giovedì 30 luglio 2020

Moneta e categorie di peso


Chi ci ha portati nello sciagurato progetto dell’euro si è comportato come un pugile che si sente sminuito perché essendo un peso medio non può combattere contro i pesi massimi.

Se siete esperti di boxe (io non lo sono, ma gli sport, almeno in qualità di spettatore, mi incuriosiscono e mi divertono, e quindi li seguo un po’ tutti) rispondete a questa domanda: Carlos Monzon, Ray Sugar Leonard e Marvin Hagler erano pugili meno bravi di Mohammed Alì o di Mike Tyson ?

Secondo molti conoscitori no, anzi forse erano anche migliori. Sicuramente dal punto di vista della tecnica, della rapidità, dello stile. Però combattevano in un'altra categoria. Un peso medio non potrebbe mai salire sul ring contro un peso massimo.

Esiste un’evidente ragione per cui pesi medi e pesi massimi non combattono gli uni contro gli altri. Il peso massimo picchia troppo più forte, tutto qui.

E sono altrettanto evidenti, per chi le vuole vedere, le ragioni per cui far adottare la stessa moneta e lo stesso regime di vincoli fiscali al peso medio Italia e al peso massimo Germania è un’operazione di clamorosa stupidità.

Ma, ci dicono da dieci anni, le “riforme strutturali” avvieranno il “processo di convergenza”. Come no. E Ray Sugar Leonard aumenterà il suo peso forma di trenta chili e salirà sul ring contro Mike Tyson.


martedì 28 luglio 2020

Fusione tra progetti di legge ?

Questa scheda tecnica predisposta dal Servizio Studi della Camera mette a confronto il progetto di legge Cabras - Trano (istituzione dei certificati di compensazione fiscali) e il progetto di legge Gusmeroli (Disposizioni in materia di utilizzazione dei crediti d'imposta compensabili per i pagamenti tra privati).

La Lega (a cui appartiene il deputato Alberto Gusmeroli) propone la fusione tra i due testi. Mi sembra uno sviluppo molto interessante.


domenica 26 luglio 2020

Il problema della Lega è sempre lo stesso


Non è la prima volta che lo dico, e di conseguenza qualche simpatizzante leghista mi accusa di essere ipercritico verso la Lega.

Ma siamo sempre allo stesso punto: la Lega ha preso nelle sue fila due economisti e comunicatori molto efficaci, Alberto Bagnai e Claudio Borghi, a cui va dato il merito di aver svolto (e di continuare a svolgere) un grossissimo lavoro di informazione e di critica nei confronti dell’eurosistema.

Purtroppo, continua a esserci un problema di proposte specifiche, e un problema di approccio.

L’accordo sul Recovery Fund garantisce la sopravvivenza del governo Conte ? è tutto da vedere. E’ sufficiente per la ripresa dell’economia italiana ? ma non scherziamo.

Però, premesso che prima o poi (al più tardi a inizio 2023) a votare alle politiche si andrà, qual è la proposta di politica economica della Lega, e soprattutto quali sono i mezzi per superare i vincoli dell’eurosistema ?

Non si è mai capito e continua a non capirsi. Fatta salva la possibilità di una rottura dell’euro per dinamiche imprevedibili (che è remota, non è zero, ma non dipende da nessuno di noi in Italia) le difficoltà politiche e operative del breakup sono enormi.

L’ho detto e lo ripeto fino a perdere il fiato: la strada è il progetto Moneta Fiscale, e l’atteggiamento dev’essere di fermezza costruttiva. Non vogliamo rompere nulla perché sappiamo come correggere le disfunzioni del sistema, senza deflagrazioni e senza chiedere nulla a nessuno.

Altrimenti si rimane marginalizzati da un sistema che ti addita come lo sfasciacarrozze da isolare, e non si ottiene nessun risultato.


venerdì 24 luglio 2020

L’irrilevanza (speriamo) del Recovery Fund


Volendo essere ottimisti, si può sperare che l’approvazione del Recovery Fund, a valle delle maratone negoziali del weekend scorso, sia quello che gli anglosassoni definiscono un non-event.

Al di là dei numeroni di facciata, che sono in grandissima maggioranza astruse partite di giro, i soldi in più che arriveranno all’Italia sono del tutto insufficienti e del tutto in ritardo.

Ci sarà al contrario un’ancora maggiore intrusione della UE nella definizione delle politiche economiche italiane, con il rischio di subire danno e beffa: si pagano maggiori contributi al bilancio comune e poi i cosiddetti “sussidi” non arrivano perché l’euroburocrate (o il paese cosiddetto “frugale”) si mette di traverso.

Il massimo che si può sperare, come conseguenza (indiretta) dell’accordo, è che il patto di stabilità e “crescita” (le virgolette sono d’obbligo…) rimanga sospeso il più a lungo possibile.

In altri termini, che i mercati finanziari nella nuova cornice di stabilità (se tale si rivelerà) rimangano calmi e che l’Italia possa continuare ad attuare alti deficit di bilancio non solo per il 2020 ma anche (almeno) per il 2021 e per il 2022.

Perché il problema dell’economia italiana, già prima del Covid, era ed è la carenza di domanda interna. Che si risolve immettendo capacità di spesa nell’economia, non con le mirabili “riforme strutturali” benedette da Bruxelles (in merito alle quali si può al massimo sperare che non facciano ulteriori danni).

E volendo essere ancora più ottimisti, c’è la soluzione vera, pronta per essere applicata – in presenza della volontà politica di percorrerla: trasformare i germogli di Moneta Fiscale del DL Rilancio in un vero progetto CCF.

Premesso e ribadito che il Recovery Fund sarebbe stato meglio non concepirlo affatto, vediamo che cosa succede nei prossimi mesi. E continuiamo a lavorare all’interno della maggioranza di governo attuale (e di quella potenziale futura) per i CCF. E per il buon senso.

martedì 21 luglio 2020

L’efficienza digitale della pubblica amministrazione


Ricevo e volentieri pubblico (come si suol dire) da Monica Passoni (che ha la sfortuna di essere mia moglie da 18 anni, però non se ne è ancora pentita…) quanto segue.

“La ragione di questa mia nota nasce dal fatto che a mio marito è arrivata una multa. Succede ! In allegato c’era il bollettino per il pagamento. Bene, visto che siamo in era Covid per evitare i luoghi affollati decido di pagare online. Anche se non sono più giovanissima (ma che cosa dici Monica ? abbiamo la stessa età QUINDI siamo due ragazzini) sono una discreta utilizzatrice dei sistemi di pagamento digitale.

Bene, apro l’app della mia banca, eseguo la procedura richiesta ma al momento del pagamento l’app mi informa che questo bollettino non si può pagare online.

Pazienza, proverò a pagare alla cassa del supermercato (luogo discretamente affollato, ma ci devo andare comunque…) che è attrezzato per queste cose. Presento il bollettino alla cassiera che lo passa nell’apposito ordigno. “Mi spiace signora, non lo accetta”.

Vabbè, provo dal tabaccaio, dove i pagamenti erariali possono essere effettuati. Vado in un tabaccheria abilitata a rilasciare valori bollati e ad accettare pagamenti di bollo auto e altre imposte indirette.

Lo sportellista esamina il bollettino e mi svela l’arcano: i bollettini della polizia stradale si possono pagare solo in posta, alla faccia delle raccomandazioni sul distanziamento sociale.

Mi sono recata in posta e mi sono fatta la mia (lunga) coda per (finalmente) riuscire a pagare. Ma mi resta la domanda: perché la polizia stradale non può stipulare una bella convenzione con banche e poste per effettuare i pagamenti digitali ?”

La morale ? Introduciamo i CCF che sono utilizzabili per qualsiasi pagamento verso il settore pubblico compreso questo, e contestualmente predisponiamo l'infrastruttura digitale di scambio. Il prima possibile !

domenica 19 luglio 2020

Gli unionisti senza unione


I sostenitori della “sempre crescente integrazione europea”, quelli insomma che vorrebbero trasformare l’Unione Europea negli Stati Uniti d’Europa, sono spesso etichettati come “unionisti” (in contrapposizione ai “sovranisti”).

Peccato per loro, tuttavia, che il progetto d’integrazione politica europea non sia un progetto. Per qualcuno è un vagheggiamento, per altri un’ipocrisia.

Non c’è nessuna volontà, da parte dei nordeuropei, di arrivarci.

C’è invece la chiarissima volontà di utilizzare la UE come veicolo di promozione dei propri interessi nazionali.

Nonché di tutelare e di rafforzare sempre di più la posizione di preminenza in cui si sono venuti a trovare grazie all’euro.

Una moneta debole per loro, forte per gli altri, il che vuol dire che abbonda da loro e scarseggia per gli altri.

Perché mai dovrebbero ambire all’unità politica con quello che ne segue – fiscalità comune e trasferimenti finanziari, per dirne due ?

Non ne esiste, dicevo, la benché minima volontà.

Non più di quanto i russi, ai tempi dell’Unione Sovietica, ambissero a inglobare in un’unione politica e paritetica i paesi dell’Est Europeo.

A noi tocca oggi, disgraziatamente, soffrire di qualcosa di simile a quanto paesi sviluppati ed evoluti (prima della seconda guerra mondiale) quali Boemia, Ungheria, Polonia hanno patito negli anni tra il 1945 e il 1989.

Sul piano economico, beninteso. I carri armati, la UE non ce li manda (non li ha).

Ma soffoca l’Europa meridionale e soprattutto l’Italia in un regime di asfissia finanziaria che tarpa crescita e sviluppo.

Questo è il risultato a cui ci hanno portato i cultori del vincolo esterno. In questa direzione ci ha spinti un establishment colluso, connivente, ricattato, incompetente, provinciale.

Gli Andreatta, i Prodi, i Padoa Schioppa, i Monti hanno smontato un bellissimo modello di sviluppo economico, l’economia mista italiana del secondo dopoguerra, per risolvere problemi inesistenti (il debito pubblico in lire) o che si stavano già risolvendo da soli (l'inflazione).

Finirà, tutto questo. Com’è finita per cechi, ungheresi e polacchi. Che oggi crescono e colmano il gap con l’Occidente. Con la loro moneta.

Finirà. Purtroppo non so quando.

venerdì 17 luglio 2020

Discorsi di verità


Specialmente quando si parla di economia, parecchi commentatori amano atteggiarsi a “saggi e responsabili” e non trovano quindi di meglio che affermare e ribadire che occorre “fare un discorso di verità agli italiani”.

Le “verità” sarebbero, naturalmente, le solite fandonie: dalla crisi si esce solo con i sacrifici, abbiamo vissuto al di sopra dei nostri mezzi, servono le riforme specialmente se impopolari, eccetera.

Questi commentatori sono ignoranti, o in malafede, o una combinazione delle due cose.

I discorsi di verità vanno fatti, certo: ma sono altri.

Il “vincolo esterno” ha portato il paese al disastro.

I vincoli dell’eurosistema sono catastrofici.

L’Italia, finché non se ne libera, è condannata a una progressiva ma irreversibile erosione del tessuto economico e sociale.

La strada sulla quale incamminarsi è solo una: riappropriarsi della facoltà di emissione monetaria.

Il progetto CCF lo rende possibile senza passare tramite la spaccatura dell’euro.

Chi parla di “discorsi di verità” che non siano questi ultimi, non fa altro che disinformare, e portare il suo contributo alla devastazione dell’economia nazionale.


martedì 14 luglio 2020

Il non-aggiustamento strutturale


Tra le tante idiozie che si leggono sui giornaloni paludati – in particolare il quartetto Corsera / Repubblica / Stampa / Sole – una delle più irritanti è che il maggior debito pubblico contratto dall’Italia per fronteggiare l’impatto economico del Covid renderà inevitabile, successivamente, un “aggiustamento strutturale”.

Di aggiustamento si potrebbe parlare se il risultato fosse di ridurre il maggior livello del rapporto debito / PIL, riportandolo ai livelli pre-Covid – o qualcosa di simile.

Se l’Italia nel prossimo futuro riprenderà il percorso “tasse & tagli” che abbiamo sperimentato nel 2011-2013, l’aggiustamento, al contrario, non aggiusterà proprio nulla. Come allora, decine di migliaia di altre aziende falliranno, milioni di altre persone saranno gettate in povertà, il PIL avrà un’ulteriore caduta e il rapporto debito pubblico / PIL salirà ulteriormente.

Per quale motivo una parte così significativa dell’establishment politico-economico-mediatico italiano sia caratterizzato da questa cupio dissolvi non lo so con certezza. Ignoranza, servilismo, opportunismo, incompetenza ? un micidiale cocktail di tutto questo ?

La favola dell’”aggiustamento strutturale” va tra l’altro di pari passo con un’altra fandonia: il Covid avrebbe dimostrato l’assoluta necessità di ridurre il rapporto debito pubblico / PIL perché chi l’aveva più basso, vedi la solita Germania, ha potuto (al contrario di noi) effettuare interventi tempestivi e massicci.

Un commento di questo genere ignora le enormi risorse immesse nell’economia da paesi quali USA, UK e Giappone: caratterizzati da rapporti debito pubblico / PIL più alti rispetto alla media dell'Eurozona (addirittura del 260% nel caso giapponese) ma espressi nella propria moneta.

Per fronteggiare un’emergenza, non c’è bisogno di avere un debito pubblico basso: c’è bisogno della capacità di emettere la propria moneta nazionale.

A meno, aggiungo per completezza, che non si utilizzi, com’è il caso di paesi nord-eurozonici, una moneta sottovalutata rispetto ai propri fondamentali.

La rottura dell’eurozona non è un rischio per l’acquirente di titoli di Stato tedeschi perché al massimo si ritroverebbe con titoli in marchi, destinati a salire di valore rispetto al livello attuale dell’euro.

L’Italia è ovviamente nella situazione opposta: da qui nasce lo spread, nascono i vincoli all’indebitamento e nasce la tragica situazione in cui si trovava già prima del Covid (e oggi ovviamente è peggio) la nostra economia.

Ridurre il debito pubblico da rimborsare in euro senza passare tramite la rottura dell’Eurozona è possibile, ma per una strada completamente diversa: emettere Moneta Fiscale e rilanciare PIL, produzione e occupazione.

Ma questo, naturalmente, sui giornaloni paludati non lo leggete.


giovedì 9 luglio 2020

Il minimo merkeliano


Il mio europeista disilluso di riferimento, Wolfgang Munchau, provvede una volta di più a sgombrare il campo da ogni illusione riguardo alla volontà di Angela Merkel di risolvere i problemi strutturali dell’Eurozona.

“Angela Merkel continua a fare il minimo necessario perché l’eurozona non collassi. Quello che è cambiato è che il minimo richiede parecchi soldi in più rispetto all’ultima volta”.

“Il minimo” è il Recovery Fund, sbandierato da alcuni come un’importante evoluzione “solidaristica-keynesiana” dell’Eurozona. Importante anche per via della sua dimensione di 750 miliardi di euro.

Non è nulla di tutto questo. Il numero può fare impressione ma è modesto rispetto all’impatto economico della crisi sanitaria. I criteri di ripartizione sono ancora tutti da definire, ma l’unica cosa certa è che si tratterà di una gigantesca partita di giro: il complesso dei paesi mette soldi che vengono in qualche modo ridistribuiti.

Qualcuno avrà un saldo netto negativo, qualcuno positivo, ma anche per i maggiori beneficiari (che dovrebbero comprendere, ma non è sicuro, l’Italia) si parla di qualcosa compreso tra l’1% e il 2% del PIL, a fronte di una contrazione stimata (dalla commissione UE) nell’11% abbondante per il 2020.

Queste modeste (rispetto alle dimensioni del problema) risorse arriveranno molto tardi (qualcosa nel 2021, il resto più avanti ancora), e saranno condizionate a non ancora ben precisate “riforme strutturali”. Che se il vocabolario UE non è cambiato (ne dubito, anzi lo escludo) significano proseguire con la micidiale miscela di tasse & tagli che ha gettato il nostro paese nella peggiore depressione economica della sua storia.

E in ogni caso l’utilizzo delle cosiddette risorse sarà sottoposto a vincoli di destinazione stabiliti a Bruxelles, per di più sotto minaccia d’interruzione se sempre a Bruxelles determinate situazioni interne italiane si evolveranno in senso “non gradito”.

Mentre non si interromperanno di certo gli obblighi dell’Italia di pagare maggiori contributi (e forse maggiori tasse "europee", di cui qualcuno prevede l'introduzione) a fronte dei “sussidi”.

Il Recovery Fund non è in nessun modo un’evoluzione positiva della governance economica UE. E’ uno strumento in più per condizionare, controllare e vessare.

Non dimostra alcuna volontà, da parte della Germania, di risolvere i problemi dell’Eurozona, perché questi problemi la Germania non è interessata a risolverli. E’ interessata a strumentalizzarli per affermare sempre di più la sua posizione di predominio, nel suo esclusivo interesse economico e geopolitico.

Il meglio che mi posso augurare in merito al Recovery Fund è che l’accordo a 27 non si trovi, e che l’intero progetto finisca dove merita – nel bidone della raccolta indifferenziata.

Nel frattempo, e per fortuna, si continua a lavorare sulla soluzione vera: la Moneta Fiscale.

venerdì 3 luglio 2020

CCF: dossier tecnico

Predisposto dal servizio studi della Camera dei Deputati, con riferimento al progetto di legge per l'istituzione dei Certificati di Compensazione Fiscale, attualmente all'esame della Commissione Bilancio della Camera.

Qui il dossier.