martedì 1 novembre 2022

L’inflazione odierna e come ridurla

 

Il dato preliminare dell’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività italiana, relativo al mese di ottobre, è estremamente preoccupante. +3,5% ottobre 2022 vs settembre 2022, +11,9% ottobre 2022 vs ottobre 2021.

Disaggregando l’indice nelle sue componenti settoriali, emergono alcuni ulteriori elementi che non giungono certo come una sorpresa. Due voci fanno da sole la grande maggioranza delle variazioni, e sono in primo luogo “abitazione, acqua, elettricità e combustibili” (per farla breve, le “bollette”) e in secondo luogo “prodotti alimentari e bevande analcoliche” (sempre in breve, gli “alimentari”). Vedi qui i dati ISTAT.

Riguardo alla variazione mensile, le “bollette”, che incidono da sole per l’11% del paniere, sono salite in un solo mese del 25,5% e hanno quindi prodotto un impatto (variazione della voce moltiplicata per l’incidenza sul paniere) del 2,8%. Gli “alimentari”, che sul paniere pesano il 18%, sono aumentati in un mese dell’1,9%, il che dà un impatto dello 0,35% circa.

Quindi sulla variazione mensile del 3,5%, “bollette” e “alimentari” fanno da sole il 3,15%. Il resto non evidenzia variazioni paurose, varie voci addirittura diminuiscono.

Se esaminiamo gli incrementi annui, le conclusioni sono simili. Le “bollette” sono salite del 58,8%, con un impatto quindi del 6,5%. Gli “alimentari” salgono del 13,5% e impattano per il 2,5%. In totale, il 9% dell’inflazione annua, su un totale di 11,9%, lo hanno causato “bollette” e “alimentari”.

Tutto ciò rende la situazione ancora più preoccupante in quanto “bollette” e “alimentari” sono beni a domanda rigida. Una vacanza puoi sempre rimandarla, un capo di abbigliamento aspettare l’anno prossimo per comprarlo. Riscaldamento, luce, gas, cibo – no, e anche risparmiare è decisamente più difficile.

Un’inflazione con queste caratteristiche è perversa riguardo agli effetti redistributivi. Beni di questa natura incidono in maniera particolarmente accentuata sulla spesa delle classi sociali disagiate. Altrimenti detto, parliamo di un’inflazione di cui il benestante quasi non si accorge, ma che rischia di diventare drammatica per chi ha modeste disponibilità economiche.

Per questo sostengo da parecchio tempo la necessità di intervenire soprattutto su quelle due categorie di beni, eventualmente anche utilizzando strumenti di moneta fiscale. Si tratta di ridurre fortemente o anche azzerare IVA, accise, oneri di sistema, e nel caso delle “bollette” anche di fissare soglie massime di prezzo al consumatore (come già peraltro avviene in Francia e Spagna).

Nel caso delle “bollette”, l’obiezione tipica è che il problema è la scarsità fisica dei beni. Se non arriva più gas dalla Russia, limitare i prezzi al consumo non lo fa ricomparire. Anzi, si sostiene (con un approccio neoclassico) che i prezzi elevati quantomeno inducono a limitare i consumi.

Ma quest’ultima considerazione si applica poco e male a beni di prima necessità, a domanda rigida, quali appunto le “bollette”.

Un modo per ottenere un effetto di razionamento, creando il minimo possibile di difficoltà al consumatore, può essere il seguente. Fissare un prezzo al consumo decisamente più basso, per esempio in linea o poco più alto del prezzo medio 2020, applicato a quantità consumate pari al 80% dell’anno precedente. E lasciare il prezzo di mercato sullo scaglione eccedente. Un intervento del genere, a quanto mi risulta, è operativo in Germania.

In questo modo si incentiva a limitare i consumi (in modo ragionevole, compatibile con una maggiore attenzione negli utilizzi) e si abbatte enormemente il prezzo medio, nonché l’impatto sull’inflazione totale, rispetto alla situazione attuale.

Il tema è ormai di enorme urgenza.

 


4 commenti:

  1. Erno Ferri: Il problema è grande e qualche soluzione bisogna trovarla, desidererei però avere un chiarimento. Le bollette rappresentano il ricavo di società private spesso quotate in borsa, i costi sono influenzati dal costo di acquisto della materia prima. Se le tariffe proposte non coprono i costi della società fornitrice chi paga la differenza e come si calcola?

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    1. Lo stato, se no il fornitore smette di fornire.

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    2. Erno Ferri: Grazie della risposta. Credo restino due problemi di non facile soluzione, le modalità per calcolarlo e l’entità del costo che potrebbe derivarne per lo stato.

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    3. In Francia lo stanno facendo, non credo che sia particolarmente difficile.

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