti in oro

86.558
Crediti verso FMI
10.169
Altre attività verso non residenti eurozona
34.047
Prestiti a istituzioni finanziarie dell'eurozona
204.239
Attività in valuta verso residenti eurozona
1.288
Titoli in euro emessi da residenti eurozona
336.761
Crediti verso amministrazioni pubbliche
18.820
Partecipazioni al capitale BCE
1.333
Crediti vs €sistema connessi a trasferimento riserve
7.134
Altre attività verso Eurosistema
35.253
Altre attività
59.422
TOTALE ATTIVITA'


795.024
Banconote in circolazione
181.208
C/C e depositi da istituzioni finanziarie eurozona
71.984
Passività in euro verso altri residenti eurozona
15.649
Passività verso non residenti eurozona
2.568
Passività in valuta verso residenti eurozona
304
Passività verso l'Eurosistema
356.559
Contropartite DSP
8.387
Altre passività
34.430
TOTALE PASSIVITA'

671.089
PATRIMONIO NETTO

123.935


Bankitalia ha un patrimonio netto pari (arrotondando) a 124 miliardi di euro.

Ci sono effettivamente “Passività verso l’Eurosistema” per 357 miliardi, ai sensi dei sopracitati saldi Target2. Il Target2 è una specie di conto corrente permanente tra le banche centrali nazionali e la BCE. Se un paese dell’Eurozona ha flussi di pagamento verso gli altri, a qualsiasi titolo (importazioni, investimenti finanziari, suoi residenti che trasferiscono disponibilità bancarie all’estero) superiori agli analoghi movimenti di segno opposto, quindi flussi negativi più elevati dei flussi positivi, il Target2 finanzia automaticamente lo scompenso. Si trova in posizione negativa nei saldi Target2, mentre altri si troveranno in posizione positiva. Il saldo netto del sistema è per definizione zero.

Il patrimonio netto di Bankitalia è però ampiamente positivo, il che significa che esistono attività notevolmente superiori all’importo delle passività. Una prima riflessione da fare è che cosa accadrebbe in termini di valori, tenuto conto che se l’Italia esce dall’euro ci si può attendere che alcuni attivi e passivi di Bankitalia si trasformerebbero in Nuove Lire (NL).

Ipotizziamo che dopo l’uscita un euro valga 1,3 NL. Bankitalia dovrebbe saldare le passività verso l’Eurosistema ai sensi del Target2 – 357 miliardi di euro – a fronte dei quali esistono però posizioni attive, sempre nei confronti dell’Eurosistema, per complessivi 44 miliardi (partecipazioni al capitale BCE, crediti verso Eurosistema per trasferimento riserve, e altre attività vero Eurosistema).

Il saldo netto è quindi 357 – 44 = 313 miliardi. Tra le attività che potrebbero essere utilizzate per compensare questo saldo esistono 87 miliardi di riserve auree, 35 miliardi di attivi verso non residenti in Eurozona (o verso residenti, ma in valuta) e 337 miliardi di titoli.

Questi ultimi sono con ogni probabilità, almeno per la grande maggioranza, titoli di Stato italiani acquistati da Bankitalia nell’ambito del programma QE. Ipotizziamo che questi ultimi si convertano tutti in NL, al cambio di 1,3. Il loro valore in euro scenderebbe a 337 / 1,3 = 259 miliardi circa. Per inciso, la recente crescita del saldo negativo Target2 è proprio legata al fatto che, in buona sostanza, Bankitalia ha utilizzato moneta emessa dall’Eurosistema per acquistare questi titoli.

Bankitalia ha quindi a disposizione, secondo queste stime, l’equivalente di 87 + 35 + 259 = 381 miliardi di euro per saldare un passivo netto verso l’Eurosistema di 313 miliardi.

Non si considera di toccare le posizioni attive e passive verso residenti nell’Eurozona, perché presumibilmente si tratta soprattutto dei rapporti di deposito e finanziamento nei confronti delle banche operanti sul territorio nazionale. Questi rapporti rientrano nella normale (e destinata a proseguire) attività di gestione monetaria di Bankitalia nei confronti del sistema bancario. E naturalmente le banconote continuerebbero a circolare, convertite in NL, e non sono soggette a rimborso.

Sul piano patrimoniale, la capienza per saldare il passivo verso l’Eurosistema quindi esiste. Andrebbero definiti tempi e modalità: Draghi ha scritto che la posizione “andrebbe regolata integralmente”, il che non significa preliminarmente all’uscita, e neanche contemporaneamente. I tempi e i modi sono, beninteso, un tema di grande importanza perché i vari attivi non possono essere liquidati in un istante.

Oltre alle vendite di attivi, Bankitalia avrebbe a disposizione varie opzioni, tra le quali: concordare swap di attività con BCE a riduzione del saldo Target2; acquisire finanziamenti garantiti dagli attivi; utilizzare la sua ritrovata potestà di emissione monetaria per emettere NL da convertire in euro sul mercato valutario – e utilizzarli per estinguere una parte del saldo verso BCE. Tempi e modi rappresentano un fattore critico nell’ambito dell’eventuale processo di “stacco” di Bankitalia dall’Eurosistema.

Una modalità alternativa, con ogni probabilità di più semplice gestione, per regolare le posizioni Bankitalia – BCE è però ipotizzabile alla luce di quanto segue.

Il saldo negativo Target2 è, in effetti, una posizione contabile tra Bankitalia e BCE, nata all’interno di un sistema che oggi deve essere considerato, anche sul piano legale, unitario. Non è un finanziamento fornito dalla BCE a Bankitalia sulla base di uno specifico contratto. Non ha limiti di durata né garanzie.

In effetti, come dicevo qualche paragrafo fa, il Target2 nasce dal fatto che i flussi in uscita dall’Italia verso altri paesi dell’Eurosistema sono stati complessivamente superiori agli incassi. Ma questo è un saldo netto: costantemente si verificano movimenti nelle due direzioni.

Un modo per regolare la partita potrebbe anche essere quello di bloccare i movimenti in uscita dell’Italia tramite Target2, consentendo invece i movimenti in entrata, fino all’estinzione del saldo.

La situazione è confrontabile con quella di due entità economiche, per esempio un grossista di mobili e una catena di vendita. Il grossista vende i mobili alla catena. La catena paga il grossista con una dilazione temporale, ed ha quindi un debito commerciale verso il grossista.

La catena, inoltre, ha concordato con il grossista di mettere a disposizione dei dipendenti del grossista delle “carte sconto” che permettono di comprare i mobili presso la catena a un prezzo ridotto, ad esempio, del 50%. Il grossista ha stipulato l’accordo per offrire un benefit ai suoi dipendenti. Ogni volta che la carta sconto viene utilizzata, il debito della catena verso il grossista si riduce in misura pari allo sconto praticato.

A un certo punto i rapporti commerciali tra grossista e catena si interrompono (magari perché prima facevano parte dello stesso gruppo, e poi il grossista viene ceduto ad altra proprietà).

Un mezzo per regolare la partita residua di debito della catena verso il grossista è che le carte sconto continuino a essere utilizzate, fino a estinzione del debito.

Allo stesso modo, i flussi Bankitalia – BCE continuerebbero a transitare dal sistema Target2, ma in una sola direzione – quella corrispondente a trasferimenti dall’estero in Italia. E si continuerebbe fino all’estinzione del Target2.

Questo non vuol dire che in Italia si cesserebbe di effettuare pagamenti in euro verso i paesi che restano nell’Eurozona, per importazioni, investimenti finanziari, o altro. Si continuerebbe, ma previo acquisto della valuta necessaria sul mercato dei cambi (come peraltro si faceva prima dell’euro, e come si fa tuttora per i pagamenti verso i paesi non appartenenti all’Eurozona).

Lo stato patrimoniale di Bankitalia immediatamente dopo lo “stacco” dall’Eurosistema si presenterebbe come segue (ultima colonna a destra), sulla base di ipotesi plausibili riguardo a quali attivi e passivi si convertirebbero in NL, e quali no.

BILANCIO STATISTICO
Milioni

Da convertire
Cambio convers.
Situazione
DELLA BANCA D'ITALIA
di euro
31/12/2016
in NL
1,30
post - milioni NL
Oro e crediti in oro

86.558
SI
112.525
112.525
Crediti verso FMI
10.169
SI
13.220
13.220
Altre attività verso non residenti eurozona
34.047
SI
44.261
44.261
Prestiti a istituzioni finanziarie dell'eurozona
204.239
NO
204.239
204.239
Attività in valuta verso residenti eurozona
1.288
SI
1.674
1.674
Titoli in euro emessi da residenti eurozona
336.761
NO
336.761
336.761
Crediti verso amministrazioni pubbliche
18.820
NO
18.820
18.820
Partecipazioni al capitale BCE
1.333
SI
1.733

Crediti vs €sistema connessi a trasferimento riserve
7.134
SI
9.274

Altre attività verso Eurosistema
35.253
SI
45.829

Altre attività
59.422
NO
59.422
59.422
TOTALE ATTIVITA'


795.024

847.759
790.923
Banconote in circolazione
181.208
NO
181.208
181.208
C/C e depositi da istituzioni finanziarie eurozona
71.984
NO
71.984
71.984
Passività in euro verso altri residenti eurozona
15.649
SI
20.344
20.344
Passività verso non residenti eurozona
2.568
SI
3.338
3.338
Passività in valuta verso residenti eurozona
304
SI
395
395
Passività verso l'Eurosistema
356.559
SI
463.527
406.691
Contropartite DSP
8.387
SI
10.903
10.903
Altre passività
34.430
NO
34.430
34.430
TOTALE PASSIVITA'

671.089

786.129
729.293
PATRIMONIO NETTO

123.935

61.630
61.630
Bankitalia avrebbe un patrimonio netto pari a circa 62 miliardi di NL.

Le “passività verso l’Eurosistema” sono il netto tra i saldi Target2 e le partite attive (come già visto: “Partecipazioni al capitale BCE”, “Crediti verso Eurosistema per trasferimento riserve”, e “Altre attività verso Eurosistema”) valorizzate in NL sulla base del cambio di conversione (supposto 1,3 NL per 1 euro, come detto).

Questa posizione andrebbe gradualmente a scemare, fino ad estinguersi, via via che il canale Target2 viene utilizzato per pagamenti effettuati da paesi appartenenti all’Eurozona, per acquisti di beni o servizi o per investimenti o per trasferimenti di fondi a qualsiasi titolo, in Italia.

In conclusione, la posizione Target2 va effettivamente regolata in caso di uscita dell’Italia dall’Eurozona, ma secondo modalità che andranno specificamente concordate, in quanto sul piano giuridico e legale non esiste un contratto di finanziamento che regoli l’estinzione del rapporto. Esistono varie modalità gestibili da parte di Bankitalia senza particolari traumi.

Mi appare evidente che BCE non potrebbe esigere di punto in bianco il saldo della posizione, né si verrebbe a creare un evento di default a fronte di un mancato saldo istantaneo, appunto perché non esistono accordi legali o contrattuali che prevedano questa eventualità – che, peraltro, sarebbe priva di fattibilità pratica.


Post Scriptum 6.2.2017: Draghi fornisce un'interpretazione autentica della risposta alla lettera di Valli e Zanni, vedi qui: "La mia risposta era una risposta a una domanda tecnica basata su assunzioni non previste dal trattato". Mi suona sincera, e infatti coincide con quanto avevo ipotizzato (vedi inizio articolo). NON mi suonano sincere le parole successive, "l'euro è irrevocabile". Ma nessuna sorpresa, un banchiere centrale negherà sempre la rimozione di un peg, o l'uscita da un currency board, o l'uscita dall'unione monetaria. Fino a un millesimo di secondo prima del suo accadimento...