mercoledì 30 dicembre 2020

Ancora su MMT e saldi commerciali esteri


Un mio recente post ha suscitato vivaci discussioni in merito a quanto sia, o non sia, importante per un paese tenere sotto controllo i saldi commerciali con l'estero e il debito in moneta straniera. Chiarisco qui alcuni temi emersi, tra l'altro, in seguito a interazioni con l'amico Megas Alexandros, e da lui sviluppati in questo articolo.

Se un paese importa dall’estero un bene o un servizio e il venditore richiede il pagamento in moneta straniera, si produce automaticamente una passività finanziaria, denominata in quella moneta, del paese verso il settore estero medesimo.

Potrebbe sembrare che questo non sia necessariamente il caso. Immaginiamo che l’Italia abbia ancora (o torni a emettere) la lira. E immaginiamo che un’azienda italiana debba effettuare un pagamento in dollari per comprare petrolio.

A volte si afferma che questo non genera incremento del debito netto italiano in dollari verso l’estero. Perché ? perché il compratore italiano potrebbe, invece di assumere debito in dollari, vendere lire contro dollari sul mercato dei cambi.

Vero. Ma questo che cosa significa ? che una controparte dovrà vendere dollari e comprare lire. Se (caso 1) questa controparte è italiana, diminuiranno i dollari detenuti da residenti italiani.

Se invece (caso 2) la controparte è estera, si ritroverà in possesso di lire. Deterrà quindi un’attività finanziaria espressa in lire (un saldo attivo di conto corrente, un titolo di credito o qualcos’altro) che rappresenterà una passività in lire del sistema economico italiano.

Il sistema Italia, quindi, nel caso 1 si è spossessato di dollari. 

Nel caso 2 invece no: ma la ragione è che il sistema estero NEL SUO COMPLESSO ha ceduto petrolio in cambio di lire. Il venditore del petrolio, certo, ha ricevuto dollari. Ma la transazione è stata resa possibile grazie al fatto che un altro soggetto estero ha accettato di aumentare le sue attività finanziarie in lire. La vendita del petrolio HA GENERATO aumento del debito estero in dollari; questo è stato compensato da un evento DISTINTO E SEPARATO - la decisione d'investimento di un differente soggetto estero. Evento che può aver luogo - ma anche no.

Esiste quindi un ulteriore caso (caso 3): nessun soggetto italiano vende dollari, nessun soggetto straniero accetta di aumentare le sue attività finanziarie in lire. Invece, un soggetto straniero eroga al compratore italiano di petrolio un finanziamento in dollari.

In definitiva ci sono tre possibilità:

Caso 1, il sistema economico italiano diminuisce i dollari in suo possesso.

Caso 2, il sistema estero accetta di aumentare le sue attività finanziarie in lire.

Caso 3, il sistema estero eroga un finanziamento in dollari al sistema economico italiano.

Un paese come gli USA, che paga sempre in dollari le sue importazioni, si trova invece in una situazione differente. La bilancia commerciale passiva implica comunque l’aumento del debito netto estero; ma questo debito è SEMPRE denominato nella moneta sovrana statunitense – non in una moneta straniera. In pratica per gli USA esiste solo l’equivalente del caso 2.

E’ un problema incrementare il debito finanziario in moneta straniera ?

Potenzialmente sì, anche se in linea di massima si parla di debito privato, non di debito pubblico.

Il settore pubblico infatti spende principalmente per acquistare beni e servizi da controparti locali. In particolare, paga gli stipendi dei dipendenti pubblici, e li paga nella sua moneta sovrana.

Però anche l’accumulo di debito privato in moneta straniera può essere pericoloso. Un’azienda o un intermediario finanziario privato ha un rischio d’insolvenza se assume troppo debito, anche in moneta sovrana. Ma in quest’ultimo caso, lo Stato ha la possibilità di intervenire per evitare che il dissesto crei problemi al sistema economico-finanziario nel suo complesso. Parlo, ovviamente, di situazioni di dissesto sistemico, in cui ad andare in crisi sono istituzioni singolarmente o collettivamente di grandi dimensioni.

Ma se il dissesto nasce da un eccesso di debito in moneta straniera, gli spazi di azione dello Stato si riducono enormemente: appunto perché lo Stato deve procurarsi la moneta straniera, non può emetterla fiat.

A scanso di equivoci preciso che:

UNO, l’Italia oggi è lontanissima da uno scenario di questo tipo. Genera 60 miliardi di surplus commerciale estero all’anno, e la sua NIIP (Net International Investment Position, differenza tra attività patrimoniali estere di residenti italiani, e attività italiane di residenti stranieri) è in equilibrio pressoché perfetto.

DUE, in ogni caso, utilizzare l’euro non risolve affatto questo potenziale problema, anzi lo aggrava, proprio perché l’euro è una moneta straniera, che l’Italia non emette. TUTTE le passività di soggetti italiani, pubblici o privati, sono quindi (attualmente) espresse in moneta straniera.

Da UNO, deriva tra l’altro che quanto ho esposto sopra non inficia affatto l’applicabilità della MMT al contesto italiano, in particolare tramite l’introduzione dello strumento CCF / Moneta Fiscale (che va considerato il mezzo per adattare la MMT alle condizioni specifiche del nostro paese, e dell’Eurozona in generale).

Ritengo anche utile precisare che cosa NON sto affermando.

NON STO AFFERMANDO che gli USA sia l’unico paese che paga prevalentemente le importazioni con la sua moneta. Altri paesi dispongono di una moneta che viene SPESSO accettata nelle transazioni internazionali. Vedi ad esempio il Giappone, il Regno Unito o la Svizzera.

Viene anche spesso citato il caso dell’Australia, che ha generato deficit commerciali per quarant’anni consecutivi (è passata in surplus nel 2019) e ha accumulato una NIIP negativa pari a circa il 50% del PIL. Ma le passività finanziarie dell’Australia sono, in misura predominante, denominate in dollari australiani. In pratica, anche il dollaro australiano (pur non essendo una cosiddetta “valuta di riserva internazionale”) è largamente accettato per pagare le importazioni.

Rimane tuttavia vero che situazioni problematiche a causa dell’indebitamento in moneta straniera si sono generate in numerosissime occasioni. Spesso ad esempio in America Latina e in Africa, ma non solo. Vedi il Sudest asiatico nel 1997-8 e la Turchia nel 2018.

Di conseguenza, un modello completo di analisi del sistema economico richiede di introdurre il tema degli squilibri commerciali e degli accumuli di debito in moneta estera che ne possono conseguire. E di ragionare sugli strumenti utilizzabili per prevenire situazioni problematiche, quali (cito ancora il mio post) “i cambi flessibili; la leva fiscale (tassazione favorevole, basso cuneo fiscale sulle produzioni locali); e anche dazi, quote e vincoli alle importazioni”.

domenica 27 dicembre 2020

Perché è meglio cancellare il debito


Sarei anche d'accordo con chi dice che la cancellazione del debito pubblico comprato dalla BCE non risolve i problemi, anzi è irrilevante. Perché serve deficit pubblico.

Sarei anche d’accordo perché sul piano tecnico-economico ha ragione al cento per cento. Quello che serve è immettere potere d’acquisto nell’economia, lasciare più soldi in mano a cittadini e aziende, alimentare domanda, rilanciare gli investimenti, sostenere i redditi e l’occupazione, ridurre le tasse.

E tutte queste cose non si realizzano cancellando il debito. Si realizzano aumentando il (cosiddetto) deficit pubblico, ovvero la differenza tra spese e incassi della pubblica amministrazione.

Ma non esiste solo il piano tecnico-economico. Esiste anche la comunicazione mediatica, esistono i messaggi che influenzano la pubblica opinione.

E la narrazione (sbagliata, infondata) del “debito pubblico fardello sulle future generazioni”, del “neonato che viene al mondo con millemila euro di debito sul capo”, del “non possiamo fare questo e quello perché c’è il debito” è molto, MOLTO potente.

Benissimo fare comunicazione e informazione, encomiabile spiegare che non è così. Ma troppe persone cadono in questa trappola comunicativa, in questa “spiegazione” chiara, semplice, convincente e SBAGLIATA.

Sono d’accordo che cancellare il debito non è risolutivo. Sono d’accordo che non è una condizione sufficiente, e in effetti nemmeno necessaria, per risolvere la situazione.

Ma sarebbe comunque molto, MOLTO meglio, cancellarlo. E’ solo una scrittura di partita doppia, ma ci farebbe fare molta strada.

martedì 22 dicembre 2020

World Monetary Theory (WMT)

 

Spesso mi chiedono “ti riconosci nella MMT ? dichiari di aderire a questa scuola di pensiero economico ?”.

La mia risposta è, in larga misura, affermativa. Ne parlavo un po' di tempo fa: ho sviluppato il progetto CCF senza ancora conoscere la MMT, anche se la proposta Tax-Backed Bonds di Warren Mosler e Philip Pilkington è stata una delle fonti di ispirazione dei CCF. Ma ai tempi, della MMT non sapevo praticamente nulla salvo averne sentito menzionare il nome, e salvo, appunto, aver letto l'articolo di Mosler e Pilkington.

Le mie idee le ho sviluppate autonomamente; tuttavia, più le mettevo a confronto con quanto scrivono gli autori MMT, più identificavo assonanze e sviluppavo preziose “fertilizzazioni”.

Posso oggi tranquillamente affermare che mi riconosco nella MMT, quantomeno al 95%.

L’unico tema realmente rilevante che la MMT a mio parere trascura, o almeno tende a sottovalutare, è l’importanza dei saldi commerciali esteri per un paese che non è in grado di pagare le importazioni nella sua moneta.

Su questo tema l’approccio MMT, o almeno di parecchi suoi aderenti, si sintetizza nell’affermare che le esportazioni sono un costo che si sostiene per ottenere le importazioni. Se i miei saldi esteri sono in deficit, significa che ottengo beni e servizi dai fornitori esteri senza dover lavorare per produrli. Dando, cioè, carta prodotta a costo zero invece di beni e servizi. E allora, perché mai i deficit commerciali dovrebbero preoccupare ?

Il punto è che questa affermazione è in larga misura (ma non totalmente) vera solo per un paese che è in grado di pagare le importazioni nella SUA moneta sovrana. In pratica è sostanzialmente vera per gli USA, gradualmente meno vera per gli altri Stati, e per molti di essi totalmente falsa.

Per chi non paga l’import nella sua moneta, saldi commerciali esteri in deficit equivalgono ad accumulare debito in moneta straniera. Il che espone a un rischio finanziario, perché il debito in moneta straniera, per definizione, non può essere garantito / rimborsato da emissioni di moneta sovrana.

E’ vero che in linea di massima i deficit commerciali vengono accumulati da soggetti privati, non pubblici. Il settore pubblico per lo più acquista beni e soprattutto servizi (in primo luogo, il lavoro dei dipendenti pubblici) pagandoli in moneta nazionale.

Ma se famiglie, aziende e operatori finanziari si indebitano in moneta straniera oltre certi livelli, il problema si riverbera sull’intero paese. E se larga parte dell’economia nazionale è a rischio di dissesto, lo Stato non può semplicemente stare a guardare e lasciare che si inneschi una catena di fallimenti.

Se questo tema non è del tutto compreso dagli autori MMT, è dovuto (credo) al fatto che la maggior parte di loro è statunitense e tende a ragionare (in parte inconsciamente) come se il mondo funzionasse sempre e comunque come gli USA.

Va notato che anche per gli USA, o in generale per un paese in grado di pagare in moneta nazionale tutte le sue importazioni, deficit commerciali elevati e continuativi creano un rischio di erosione della base produttiva nazionale. Pagare l’import in moneta propria, in altri termini, non significa che sia opportuno ignorare i deficit commerciali.

La MMT, in definitiva, ha bisogno di integrare nel suo schema di analisi il vincolo dell’equilibrio negli scambi commerciali con l’estero. Equilibrio che non necessariamente corrisponde a conseguire saldo zero in qualsiasi anno. Corrisponde all’evitare deficit commerciali “strutturali” (nel senso sopra indicato di “elevati e continuativi”).

Per ottenere questo risultato possono essere impiegati diversi strumenti: i cambi flessibili; la leva fiscale (tassazione favorevole, basso cuneo fiscale sulle produzioni locali); e anche dazi, quote e vincoli alle importazioni.

Il libero scambio totale e assoluto non è un obiettivo raccomandabile nel momento in cui esistono paesi e aree economiche che ricercano sistematicamente la generazione di surplus commerciali.

Questo implica tra l’altro che il mercantilismo tedesco (che spinge nella stessa direzione anche il resto della UE) è destabilizzante. Per evidenti ragioni di algebra e di partita doppia, se la UE è sistematicamente in surplus, il resto del mondo accumula deficit e debiti con l’estero. E’ non solo legittimo ma anzi doveroso contrastare queste tendenze.

Tornando alla MMT, io ne cambierei nome e sigla, trasformandola in WMT (World Monetary Theory). In pratica, la MMT integrata con il vincolo di evitare deficit commerciali strutturali, e il connesso accumulo di debiti netti con l’estero, SOPRATTUTTO se denominati in moneta non sovrana.

 

sabato 19 dicembre 2020

La Moneta Fiscale in supersintesi

 

E’ un titolo che dà diritto a uno sconto fiscale.

Viene distribuito gratuitamente e consente di tenersi più euro in tasca.

Equivale a una riduzione di tasse, ma va a vantaggio anche di chi è incapiente o quasi e quindi tasse ne paga poche, o nessuna.

L'incapiente infatti può scambiarla contro euro o utilizzarla per comprare beni e servizi - con controparti che tasse da pagare ne hanno.

L’essenziale è emettere Moneta Fiscale per un valore largamente inferiore agli incassi lordi del settore pubblico (altrimenti se ne svilirebbe il valore).

Ma c’è uno spazio enorme, perché gli incassi lordi annui del settore pubblico sono circa 800 miliardi.

mercoledì 16 dicembre 2020

Disegno di Legge - Fratelli d'Italia

Forse una diversa denominazione aiuterà, chissà...

I buoni digitali di sconto fiscale sono, ovviamente e in buona sostanza, i certificati di compensazione fiscale (CCF).

Qui il testo del Disegno di Legge.

domenica 13 dicembre 2020

Crescita e debito: il RISOLVIBILE problema dell’Italia


L’economia italiana è depressa da DODICI anni: a partire da quando, a fine 2008, il fallimento Lehman Brothers ha innescato la crisi finanziaria mondiale.

La disgrazia dell’Italia è stata, da allora ad oggi, aver fedelmente, anzi ossequiosamente, eseguito le “raccomandazioni” impartite dalla UE. Sono state adottate politiche procicliche, imponendo austerità quando gli effetti della crisi Lehman non erano ancora stati superati.

L’obiettivo era ridurre il debito pubblico del paese, ritenuto troppo elevato. In realtà i fatti hanno dimostrato, e la teoria economica lo sta ormai riconoscendo, che il debito pubblico non è affatto un problema di per sé. Lo può diventare per un paese che si indebita in una moneta che non emette e che non gestisce, e che è troppo forte per i fondamentali della sua economia.

Quest’ultima è esattamente la situazione in cui si trova l’Italia a seguito dell’ingresso nell’euro, ed è il motivo per cui il nostro paese non sarebbe MAI dovuto entrare nella moneta unica.

Ma dato questo presupposto, cercare di ridurre il debito con politiche fiscali restrittive (tagli di spesa e aumenti di tasse) in periodi di economia depressa NON ottiene lo scopo. Distrugge invece produzione e occupazione, genera fallimenti aziendali, fa esplodere le insolvenze bancarie.

La contraddizione è evidente ma la UE rifiuta di riconoscerla, e i governi italiani non hanno mai saputo contrastare questa visione. Di conseguenza ai colpi inferti dalla crisi mondiale 2008 sono seguiti quelli della crisi dei debiti sovrani dell’Eurozona, e delle scellerate politiche adottate tra il 2011 e il 2013.

E oggi ci sono altissimi rischi di ripetere gli stessi errori in conseguenza del Covid. Attualmente in Italia si sta in qualche modo – in misura troppo limitata, e comunque più contenuta rispetto alla grandissima maggioranza degli altri paesi – contrastando il danno economico della crisi sanitaria con sussidi, rimborsi e slittamenti di imposte.

Ma questo è possibile solo grazie alla sospensione del Patto di Stabilità e Crescita, sospensione che è temporanea. Probabilmente il Patto rientrerà in vigore nel 2022. Ben prima che l’economia abbia pienamente recuperato l’”effetto Covid” – che, ricordo, si è sovrapposto a un contesto che era GIA’ PRIMA pesantemente depresso e sfibrato.

Si parla di riformare il Patto, ma proposte concrete, vicine non si dice a una fase attuativa ma quantomeno a una discussione costruttiva tra gli Stati membri dell’Eurozona, non ne esistono.

Dovrebbe essere prossimo all’avvio, invece, il Recovery Fund. Ma è una ciclopica, terribile ingenuità pensare che rappresenti una svolta espansiva e solidale della governance economica UE.

I numeroni buoni per fare titoli sui media, i 209 miliardi, sono una colossale partita di giro. Circa 120 sono debiti che sostituiranno emissioni di BTP, ma non finanzieranno alcuna spesa aggiuntiva. I residui 80-90, impropriamente definiti “a fondo perduto”, saranno al contrario compensati da nuove tasse e da maggiori contributi da pagare a Bruxelles.

Non è affatto certo che l’effetto netto totale sia espansivo. Se lo sarà, parliamo di poche decine di miliardi (20 ? forse qualcosa di più, forse anche meno) suddivisi su svariati anni.

In “compenso”, TUTTI i 209 miliardi potranno essere spesi solo previa approvazione UE. Con il rischio concreto di non riuscire a utilizzarli tutti, magari solo perché il prossimo governo risulterà “non troppo simpatico” agli organi decisionali dell’Unione Europea. Mentre, beninteso, le maggiori tasse e i maggiori contributi necessari a compensare il (cosiddetto) “fondo perduto” andranno pagati sempre e comunque, senza fiatare.

In altri termini, il Recovery Fund non è affatto un meccanismo per attuare politiche espansive. E’ uno schema concepito per introdurre ULTERIORI vincoli, controlli e burocrazia, e per legare ancora di più le mani ai futuri governi italiani.

Il quadro è estremamente fosco. Ma tutti questi problemi NON sono irrisolvibili. C’è UNA via d’uscita da questa catastrofica situazione. Immettere potere d’acquisto SUPPLEMENTARE nell’economia utilizzando strumenti finanziari che NON costituiscano debito da rimborsare in euro.

Questa è la logica del progetto Moneta Fiscale / Certificati di Compensazione Fiscale. Esistono disegni di legge in discussione a livello di commissioni parlamentari, presentati sia da esponenti della maggioranza di governo, che dall’opposizione.

Lo logica è molto semplice. Immettere nell’economia un’attività finanziaria che rappresenta il diritto a uno sconto fiscale futuro, e che di conseguenza ha valore fin dal momento in cui viene creata e distribuita ad aziende e cittadini.

Gli sconti fiscali possono essere utilizzati per un ventaglio amplissimo di applicazioni. Integrare i redditi netti di lavoro, sia dipendente che autonomo, sia privato che pubblico, favorendo in particolare i livelli più bassi. Compensare parzialmente i pagamenti di oneri sanitari e contributivi, riducendo il cuneo fiscale effettivo e rendendo quindi più competitive le aziende. Attuare politiche di spesa sociale. Potenziare gli investimenti pubblici. Sostenere ricerca, innovazione e aggiornamento tecnologico delle imprese.

Occorre aver cura che le dimensioni totali delle emissioni non superino una frazione limitata degli incassi fiscali del settore pubblico: altrimenti gli sconti fiscali perderebbero valore (a causa dell’eccesso di circolazione rispetto al potenziale utilizzo).

Il Gruppo della Moneta Fiscale (Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Massimo Costa e Stefano Sylos Labini) ha stimato in circa 200 miliardi il totale di sconti fiscali che potrebbero arrivare a circolare nell’economia italiana, senza creare effetti d’inflazione né di svilimento di valore dei titoli di sconto.

Il recupero dell’economia che ne deriverebbe è di un ordine di grandezza enormemente superiore a quello (risibile se non nullo) prodotto dal Recovery Fund.

L’economia italiana otterrebbe una forte ripresa di domanda, produzione e occupazione. E il debito pubblico da rimborsare in euro, quello che realmente preoccupa, potrebbe incamminarsi su una traiettoria discendente rispetto al PIL, senza attuare alcun intervento fiscale restrittivo.

L’”Ecobonus 110%” per le ristrutturazioni immobiliari è già un’applicazione di questo concetto. E si sta anche lavorando alla creazione di una piattaforma informatica di scambio dei crediti fiscali, importantissima per massimizzarne la liquidità e i conseguenti benefici.

QUESTA è la linea di azione su cui devono convergere gli sforzi di deputati, senatori e membri del governo. NON SERVE NIENTE DI PIU’, MA NON BASTA NIENTE DI MENO.

 

martedì 8 dicembre 2020

Un vero liberale non può essere euroausterico

 

Tra le tante contraddizioni di chi plaude all’euro, alla “disciplina di bilancio”, alle regole di governance dell’eurosistema, ma nello stesso tempo si definisce “liberale”, una (meno ovvia di altre) merita qualche riflessione.

Se la circolazione di potere d’acquisto nell’economia è insufficiente a garantire l’utilizzo di tutte le risorse produttive (lavoratori e aziende), il liberale che CONOSCE la macroeconomia dovrebbe ESIGERE che la circolazione medesima venga incrementata.

E non dovrebbe preoccuparsi più di tanto dei meccanismi tramite i quali quell’incremento si realizza. Che siano meno tasse, maggiori trasferimenti, maggiore spesa e investimenti pubblici, la cosa fondamentale è IMMETTERE il potere d’acquisto mancante.

Nel momento in cui i soldi circolano in misura adeguata, il liberale che ragiona correttamente si accorgerebbe che l’iniziativa individuale spinge il “libero gioco dell’interazione umana” ad allocare il potere d’acquisto. Se i singoli hanno soldi da spendere, ragionano – più correttamente di quanto farebbe un’entità collettiva eterodiretta – su come utilizzarli. E finiscono per effettuare scelte corrette perché (questo è uno dei capisaldi del pensiero liberale) nessuno è in grado di valutare i bisogni individuali meglio dell’individuo stesso.

E (altro caposaldo) i singoli, stavolta nella loro veste di produttori, si sanno organizzare per soddisfare i desideri dei consumatori, e sono incentivati dalle loro motivazioni di profitto a farlo con efficienza.

Il liberale non è (non dovrebbe essere) minimamente contrario alle politiche di pieno impiego. Lo diventa se non conosce la macroeconomia. Se scambia un vincolo artificiale (la carenza di moneta) con un vincolo reale. Se crede che l’immissione di potere d’acquisto nell’economia possa avvenire solo emettendo debito, quando invece uno Stato può (e deve) emettere moneta.

L’euroausterico spesso si definisce liberale, ma è solo una persona incompetente e/o in malafede.

 

domenica 6 dicembre 2020

Gli amici europei amano salvare le LORO banche con i NOSTRI soldi

 

Il buon Carlo Cottarelli ci fa sapere via twitter che “tra le critiche alla riforma del MES la più strana è che la possibilità di ricapitalizzare le banche col MES favorirebbe la Germania. Ma se le banche tedesche avessero problemi, la Germania non avrebbe problemi a finanziare il salvataggio indebitandosi sui mercati. L’Italia sì”.

Cottarelli è veramente così ingenuo ?

Certo che la Germania potrebbe salvare le sue banche indebitandosi sul mercato. Ma sia per loro che i francesi, non sarebbe stato un problema neanche nel 2010-2012 tappare i buchi presi dalle loro banche in Spagna e in Grecia (i tedeschi più in Spagna, i francesi più in Grecia).

Problema: avrebbero dovuto dichiarare al loro elettorato che il LORO sistema bancario si era comportato in modo dissennato, e quindi che era necessario intervenire.

Molto più facile, politicamente, dare tutta la colpa al debitore e dichiarare che si era creato un problema “di natura generale”. Quindi, suddividere l’onere con gli altri paesi dell’Eurozona (Italia in primis), che in quei paesi erano molto meno esposti.

La riforma del MES tra le altre finalità ha anche quella di ripetere, se mai servisse, lo stesso esercizio. Le landesbanken sono nei guai ? interviene il MES, anche con i soldi italiani, “perché è un problema collettivo”.

Se invece il problema l’hanno le banche italiane ? il MES in teoria può intervenire anche in questo caso, ma con il rischio (altissimo) che l’onere scaricato (via MES) sul bilancio pubblico italiano spinga a farne dichiarare l’insostenibilità, obbligando quindi l’Italia a “ristrutturarlo” (a fare default, in altri termini) nonché ad accettare pesantissimi condizionamenti sulla politica economica degli anni a venire.

Peggio ancora: può benissimo capitare che in crisi vadano le banche tedesche e non le italiane, che si ricapitalizzino via MES le banche tedesche e non le italiane… e che come risultato il debito italiano venga dichiarato insostenibile e ristrutturato. E il debito tedesco invece no.

Questo è il nocciolo della “bellissima, equa, solidale ed europeistica” riforma del MES.

Che ne dite, lo spieghiamo a Cottarelli ?

venerdì 4 dicembre 2020

L’immaginaria stagflazione degli anni Settanta

 

Ogni tanto risento o rileggo il ritornello che “il keynesismo non è stato in grado di spiegare la stagflazione degli anni Settanta”, o per essere precisi del periodo in cui l’economia mondiale è stata colpita dagli oil shocks.

Bene, mi pare utile chiarire che in quel periodo si sono registrati alti livelli di inflazione, in tutti i principali paesi occidentali e in Italia più della media. Ma NON è stato un periodo né di stagnazione né tantomeno di depressione dell’economia.

L’inflazione, misurata in base all’indice dei prezzi al consumo, è stata in Italia a due cifre nel periodo tra il 1973 e il 1984, con una media annua del 15,7%.

Nello stesso periodo, il PIL italiano IN TERMINI REALI è aumentato di quasi il 40% (39,8% per i pignoli, secondo i dati ISTAT / Bankitalia). Il che corrisponde a un incremento medio annuo del 2,8%, su un periodo di dodici anni.

La crescita è stata in quegli anni discontinua, soprattutto a causa degli interventi di politica monetaria (altrimenti detto, le strette creditizie) che cercavano di tamponare l’inflazione e di ritardare i riallineamenti del cambio (che dopo poco comunque avvenivano).

Ma la crescita economica C’ERA. Il tenore di vita della popolazione MIGLIORAVA. Le opportunità di lavoro e di crescita professionale per i giovani (e anche per i meno giovani) ESISTEVANO.

Anni complicati. Ma anni in cui il paese continuava a svilupparsi. Anni in cui non è minimamente venuta meno la fiducia in un futuro migliore per i figli, rispetto alle condizioni di vita dei genitori.

E tutto questo è vero per l’Italia così come per tutte le altre economie di mercato avanzate.

Non è per niente vero che “il keynesismo non è stato in grado di spiegare la stagflazione” di quegli anni.

La verità è che NON C’E STATA stagflazione. Inflazione sì. Stagnazione no. Né tantomeno depressione.

La depressione economica ce l’hanno regalata l’euro e le sue deliranti regole di funzionamento.

 

martedì 1 dicembre 2020

Perché non mi piace la patrimoniale LEU

 

Sono favorevole a un sistema di tassazione progressivo, da adottare in forma anche molto pronunciata non solo per i redditi ma anche per i patrimoni. Ma la proposta LEU, quantomeno nei termini in cui è descritta in questo articolo - no, non mi convince.

Intanto una considerazione di carattere generale. Si parla molto (tema menzionato anche nell'articolo) di iniquità nella distribuzione mondiale della ricchezza, citando i casi di individui i cui patrimoni si misurano in decine se non, ormai, in centinaia di miliardi.

E poi, da lì si arriva a proporre una patrimoniale che agisce a partire da… 500.000 euro. I “super-ricchi”, i “grandi patrimoni” da colpire, in altri termini, in qualche modo accostati a Jeff Bezos e a Bill Gates, o per restare in Italia a Ferrero o a Del Vecchio, comprendono persone che possiedono una casa e un po’ di risparmio in banca.

Vedo quindi un problema di soglia minima. Che mi suonerebbe molto meglio se fosse decisamente più alta di 500.000 euro.

Per la verità, leggo anche che a fronte della patrimoniale “generale” verrebbero eliminate alcune patrimoniali “specifiche” quali l’IMU sulle seconde case e i bolli su conti correnti e depositi di titoli in banca. Che colpiscono anche persone non particolarmente facoltose.

E questo mi suona meglio. Però l’articolo menziona una stima di gettito pari a 18 miliardi. Stiamo parlando allora di gettito LORDO, o di gettito AL NETTO delle minori tasse eliminate ?

Ho il sospetto che l’ipotesi corretta sia la prima. Allora la domanda che mi pongo immediatamente è: abbiamo capito che la necessità, la priorità, non è punire i (presunti) ricchi, ma METTERE soldi nell’economia - e non TOGLIERLI ?

E non mi va bene una dichiarazione di principio, non qualificata e non precisata, tipo “i 18 miliardi sono maggior gettito netto e quindi sono risorse in più che andranno ai meno abbienti e al rilancio dell’economia”.

Voglio vedere, nel MEDESIMO progetto di legge, quali provvedimenti – a fianco della patrimoniale – vengono IMMEDIATAMENTE E CONTESTUALMENTE introdotti per utilizzare quei soldi a vantaggio delle fasce sociali disagiate, nonché per il rilancio della domanda, della produzione e dell’occupazione. 

Meglio, molto meglio ancora, voglio vedere soldi IMMESSI in misura SUPERIORE a quanto TOLTO per effetto della patrimoniale.

A queste condizioni se ne può parlare.

Altrimenti, per favore, lasciamo perdere.

 

sabato 28 novembre 2020

Appunti su diseguaglianza e globalizzazione

 

La buona notizia è che la diseguaglianza nel mondo è in diminuzione. Un risultato conseguito soprattutto grazie allo sviluppo impetuoso dei grandi paesi asiatici che fino a un paio di decenni fa erano terzo mondo. La Cina soprattutto, in misura minore l’India.

La cattiva notizia è che la diseguaglianza è in aumento nei paesi economicamente più avanzati, in particolare Nordamerica ed Europa Occidentale.

Le ragioni della cattiva notizia hanno parecchio a che vedere con le modalità con cui il processo di globalizzazione è stato condotto.

L’innesco della crescita asiatica è stato la loro possibilità di competere sui mercati internazionali grazie al basso livello del costo del lavoro e delle tutele sociali.

Le grandi aziende, e i grandi interessi finanziari ad esse legati, hanno sfruttato questo processo mettendo il lavoratore occidentale in diretta concorrenza con il lavoratore dell’Est.

Era possibile mettere in atto meccanismi compensativi per attenuare, anzi azzerare, l’impatto di questo fenomeno sulle classi subordinate dell’Occidente ? certo, era possibile e neanche difficile.

Come ? spingendo su spesa sociale e investimenti, soprattutto in aree quali sanità, ambiente, istruzione, infrastrutture, protezione del territorio. Aree che per loro natura tendono a utilizzare manodopera locale (e spesso richiedono alti livelli di qualificazione).

E, inoltre, mantenendo alti livello di capacità di spesa e di domanda interna. Questo avrebbe tutelata la redditività delle imprese locali e generato incentivi, e capacità finanziaria, a investire e a fare ricerca.

Non si è voluto. Si è detto alle classi subordinate dell’Occidente che dovevano accettare una compressione del loro tenore di vita per “recuperare competitività”, in pratica incrociando la loro curva dei redditi e delle tutele sociali (in discesa) con quella dell’Oriente (in salita).

Non ce n’era alcuna necessità, non era inevitabile, ma così si è deciso di fare.

Le bugie sulla “imprescindibile necessità di ridurre i deficit e i debiti pubblici”, limitando di conseguenza il perimetro di intervento dello Stato, hanno potentemente agevolato questa tendenza. In Europa, anche e soprattutto facendo leva sulle regole di funzionamento dell’Eurosistema.

La reazione “identitaria” e “nazionalista”, l’opposizione alla globalizzazione e alla mondializzazione, sono una diretta conseguenza di tutto questo.

Le risposte dell’establishment non possono continuare a essere repressive se si vuole risolvere il problema. Vanno riconosciute le ragioni degli oppositori della globalizzazione, per definire un nuovo patto sociale e invertire le cause degli effetti distorsivi e socialmente deleteri.

giovedì 26 novembre 2020

Su Micromega - il debito pubblico da cancellare

Uno degli ultimi post pubblicati su questo blog è apparso di recente su Micromega. Le critiche di un lettore, Luigi Massa, e le mie risposte sono utili (credo) per chiarire ulteriormente il tema.

lunedì 23 novembre 2020

Gli sfondoni tecnici degli economisti euristi


Gli economisti di affiliazione pro-euro riescono sempre a stupirmi per la sicumera con cui formulano argomentazioni prive di senso. E questo vale anche (anzi forse soprattutto) per quelli di “chiara fama”. 

Vediamo qui, ad esempio, Marcello Messori della LUISS (intervista a “Repubblica”, 19.11.2020):

D. A proposito di debito, monta la questione della cancellazione dei debiti pubblici. Lei che ne pensa ?

R. Vi è un eccesso di titoli pubblici nei bilanci delle banche centrali, a cominciare dalla BCE. Tra uno strumento e l’altro, dallo scorso febbraio la BCE ha assorbito più del 70% delle emissioni di titoli pubblici ed è arrivata a possedere quasi il 30% dello stock di debito dei paesi più fragili.

Superata la pandemia, questa situazione andrà affrontata e superata: una banca centrale, che ha il suo bilancio così tanto appesantito dai titoli di Stato, non può mantenere l’indipendenza. Infatti, in futuro, una BCE indipendente dovrebbe vendere titoli di Stato per fronteggiare un surriscaldamento ciclico dell’economia: ma se facesse una mossa del genere a fronte di una detenzione abnorme di titoli accumulati, rischierebbe di scatenare un panico finanziario.

Dunque, una soluzione si dovrà trovare; ma non si tratta di una scelta risolvibile con una cancellazione.

Messori non entra nel merito del perché la soluzione non potrebbe essere la cancellazione, ma non è su questo che mi voglio soffermare.

Il punto insensato della risposta di Messori è l’affermazione che sia necessario vendere una “quantità abnorme di titoli accumulati” per fronteggiare un “surriscaldamento ciclico” dell’economia (scenario lontanissimo dalla condizione attuale, ma speriamo prima o poi che il problema sia questo, rispetto alla condizione odierna di congelamento a zero gradi Kelvin…).

Una banca centrale, in presenza di un “surriscaldamento ciclico”, agisce tipicamente aumentando i tassi d’interesse. E vendere titoli di Stato (abbassandone il prezzo e di conseguenza aumentandone il rendimento) è effettivamente una modalità per ottenere questo risultato.

Ma non è affatto l’unica. Anche perché la banche centrali storicamente NON si sono trovate, in genere, nella situazione di detenere titoli di Stato. Gli acquisti di titoli sono partiti con l’avvio dei programmi di Quantitative Easing: in Giappone dagli anni Novanta, nel resto del mondo dopo la crisi finanziaria globale del 2008 (la BCE è arrivata buona ultima nel 2015).

La variazione dei tassi d’interesse viene ottenuta dalle Banche Centrali anche per un’altra via, che non richiede la compravendita di titoli. Parlo ovviamente della variazione del tasso offerto alle banche commerciali per depositare presso, o per prendere a prestito dalla, Banca Centrale.

Oggi diminuirlo (rispetto a livelli che già sono andati a zero, o addirittura diventati negativi) non risolve nulla. Ma Messori si preoccupa dello scenario di “surriscaldamento”, in cui l’economia non va stimolata ma al contrario frenata. E questo richiede di aumentare i tassi offerti dalla Banca Centrale alle banche commerciali: il che è sempre possibile.

Ma inoltre – altra cosa di cui Messori sembra non rendersi conto – se anche si preferisce per qualche motivo agire mediante la vendita sul mercato di titoli di Stato, e la BCE ne possiede una “quantità abnorme”, questo non implica che debbano essere venduti tutti, o venduti in blocco, scatenando un “panico finanziario”.

Ne possono / devono essere venduti quanto basta (NON una “quantità abnorme”) per ottenere la desiderata variazione dei tassi d’interesse.

In sintesi: se sei un economista eurista, meno capisci, meno sei tecnicamente competente (o comunque meno dai segno di esserlo) e più consolidi la tua immagine di luminare, a quanto pare…

 


sabato 21 novembre 2020

Gualtieri, o del come ridurre il debito

 

Hanno fatto molto discutere le dichiarazioni del Presidente dell’Europarlamento David Sassoli in merito all’opportunità di cancellare il debito pubblico acquistato dalla BCE.

Tra i vari commenti, il Ministro Roberto Gualtieri ha dichiarato che “il miglior modo per cancellare il debito è con la crescita economica… questo dibattito lascia il tempo che trova”.

Bene, l’affermazione di Gualtieri è uno dei tanti luoghi comuni che possono suonare saggi & avveduti a un uditorio (molto) disinformato.

La verità è invece che il miglior modo per cancellare il debito pubblico ricomprato dalla propria banca centrale è proprio… CANCELLARLO.

Certo, se esistesse un impegno illimitato e incondizionato a rifinanziarlo (da parte della BCE) la cancellazione non sarebbe necessaria, e neanche particolarmente utile.

Ma nell’Eurozona questo impegno non esiste.

Finché il debito c’è, lo spettro di sentirsi dire che l’impegno di rifinanziamento viene meno, o esiste solo condizionatamente a interventi di politica economica iniqui, antisociali e distruttivi per l’economia, ESISTE. E non è immaginario. E’, in effetti, tutt’altro che uno spettro. La crisi dei debiti sovrani del 2011-2012, le vicende greche, l’azzeramento della crescita economica che l’Italia ha subito dall’ingresso nell’euro in poi lo dimostrano.

E dato che questo spettro è MOLTO reale, rimangono sul tappeto, come e più di sempre, molti temi e molte possibilità.

La cancellazione del debito, certo, ma anche

la monetizzazione del deficit

l’impegno esplicito e incondizionato a mantenere i titoli di Stato all’attivo della BCE, per un periodo indeterminato / perpetuo

la TOTALE revisione delle regole di funzionamento dell’Eurosistema (incluso magari mediante il progetto CCF)

lo scioglimento dell’euro.

Se ne continuerà a parlare: rimangono sul tappeto, rimangono sotto i riflettori. Da dove non li toglieranno i luoghi comuni recitati da Gualtieri.

Non li toglieranno perché uno di questi interventi, o una combinazione di alcuni, è indispensabile per risolvere le spaventose disfunzioni dell’Eurosistema e le insensate sofferenze che l'euro ha inflitto a tanta parte della popolazione italiana ed europea.

 


mercoledì 18 novembre 2020

Il debito pubblico da cancellare

 

Hanno fatto scalpore, pochi giorni fa, le dichiarazioni del presidente del Parlamento Europeo. David Sassoli ha ipotizzato di cancellare il debito pubblico acquistato dalla BCE ed emesso dai vari paesi dell’Eurozona per fronteggiare la crisi Covid.

Un’operazione come questa sarebbe perfettamente possibile dal punto di vista tecnico-economico. Le cose sono più complesse sul piano politico e legale, ma questi ultimi sono temi che si risolvono – basta che ne esista la volontà.

Concentriamoci invece sui temi di sostanza economica. A volte si legge che l’operazione di cancellazione è, appunto, tecnicamente possibile, ma comporta costi e benefici, da valutare e soppesare.

Bene. Quale sarebbe il “costo” di cancellare titoli del debito pubblico detenuti dall’istituto di emissione ? chi lo pagherebbe ? su chi graverebbe ?

Sento dire che pagheremmo questo “costo” sotto forma di maggiore inflazione futura. Ma è un’affermazione che lascia (a dir poco) perplessi, per varie ragioni.

UNO, in quale senso l’inflazione è un “costo” ? in quale senso impoverisce un paese ? oltre certi livelli, e nella misura in cui avviene in modo improvviso e inatteso, è sicuramente un fattore di instabilità e ha effetti redistributivi. Ma ha un costo economico oggettivamente identificabile e quantificabile ? decisamente no.

DUE, anche ammettendo che il “costo” prodotto dall’inflazione esista, la cancellazione di debito pubblico detenuto dall’istituto di emissione non immette moneta nell’economia. La moneta è stata creata dalla BCE nel momento in cui ha attivato programmi di acquisto di titoli di Stato. Era in circolazione prima della cancellazione del debito; ci rimane in misura invariata dopo. Il write-off contabile del debito non cambia in nessun modo la quantità di potere d’acquisto in circolazione nell’economia.

TRE, se anche la cancellazione del debito pubblico aumentasse (per ragioni che non si vedono, perché non esistono) la quantità di potere d’acquisto in circolazione, non si produrrebbero effetti indesiderati sull’inflazione fino al momento in cui il maggior potere d’acquisto non spingesse la domanda di beni e servizi oltre la capacità produttiva del sistema economico. Ma oggi

QUATTRO, proprio a causa della cronica carenza di domanda, l’inflazione, nell’Eurozona e in particolare in Italia (non solo oggi: in effetti, da molti anni) è al di sotto degli obiettivi perseguiti dalla BCE. E in effetti la BCE si preoccupa costantemente per il livello troppo basso d’inflazione.

La preoccupazione per gli impatti inflattivi della cancellazione è quindi del tutto fuori luogo. Non esistono impatti inflattivi – e se mai esistessero sarebbe peraltro solo un bene.

Altro “problema” di cui si legge, connesso alla cancellazione del debito, sarebbe la contrazione del patrimonio netto contabile dell’istituto di emissione: se la BCE azzerasse una parte significativa del suo attivo (i titoli di Stato acquistati) il suo patrimonio si ridurrebbe e potrebbe diventare addirittura negativo. E quindi ?

E quindi niente. Anche questo è un problema inventato. Un istituto di emissione può benissimo operare con patrimonio contabile negativo, perché la voce principale del suo (cosiddetto) passivo è la moneta in circolazione. Che è un “passivo” assolutamente sui generis: non deve essere rimborsato a nessuno e quindi non può dar luogo a fenomeni di insolvenza o di dissesto o comunque di instabilità finanziaria.

In realtà considerare la moneta emessa una passività della Banca Centrale è una (discutibile) convenzione contabile. Sarebbe più sensato affermare che quando una Banca Centrale emette moneta fiat, il suo patrimonio netto si accresce.

Altrimenti detto: se la BCE il 1° gennaio 2021 emette 1.000 miliardi di euro e li tiene in cassa, chiaramente le sue disponibilità aumentano. A tutti gli effetti pratici e secondo qualsiasi logica, si tratta di un incremento patrimoniale.

Se emette 1.000 miliardi, compra un pari importo di titoli di Stato e li annulla, il risultato è che si trova esattamente nella situazione di partenza. Emette 1.000 di moneta e se ne spossessa; in cambio di cosa ? dell’acquisto di 1.000 miliardi di titoli, che però vengono annullati.

Per un istante avevo (io BCE) 1.000 miliardi di moneta, ma poi non li ho più. E per un istante ho avuto 1.000 di titoli, ma immediatamente li annullo. La sostanza è che non si è creato nessun effetto patrimoniale. Non si è “dissestato” niente.

Che senso ha preoccuparsi di una convenzione contabile priva di contenuto ? lo stesso che favoleggiare di un rischio d’inflazione inesistente. Esattamente nessuno.

domenica 15 novembre 2020

La benzina è solo un liquido ?

 

“Come fai a pensare che l’economia funzioni meglio immettendo più moneta ? la moneta non può creare ricchezza ! la moneta non produce ! la moneta non si mangia”.

“Come fai a pensare che senza benzina non si possa muovere un veicolo ? la benzina è solo un liquido ! non tira e non spinge ! non è un tiro a quattro di cavalli !!!”.

“Come fai a pensare che per vivere sia necessario respirare ? l’aria è solo un gas ! l’aria non si mangia !!”.

“Come fai a pensare che senza lubrificante un motore possa grippare ? l’olio non è un carburante. Non è l’olio che fa funzionare un’auto.”.

“Come fai a pensare che senza acqua non si possa sopravvivere ? l’acqua è solo un liquido ! non ha colore, non ha sapore, non nutre !!!”.

Se vi sfugge il nesso tra queste affermazioni, siete probabilmente un euroausterico. Mandate il vostro CV alla Commissione UE, potrebbero aprirsi interessanti prospettive di carriera.

 

giovedì 12 novembre 2020

L’ultima difesa degli euroausterici

 

Uno Stato può, utilizzando la propria moneta, immettere potere d’acquisto nell’economia spendendo più di quanto preleva in tasse (il cosiddetto “deficit pubblico”, che in realtà è surplus del settore privato).

C’è naturalmente un vincolo da rispettare: non spingere l’immissione di potere d’acquisto nell’economia a livelli tali da portare la domanda al di là della capacità produttiva del sistema economico. L’eccesso di potere d’acquisto, infatti, innesca livelli eccessivi d’inflazione.

Gli ultimi mohicani che sostengono ancora l’utilità dell’attuale eurosistema – quelli che io chiamo euroausterici – e in generale i critici della MMT, nel cercare di contestare queste affermazioni si appigliano ancora a un’estrema linea di difesa. Ovvero: quanto detto sopra vale “se si emette una valuta di riserva internazionale”. Quindi lo possono fare gli USA, il Giappone, il Regno Unito (ma la sterlina è ancora una valuta di riserva ?), la Svizzera, ma non lo potrebbe fare l’Italia con la lira.

Sul perché questo debba essere vero, non ho letto nessuna spiegazione sensata. Magari c’è e quindi ringrazio in anticipo se qualcuno me la segnala.

Ma al momento, a me pare che lo status di valuta di riserva (concetto non del tutto ben definito, per la verità) c’entri poco o niente. Casomai si può affermare che se il tuo paese è di grande dimensione e rappresenta quindi un importante mercato di sbocco per i tuoi partner commerciali, puoi essere in grado di imporre il pagamento nella tua moneta per i beni e servizi che importi.

Questo evita il problema di generare debito (privato) in moneta estera per finanziare deficit commerciali, e li rende quindi maggiormente sostenibili nel tempo (non necessariamente, però, opportuni: alla lunga c’è il rischio di erodere la propria struttura produttiva).

Anche per un paese che paga le importazioni in moneta estera, comunque, mi pare proprio che le affermazioni di cui sopra siano perfettamente applicabili – con un’aggiunta.

Uno Stato può, utilizzando la propria moneta, immettere potere d’acquisto nell’economia spendendo più di quanto preleva in tasse (il cosiddetto “deficit pubblico”, che in realtà è surplus del settore privato).

I vincoli sono: non spingere l’immissione di potere d’acquisto a livelli tali da portare la domanda al di là della capacità produttiva del sistema economico, innescando eccessivi livelli d’inflazione; e non generare eccessi di domanda che causino alti e persistenti deficit commerciali da finanziare con indebitamento in moneta estera.

L’Italia oggi – con inflazione a zero e 60 miliardi all’anno di surplus commerciale – ha spazi ENORMI per immettere potere d’acquisto nel sistema economico.

Più esattamente: LI AVREBBE. Se emettesse la SUA moneta. O un appropriato succedaneo, quale i Certificati di Compensazione Fiscale.

 

domenica 8 novembre 2020

“Sacrifici da suddividere” ? basta con le menzogne

 

Leggo sempre con grande interesse gli interventi di Mauro Ammirati su temi economici e sociali. Ci tengo a citare parola per parola, e a commentare, questo suo post, che spiega con chiarezza cristallina quale mistificazione si celi dietro alla retorica dei “sacrifici da suddividere tra la popolazione” per affrontare le conseguenze della crisi economica. Crisi aggravata (perché ovviamente c’era già prima, da molti anni) dal Covid.

E’ un argomento che ho già affrontato diverse volte, questa spero che sia l’ultima, ma, detto tra noi, non sono così fiducioso. Continuo a leggere che i costi dell’attuale crisi devono essere equamente ripartiti, che ognuno sostenga la sua parte di sacrifici, che ci vuole la “solidarietà nazionale”, perciò ognuno rinunci a qualcosa affinché si possa venire incontro alle necessità di tutti. Scoraggiante, davvero. Ciò che avvenne negli anni Settanta non l’ho letto sui libri di storia o di macroeconomia: io c’ero, quei tempi li ho vissuti e ne ricordo i fatti e gli aspetti più importanti. Fu il periodo dell’austerità, delle domeniche a piedi, delle targhe automobilistiche pari e dispari, del riscaldamento razionato e dell’inflazione a due cifre. Mai nessuno, però, che spieghi come si arrivò a quella situazione. Cos’era accaduto ? Che i paesi arabi, diversi dei quali erano (e sono tuttora) produttori di petrolio, avevano perso la guerra del Kippur contro Israele, nel 1973. E pensarono di vendicare quella sconfitta, la quarta in 25 anni, tagliando l’estrazione e la produzione del greggio, provocando l’aumento del prezzo del barile d’oro nero del 400% (non è un errore di battitura, avete letto bene: il 400%). Inevitabilmente, in tutti i paesi industrializzati ci fu un’impennata inflazionistica, c’era il terrore che la produzione e l’offerta di beni reali crollasse e che restassimo senza neppure i beni di prima necessità, così molte famiglie fecero provviste come nei tempi di guerra. Quella crisi c’era davvero, perché il petrolio mancava davvero. Metteteci pure che eravamo nella preistoria dello sfruttamento delle fonti rinnovabili, la capacità produttiva e la tecnologia avevano fatto passi da gigante nei decenni precedenti, ma non c’è paragone con i giorni nostri. Poche famiglie avevano un televisore a colori, molte non avevano manco il telefono fisso, altro che posta certificata e social network. Si fece una politica di austerità perché non si poteva fare altro, dato che nessuna politica espansiva può darti una risorsa naturale, una materia prima che non hai. Allora aveva un senso ripartire equamente e fare i sacrifici. E sebbene non avessimo la capacità produttiva di cui disponiamo oggi, nessuno morì di fame, i beni di prima necessità non mancarono a nessuno, perché l’”economia della scarsità” l’avevamo già superata da un cinquantennio. Lo ripeto: quella crisi c’era davvero, esisteva e mordeva. Questa crisi, invece, in realtà, esiste solo nei computer del ministero dell’Economia e nei modelli degli economisti. Non c’è il minimo rischio che crolli la produzione di beni essenziali, si è solo accentuata una tendenza preesistente alla pandemia, ossia la carenza di domanda. E’ una situazione che si affronta e si supera sostenendo i consumi, il potere d’acquisto delle famiglie, particolarmente, quelle dei lavoratori autonomi la cui attività è danneggiata dalle norme anti Covid. Non troverete mai degli scaffali vuoti nei negozi del XXI secolo, non può succedere. Scusate, ma quali costi dovremmo ripartire ? quali sacrifici dovremmo fare ? Ma quelli che chiedono sacrifici anche per gli statali che rapporto hanno con le sostanze inebrianti e quelle stupefacenti ? Ma possibile che uno vada in televisione, dica una corbelleria e voi gli crediate ? Abbiamo tutti un cervello. Per favore, usiamolo.

Aggiungo da parte mia solo qualche ulteriore chiarimento.

Negli anni Settanta la crisi petrolifera non aveva, in realtà, ridotto la capacità produttiva del sistema economico. Persone e impianti erano sempre quelli. Era invece aumentato drammaticamente il costo di un importante input produttivo, il petrolio.

La conseguenza ? a parità di valore aggiunto prodotto, una parte maggiore andava ai fornitori esteri della materia prima, e una parte minore rimaneva disponibile per i redditi interni al paese – retribuzioni e utili.

Il problema quindi non era di produrre di meno, ma di beneficiare di una parte ridotta dei redditi che si generavano – perché la bolletta petrolifera era salita. In questo senso, per questo motivo, c’era un sacrifico da ripartire.

Durante la crisi petrolifera, nonostante molte oscillazioni a volte anche violente, la produzione e l’occupazione continuarono a crescere. Appunto perché non c’era ragione di produrre di meno: c’era la necessità di consumare di meno a parità di produzione, per pagare il maggior costo delle materie prime. Serviva un meccanismo di razionamento dei consumi, e l’inflazione fu appunto questo meccanismo.

L’inflazione in realtà poteva anche essere evitata, se il governo e la Banca d’Italia non avessero acconsentito a far aumentare la quantità nominale di potere d’acquisto in circolazione. Ci sarebbero state, in quel caso, minori retribuzioni e minori utili delle aziende, ma senza lievitazione dei prezzi dei beni di consumo.

Invece le autorità (non solo in Italia, in effetti in tutti i paesi industrializzati) decisero di immettere maggiore quantità di moneta nell’economia, evitando politiche di tagli e di tasse. Questo salvò il livello nominale di retribuzioni e utili, lasciando che gli effetti della crisi si scaricassero sull’inflazione.

Fu una scelta saggia. Se si fosse percorsa la via della deflazione, alla crisi dovuta alla scarsità di una risorsa reale si sarebbe aggiunto il dissesto del sistema finanziario. Gli effetti sarebbero stati molto più pesanti.

La situazione odierna è completamente diversa. Dalla crisi Lehman del 2008 in poi, soffriamo di una carenza di potere d’acquisto disponibile per far sì che la domanda di beni e servizi reali sia di livello pari alla capacità produttiva del sistema economico. Questo si è aggravato per le scellerate decisioni del 2011: imporre restrizioni fiscali per cercare (inutilmente) di ridurre il livello del debito pubblico in circolazione. Cosa che nessuno sarebbe mai stato in grado d’imporre, se il debito fosse rimasto in moneta nazionale, pienamente garantito dalla potestà di emissione delle istituzioni pubbliche italiane.

Il Covid ha aggiunto un’ulteriore dimensione ai problemi economici del paese. I lockdowns hanno (almeno temporaneamente) ridotto la possibilità di produrre beni e servizi, ma hanno anche ridotto i consumi (chiusi in casa, si spende di meno, specialmente per i prodotti non strettamente essenziali).

Non c’è quindi inflazione. E non ci sono ASSOLUTAMENTE “sacrifici” da imporre o da ripartire. C’è da immettere moneta per sostenere le categorie che subiscono impatti economici dal Covid, per non crear loro ulteriori difficoltà oggi, nonchè per permettergli di evitare insolvenze e chiusure, e di tornare alla piena operatività, quando prima o poi l’emergenza sarà passata.

Se questo non avviene, è solo perché i paesi dell’Eurozona, e in particolare l’Italia, non emettono e non controllano la moneta che utilizzano. Il che crea pesanti limitazioni, condizionamenti, e imposizioni dall’esterno, per tutti i paesi che se il sistema si rompesse (e un sistema disfunzionale è costantemente a rischio di rottura) si troverebbero a scegliere tra il default e la conversione in una moneta nazionale più debole. Non per i paesi dell’area ex marco, che in caso di rottura dell’euro tornerebbero, al contrario, a usare una moneta più forte.

I primi, infatti, in assenza di una garanzia piena e incondizionata della BCE, rischiano di non riuscire a rifinanziare il debito. I secondi no. Nessuno ha problemi a sottoscrivere un bund tedesco, perché se il sistema si rompe il “rischio” è di trovarsi in tasca marchi. Una moneta più forte, non più debole.

La sintesi ? Non c’è nessuna carenza di capacità produttiva. Non c’è la necessità di imporre nessun sacrificio a nessuno. Non ha senso parlare di tagli, tasse, patrimoniali, di che cosa far pagare a chi.

C’è da METTERE soldi in tasca a famiglie e aziende.

Se questo non avviene, o avviene in misura insufficiente, il motivo è sempre quello: la scellerata decisione, presa venti e più anni fa dall’Italia, di aderire (senza alcuna necessità o utilità economica) a un'insensata unione monetaria con paesi la cui moneta era più forte della nostra.