Nei giorni
scorsi, il prestigioso docente universitario di diritto tributario nonché
consulente fiscale (pardon tax lawyer,
come da sua autodescrizione twitter)
Dario Stevanato
ha detto la sua in merito a un annoso dibattito riguardante il sistema fiscale
italiano: evadono di più i piccoli o i grandi ?
Ma non ci sono
dubbi, dice Stevanato: “le possibilità di evadere sono di norma inversamente
proporzionali alla dimensione dell’impresa”
quindi sbagliatissimo
accusare le grandi che, poverine, sono vittime di richieste di “pizzo di Stato
con contestazioni interpretative utili solo a fare gettito”
Ohibò, ma queste
“contestazioni interpretative” non riflettono il problema dell’elusione fiscale
? Cioè (definizione Wikipedia) dell’abitudine di certi contribuenti a “porre in
essere un negozio giuridico o una concatenazione di atti giuridici di per sé leciti,
al solo scopo di ridurre l’obbligazione tributaria”. Che “a differenza dell’evasione
fiscale, non è perseguibile penalmente, ma può costituire solo un illecito
amministrativo”.
Ma nooooo, che
dite mai, ci fa sapere Stevanato: “il rischio elusione è iper-presidiato sia
sul piano normativo che su quello accertativo”.
Caro professor
Stevanato, io non sono un tax lawyer,
ma di materia fiscale un po’ di pratica ce l’ho (perché lavoro da 38 anni
durante i quali ho frequentato parecchi suoi colleghi, da Giulio Tremonti in
giù) e francamente l’ho capita diversa.
“Le tasse sono
care” (come disse il direttore amministrativo della prima società per cui ho
lavorato), cioè la fiscalità in Italia (più che altrove) è onerosa.
Questo non fa
piacere a molte unità produttive, grandi e piccole, a molte società e a molti
lavoratori autonomi.
I piccoli, non
di rado evadono: qualche volta per disonestà e avidità, qualche volta perché si
trovano di fronte all’alternativa o di evadere o di chiudere.
I grandi, QUANDO
GUADAGNANO BENE (e quindi quando non si dice che sarebbero lieti di pagare
tutte le tasse, ma non si troverebbero a dover chiudere per questo) spesso pongono in
atto, appunto, “concatenazioni di atti giuridici al solo scopo di ridurre l’obbligazione
tributaria”.
Quindi eludono.
E possono farlo perché sicuramente “il rischio elusione è iper-presidiato”. Da
chi ? In primo luogo, da competenti e ben pagati tax lawyers. Tipo, per fare un nome a caso, il professor Dario
Stevanato.
Chiaro, esiste
un presidio anche da parte dell’amministrazione pubblica, che mette in atto
controlli non perché richiede il “pizzo di Stato con contestazioni
interpretative utili solo a fare gettito”, ma perché è suo dovere verificare se
le “concatenazioni di atti giuridici” attuate “al solo scopo di ridurre l’obbligazione
tributaria” rispettino la legge o meno.
E la risposta è
tutt’altro che ovvia, perché si parla di elusione appunto in quanto ci si muove
in aree grigie, in cui si può sostenere la liceità degli atti ma anche il suo
contrario.
Certo, la grande
azienda si può servire di competenti e ben pagati tax lawyers (si diceva), che con la loro consumata perizia sono in
grado di dire al cliente “questa concatenazione regge” e comunque “anche in
caso di contestazione ci difendiamo bene” e alla peggio “poi sfruttiamo un concordato e paghiamo anni dopo una frazione di quello che non abbiamo pagato anni prima” perché il fisco
preferisce l’uovo oggi piuttosto che la gallina forse mai.
La soluzione
totale a questo problema probabilmente è impossibile da trovare. Una
mitigazione importante può però essere ottenuta riducendo i livelli effettivi
di tassazione. Per esempio utilizzando la Moneta Fiscale. E riducendo così la
necessità / convenienza sia ad evadere che a eludere.
E pazienza se
guadagneranno un po’ meno i fabbricanti di “concatenazioni di atti giuridici”.