giovedì 27 ottobre 2022

Tassi d’interesse e svalutazioni

 

Si continua a parlare dell'episodio britannico e della situazione giapponese, che suscitano opinioni contrapposte in merito alle implicazioni sulla validità, o meno, della Modern Monetary Theory.

Detto altrimenti, quanto avvenuto smentisce la MMT (come sostengono gli euroausterici) o la conferma (come ribadiscono i sostenitori della MMT) ?

Torno in particolare sul Giappone, che pratica lo Yield Curve Control, cioè la sistematica compressione a livelli molto bassi dei tassi d’interesse. Gli euroausterici affermano che certo, un paese che emette e controlla la sua moneta può sempre fissare come vuole i tassi sui titoli di Stato (basta farli comprare all’istituto di emissione a un prezzo prefissato). Ma questo ha un impatto negativo sul cambio, nel senso che tende a svalutarlo, specialmente quando, invece, gli altri paesi stanno aumentando i tassi (che è la situazione odierna).

Questa possibilità, in effetti, non è mai stata negata dalla MMT. Ma l’implicazione che ne traggono gli euroausterici è che la svalutazione sia negativa, per non dire disastrosa.

La posizione degli autori MMT è invece che la svalutazione del cambio non è in sé nulla di preoccupante. Il limite che si ha di fronte nell’attuare politiche espansive non è la svalutazione ma l’inflazione. Finché non si innesca inflazione a livelli elevati, persistenti, tendenti a uscire di controllo, le politiche espansive sono legittime ed adeguate.

Ora, se è vero che il cambio giapponese subisce un impatto negativo dallo YCC (molto meno drammatico, per la verità, di quanto si direbbe ascoltando i commenti degli euroausterici) è ancora più vero che l’inflazione giapponese, al 3%, è nettamente più bassa dell’8%, 10% che oggi si rileva negli USA e nell’Eurozona. Il rischio d’inflazione incontrollata ha tutta l’aria di stare altrove, non in Giappone.

E del resto chi segue questo blog sa da tempo che il nesso causale da svalutazione a inflazione è molto ma molto labile.

Per cui, di che cosa si dovrebbero preoccupare i giapponesi ?

Tra l’altro stanno guadagnando competitività rispetto al resto del mondo, grazie appunto alla combinazione di inflazione più bassa e cambio più debole. Il che mostra che nella situazione corrente il rischio che la svalutazione giapponese divenga “enorme” o “catastrofica” è privo di fondamento: in nessun paese che guadagna competitività reale può accadere nulla del genere. La situazione giapponese darà ragione agli euroausterici se e solo se la loro inflazione supererà, e di parecchio, quella occidentale. Esattamente il contrario di quanto sta avvenendo.

Ulteriore considerazione: tutte queste “preoccupazioni” sullo YCC nascono dal presupposto che il deficit pubblico debba essere finanziato emettendo titoli, e che il rendimento offerto sui titoli di Stato sia un “attrattore” verso cui i rendimenti di mercato devono necessariamente convergere.

In realtà non c’è nessuna ragione per cui questa emissione di titoli debba necessariamente verificarsi. Uno Stato che emette e gestisce la sua moneta può attuare il deficit pubblico, semplicemente, spendendo moneta di nuova emissione e ritirandone una parte (inferiore alla spesa) con le tasse.

Poi, se quello Stato vuole attuare una determinata politica sui tassi d’interesse e, indirettamente, sul cambio, può dare la possibilità alle istituzioni finanziarie, e volendo anche ai risparmiatori, di depositare le proprie disponibilità presso l’istituto di emissione, a un tasso variabile e gestito in funzione degli obiettivi sopra citati. E può offrire rifinanziamento al sistema bancario a tassi analoghi. Tutte cose peraltro che (nei confronti delle istituzioni finanziarie, quantomeno) le banche centrali fanno già, da sempre.

In sintesi, ammesso e non concesso che fare YCC causi necessariamente la svalutazione del cambio, dire che la svalutazione implichi l’insuccesso della strategia significa accettare due presupposti errati:

che questa svalutazione, posto che avvenga, sia di dimensioni “enormi”

che questa svalutazione, posto che avvenga, inneschi inflazione.

E questo senza contare che l’emissione di titoli, come visto, non è nemmeno indispensabile per finanziare il deficit. Si può emettere direttamente moneta, che è un finanziamento a tasso zero (e senza obbligo di rimborso del capitale). Nel qual caso di YCC, di Yield Curve Control, non si potrebbe neanche parlare, perché non esisterebbe alcuno “Yield” da controllare…

 

domenica 23 ottobre 2022

Ancora su Giappone e MMT

 

Torno ancora sulla situazione giapponese. Come detto in un post recente, gli euroausterici insistono sul concetto che l’inflazione al 3% nel paese del Sol Levante “dimostrerebbe” che la MMT (per essere più precisi, lo Yield Curve Control, l’appiattimento a zero dei tassi d’interesse sui titoli di Stato) non funziona.

Al che è facile replicare (ed è stupefacente che gli euroausterici non se lo dicano da soli): se l’inflazione al 3% è indice di insuccesso del modello giapponese, quella tedesca al 10% che cosa indica in merito a quanto “bene” funzioni il modello eurozonico ?

Detto ciò, c’è un elemento in più che merita alcune riflessioni. Ovviamente anche il Giappone, privo com’è di risorse naturali, risente del maggior prezzo delle materie prime, dell’energia e in particolare del gas.

Teniamo poi conto che lo yen si sta indebolendo sul dollaro (il che, secondo economisti non certo ispirati dalla MMT quali Robin Brooks, fa solo bene al Giappone: anzi è sua ferma convinzione che anche euro e sterlina dovranno ulteriormente calare).

Non è facile separare le componenti che causano inflazione, ma è plausibile sostenere che il 3% giapponese sia tutto dovuto a cambi e import, mentre l’inflazione di origine domestica può essere stimata nei dintorni dello zero.

Questo è un indizio di un’altra cosa che agli euroausterici non piacerà sentirsi dire: plausibilmente, i bassi tassi d’interesse tendono a limitare l’inflazione, non ad accrescerla.

Perché ? ma perché a parità di altre condizioni, i tassi d’interesse sul debito pubblico, ma anche quelli riconosciuti su altre attività finanziarie, o sui conti bancari, sono una modalità di immissione di potere d’acquisto nel sistema economico. Immissione che con i tassi a zero viene meno.

E questa è una affermazione di pura scuola MMT.

Quindi ? i tassi a zero giapponesi non stimolano l’inflazione. Quelli del resto del mondo, che sono stati bassissimi a lungo ma stanno rapidamente salendo, cominciano invece a fornire un sostegno non marginale alla domanda interna.

Una riflessione preliminare e parziale, da approfondire seguendo i dati e gli avvenimenti, a partire dai prossimi mesi.

Ma un indizio in più che guardare al Giappone per cercare smentite alla Modern Monetary Theory riserva sorprese. E delusioni (agli euroausterici…).

giovedì 20 ottobre 2022

Minimi di borsa e recessioni

 

Lo scorso giovedì 13 ottobre l’indice SP500 ha toccato il livello minimo dell’anno a 3.492 (intraday) per poi rimbalzare. I commentatori ottimisti sperano che questo sia un minimo che non verrà più ritoccato, tenuto conto che da allora c’è stato un recupero di 200 punti (in base ai dati di chiusura di ieri sera).

E, se credete alle ricorrenze di calendario, per qualche ancora (non chiara) ragione i minimi molto spesso vengono toccati ad ottobre. Il che farebbe sperare in un po' di ulteriore recupero da qui a fine 2022.

I commentatori meno ottimisti sottolineano invece, tra le altre cose, che le probabilità di una caduta dell’economia USA in recessione sono ormai stimate vicine al 100%. Non una notizia entusiasmante in sé, e ovviamente neanche riguardo ai possibili effetti sui valori di borsa.

Su quest’ultimo tema, però, faccio notare un paio di cose.

Le recessioni si associano a cadute degli indici di borsa, certo: ma la regola è che la flessione della borsa PRECEDE la recessione. E la caduta è già avvenuta: da massimo a minimo, nel 2022 abbiamo visto verificarsi una riduzione del 28% (sempre riferita allo SP500). Non si sa se abbiamo toccato il minimo, ma che ci sia (già) stata la flessione che tipicamente precede le recessioni non c’è dubbio.

In effetti l’economia USA potrebbe ESSERE GIA’ in recessione. Gli indicatori macro sono disponibili con dei ritardi temporali, e la recessione viene quindi “dichiarata” dagli organi competenti, spesso, vari trimestri dopo il suo inizio effettivo.

Ma si è anche visto molte volte in passato che i minimi venivano appunto toccati quando la recessione stava per iniziare o era nelle prime fasi. Da lì in poi, la borsa rimbalzava, nonostante la recessione fosse in pieno corso, perché si prevedeva la successiva ripresa.

Detto tutto ciò, due caveat.

In primo luogo, l’innesco della ripresa spesso e volentieri è consistito in un’azione della Federal Reserve, che andava a ridurre i tassi d’interesse. Mentre ora li sta aumentando per contrastare l’inflazione: non all’infinito e forse neanche ancora a lungo, dicono molti operatori di mercato. Ma per ora aumentano (quelli a breve termine, quantomeno).

E, l’altro caveat: ovviamente più i valori toccano livelli molto sottovalutati, più il rimbalzo è probabile – nonché intenso.

E però molto sottovalutati, i valori, al momento non sono. Si è corretto l’eccesso di inizio 2022, ma di prezzi stracciati sinceramente non si può parlare.

L’unica certezza è l’affermazione di Peter Lynch, passato alla storia come uno dei gestori di fondi USA di maggior successo: “non chiedetemi in che direzione sarà il prossimo movimento del 10%, se in su o in giù, non lo so. Ma il prossimo movimento del 100% sarà in su”.

Perché il mercato azionario oscilla, certo: ma nel tempo sale.

Si tratta solo di aver pazienza…

 

lunedì 17 ottobre 2022

Video - Festival dell'Economia - Sole24Ore a Trento - 4 giugno 2022

Profondo cordoglio ha suscitato, alcuni mesi fa, l'improvvisa scomparsa di Jean-Paul Fitoussi. Una sua conseguenza è stata anche l'impossibilità di tenere un panel presso il Festival dell'Economia di Trento nella forma in cui lui e noi avremmo voluto: interamente dedicato, cioè, alla Moneta Fiscale.

In effetti il panel ha avuto comunque luogo, ma al fine di commemorare la figura e il pensiero del grande economista francese nella sua interezza.

Di Moneta Fiscale si è in ogni caso parlato abbastanza a lungo nella parte conclusiva, a cui si riferisce il video riportato qui sotto (ringrazio moltissimo Francesco Chini per la segnalazione).

Partecipanti Luigi Bonatti dell'Università degli Studi di Trento, Stefano Sylos Labini e il sottoscritto.

I miei interventi sono ai minuti da 10.00 a 16.30 e da 20.25 a 22.35.




venerdì 14 ottobre 2022

La realtà rovesciata degli euroausterici

 

Su LinkedIn mi è capitato di leggere uno scambio di commenti tra operatori del settore finanziario (gestori di fondi, private bankers e simili) in merito all’inflazione giapponese.

Premetto che non sono intervenuto nello scambio come magari mi sarebbe piaciuto fare, per il semplice motivo che chi l’ha iniziato ha anche attivato una funzione che consente di commentare solo ai suoi contatti (non sapevo neanche esistesse – la funzione – del resto non sono un utente “massiccio” di social networks). Forse, probabilmente l’iniziatore / attivatore in questione ama dire quello che pensa ma non ricevere opinioni difformi dalla sua.

Lo scambio di opinioni finiva così per essere un darsi ragione vicendevolmente, nel sostenere le posizioni che io chiamo “euroausteriche”. Com’è tipico di chi opera in quell’ambito professionale (anche se ci sono eccezioni – io sono una di quelle).

Il tema era l’inflazione giapponese, che partita a inizio 2022 da livelli pressoché nulli, ha raggiunto il mirabolante (beh diciamo inusuale, per quel paese) livello del 3%. Questo come dato puntuale a settembre; la media dell’anno, secondo le ultime previsioni FMI, è stimata al 2% sia per il 2022 che per il 2023.

Il commento tipico era “visto !! è provato che la MMT non funziona ! l’inflazione giapponese sta andando fuori controllo ! i nodi stanno arrivando al pettine”.

En passant, l’affermazione che il Giappone “utilizza la MMT” sarebbe da discutere – ma andremmo fuori dal seminato, cioè dall’obiettivo di questo post. Diciamo che sicuramente il Giappone pratica lo yield curve control (YCC), cioè non permette al mercato di imporre i tassi d’interesse sul debito pubblico (pari al 260% del PIL, altro che il 150% scarso italiano…). La Bank of Japan fissa i tassi impegnandosi a comprare titoli a condizioni predeterminate. Il titolo di Stato decennale rende, oggi, l’0,24% e non è mai salito sopra il 2% da decenni.

Fare YCC non equivale a “utilizzare la MMT”, tuttavia non c’è dubbio che le tesi MMT portino alla conclusione che si può fare YCC senza alcuna conseguenza devastante né sull’inflazione né sul cambio della propria moneta.

E infatti il Giappone fa YCC praticamente da una generazione, e non solo l’inflazione non l’ha “devastato”, ma è rimasta inferiore alle medie dei paesi occidentali.

Ma adesso, ci fanno sapere i baldanzosi euroausterici, siamo cioè sono saliti al 3%. Signora mia dove andremo a finire !

Mi scuso se sono irriverente all’eccesso e non voglio essere offensivo nei confronti di nessuno, ma mi pare che qui si sia ampiamente perso il senso del ridicolo.

Il Giappone arriva al 3% e ci dicono che i “nodi della MMT stanno venendo al pettine”.

Il resto del mondo, dove i ministri e le banche centrali considerano la MMT un anatema – ammesso che sappiano cos’è, e quanto ai ministri ho qualche dubbio, almeno in alcuni casi – sta all’8%, al 10%, o livelli anche più alti.

Il commento che i dati suggeriscono, direi con inusuale chiarezza, è che lo YCC fa bene all’inflazione. Molto bene.

Mi sarebbe piaciuto chiedere agli euroausterici come possano aver totalmente rovesciato l’interpretazione dei dati. Dove in realtà da interpretare c’è ben poco.

Mi sarebbe piaciuto chiederlo, gentilmente. Ma hanno bloccato i commenti…

 

mercoledì 12 ottobre 2022

Bruciare soldi con i surplus di bilancio pubblico

 

Nelle conversazioni da bar, o da talk show televisivo, si parla spesso e volentieri del deficit pubblico come di soldi che vengono “sperperati”, o quantomeno impiegati per finalità che il commentatore ritiene dubbie e discutibili.

Al di là del giudizio di merito sulla qualità e utilità della spesa pubblica netta, comunque, chi ascolta questi commenti rimane con l’impressione che si stia parlando dell’impiego di una risorsa che scarseggia. Ogni volta che spendiamo, ci ritroviamo con meno soldi di prima – se siamo un privato. Perché non dovrebbe avvenire la stessa cosa per il settore pubblico ?

Normalmente, invece – per la maggior parte degli Stati -  è vero esattamente il contrario. Perché con l’unica eccezione dell’Eurozona, in ogni paese il settore pubblico PRODUCE la moneta che si utilizza nel paese stesso.

Di conseguenza quando lo stato spende immette moneta nell’economia: i mezzi di pagamento in circolazione non si riducono, SI ESPANDONO.

E vale anche il contrario: se la pubblica amministrazione genera surplus di bilancio, ritira soldi, li toglie dalla circolazione: come se li bruciasse.

Perché mai allora il deficit – che immette soldi nell’economia – sarebbe uno spreco, e il surplus – che li toglie - un atteggiamento virtuoso ? Non ha senso.

Questo non significa che in alcuni casi ridurre il deficit pubblico o addirittura generare surplus non possa essere opportuno. Può esserlo per gestire fenomeni inflattivi da eccesso da domanda, o squilibri commerciali esteri.

Ma non è assolutamente un arricchimento del paese. Il paese ha meno soldi in circolazione rispetto a prima. Si riduce un cosiddetto “debito pubblico” che in effetti posso rifinanziare quando mi pare (perché emetto la moneta in cui è espresso): un debito per modo di dire. Mentre cala l’importo delle attività finanziarie in possesso del settore privato - delle famiglie e delle aziende. Attività finanziarie vere, vero risparmio, vero potere d’acquisto.

Tutto questo vale se, come detto, il settore pubblico produce la moneta che si utilizza nel paese.

L’Eurozona è diversa perché l’emissione della moneta è stata tolta dal controllo degli Stati, delegandola a un’entità sovranazionale. Ed è quindi necessario procurarsela vendendo beni o servizi, o indebitandosi.

Nell’Eurozona la moneta è diventata ARTIFICIALMENTE una risorsa scarsa.

Non una grandissima idea, visto che la storia dell'eurozona è una storia di disfunzioni e di crisi tamponate ma mai risolte.

 

domenica 9 ottobre 2022

Marcello Spanò su come mitigare l’inflazione odierna

 

Sul tema della mitigazione dell’inflazione odierna, personalmente ho scritto alcuni post: vedi ad esempio qui.

Ma non ho letto nulla di più chiaro, efficace e, nello stesso tempo, metodologicamente impeccabile di queste considerazioni di Marcello Spanò. E tutto in soli due paragrafi e poco più di una dozzina di righe.

“In presenza d’inflazione importata dall’aumento dei costi energetici, mantenere in pareggio il bilancio pubblico significa lasciare che l’aumento dei prezzi eroda il potere d’acquisto e di conseguenza generi, in termini reali, un calo della domanda aggregata e del prodotto interno lordo. È un’arma che potrebbe avere effetti antinflazionistici solo dopo aver fatto strage sul piano sociale e dell’efficienza economica.

Viceversa, un aumento del disavanzo pubblico generato da una riduzione dell’IVA o da qualsiasi misura che riduca il costo dei beni energetici per i consumatori e le imprese avrebbe un effetto immediato di contrasto all’inflazione, di difesa del potere d’acquisto, e quindi dei livelli reali di domanda e prodotto interno lordo. Al contrario di quanto predicano i custodi della teoria economica dominante, il disavanzo pubblico non sarebbe altro che una conseguenza dell’aumento dei prezzi (un adeguamento endogeno della quantità di moneta circolante) e non la causa”.

Ripeto, veramente impeccabile.

venerdì 7 ottobre 2022

Video: la Moneta Fiscale

Video-dibattito sulla Moneta Fiscale - 1° ottobre 2022 - con Giancarlo Sperati e Pietro Ferrari - ovviamente insieme all'a voi ben noto Marco Cattaneo...



martedì 4 ottobre 2022

Tassi sui titoli di Stato e politica monetaria

 

Uno dei post precedenti aveva per oggetto il (presunto) nesso tra rendimenti offerti sui titoli di Stato (da un lato) e valore della moneta dello Stato emittente sul mercato dei cambi (dall’altro).

E faceva notare che il Giappone (il solito rompiscatole…) smentisce la tesi che tassi bassissimi producano un cronico deprezzamento del cambio.

Vorrei qui approfondire un tema collegato. La politica monetaria è, in buona misura, basata sulle variazioni del tasso d’interesse offerto dalla banca centrale alle banche commerciali. A questo tasso tende anche ad allinearsi il rendimento dei titoli di Stato a breve termine.

Se, infatti, una banca può depositare presso l’istituto di emissione (la banca centrale, appunto) ottenendo il 3%, perché mai dovrebbe comprare un titolo di Stato a breve che non offra lo stesso rendimento ?

Ho scritto “una banca” perché solo alle istituzioni finanziarie è consentito depositare presso l’istituto di emissione (“detenere riserve presso la banca centrale”). Ai singoli individui no. Ma il meccanismo funziona, perché una parte molto rilevante delle transazioni è comunque effettuato dalle banche.

Detto ciò, una domanda che ci si può porre è: per condurre efficacemente la propria politica monetaria, all’istituto di emissione è necessario che circolino titoli di debito pubblico ?

La risposta è no.

Immaginiamo un istituto di emissione che NON sia separato dal governo. Che sia un ufficio del ministero dell’economia, ad esempio.

Questo ufficio avrebbe l’incarico di effettuare le politiche di spesa pubblica e di tassazione (come già accade adesso). E così facendo immetterebbe moneta nell’economia per l’esatto importo del deficit pubblico.

Ma non avrebbe bisogno di emettere titoli per “finanziare il deficit”. Ad esempio: spende per 100, tassa per 96, e lascia 4 in circolazione nell’economia.

Dopodiché, potrebbe consentire agli operatori economici – non solo banche, ma anche aziende e famiglie – di aprire depositi remunerati presso il medesimo ministero dell’economia.

I 4 di deficit una volta immessi nell’economia finiscono in tasca a qualcuno. Che li può spendere, e avviare una catena di transazioni. Ma sempre in mano a qualcuno restano. Sono sempre RISPARMIO PRIVATO (anche se il privato ricevente li spende ! perché la spesa di qualcuno è l’incasso, quindi il risparmio, di qualcun altro).

Se il ministero dell’economia dà la possibilità a qualsiasi soggetto economico di ottenere un determinato rendimento sui depositi presso di sé, ecco che ha fissato un rendimento-base del risparmio e del credito. Se il ministero offre il 3%, nessuno accetterebbe il 2% come rendimento di un deposito bancario, nessuno presterebbe soldi al 2%.

Dal che dovrebbe risultare evidente che:

Uno Stato che emette la sua moneta non ha alcun bisogno di collocare titoli per “finanziare il deficit”.

Uno Stato che consente di depositare presso il suo istituto di emissione non ha nemmeno bisogno di collocare titoli, modificando il rendimento ad essi riconosciuto, per effettuare una politica monetaria, di credito o di sostegno del cambio.

Basta che l’istituto di emissione utilizzi la leva del tasso offerto sulla sua raccolta depositi.

A questo punto diventa anche difficile capire perché i depositi presso l’istituto di emissione dovrebbero essere chiamati “debito pubblico” e considerati un ”onere” per lo Stato. Tecnicamente anche i depositi bancari sono debito, certo, ma la raccolta depositi viene tipicamente vista come un punto di forza, una forma di finanziamento stabile e permanente, non certo come un problema della banca.

A maggior ragione questo varrebbe per depositi dove il “debitore” è l’istituto di emissione: un debitore solvibile per definizione, perché emette la moneta in cui è “indebitato”.

 

sabato 1 ottobre 2022

Il Regno Unito e le illusioni euroausteriche

 

Gli euroausterici hanno la curiosa (ma a pensarci bene comprensibile, dal loro punto di vista) abitudine di giocare al gioco del “vedete ! l’avevamo detto” quando qualcosa di problematico (sul piano macroeconomico) accade in un paese che NON usa l’euro.

Ovviamente cose del genere capitano, per il semplice motivo che fuori dal manicomio dell’Eurozona TUTTI i paesi di un qualche rilievo emettono moneta - e qualche volta commettono errori (visto che l’infallibilità non è di questo mondo).

Pochi giorni fa, il Regno Unito ha annunciato una grossa manovra fiscale espansiva, quindi con incremento del deficit pubblico, fondata su due componenti principali.

Azioni rivolte a calmierare le impennate dei costi di gas ed energia, a beneficio sia dei cittadini che delle aziende: e fin qui tutto bene.

Una forte riduzione d’imposte, sproporzionatamente a beneficio delle classi sociali agiate: e questa è molto più discutibile.

I mercati finanziari hanno reagito male, con un’impennata dei tassi d’interesse e un declino del cambio della sterlina.

Gli euroausterici hanno reagito oserei dire con entusiasmo: “ecco !!! la prova provata che la moneta sovrana non è la panacea ! guardate cosa succede nella perfida Albione !”

Beh, cosa è successo subito dopo ? che la Bank of England è intervenuta comprando titoli, i tassi sono ridiscesi e la sterlina ha recuperato.

Un commento significativo sull’accaduto è quello dell’ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale, Olivier Blanchard:

“Un esempio da manuale di come non strutturare e di come non promuovere un’espansione fiscale. Mentre ci preoccupavamo dell’Italia, il Regno Unito si è intrufolato. Per fortuna il Regno Unito non è nell’euro… altrimenti ci troveremmo a fronteggiare un’altra eurocrisi”.

Che cosa intende Blanchard ? che FORTUNAMENTE i britannici, disponendo di moneta sovrana, hanno sì commesso un errore, ma hanno anche rapidamente potuto tamponarlo.

Evidente, quindi, che gli euroausterici sono comici nel pensare che l’evento britannico dia un sostegno alla loro posizione. Proprio il contrario: se hai la TUA moneta, molti errori e molti problemi possono essere prevenuti o gestiti, spesso anche con grande rapidità.

Se invece sei l’Italia, e ti sei messo il cappio al collo di una moneta straniera troppo forte per i tuoi fondamentali… tutto diventa MOLTO, MOLTO più complicato.