giovedì 26 febbraio 2015

Emettere CCF non “rompe” l’architettura dell’euro


Alcuni passaggi di questo articolo di Wolfgang Munchau, pubblicato pochi giorni fa dal Financial Times, suggeriscono varie considerazioni in merito alla crisi greca ma anche, e forse soprattutto, alla possibilità di riformare e rendere funzionale l’eurosistema.

“There is room for creative solutions. The choices are not binary: German-imposed austerity versus Grexit. There are intermediate options superior to both”.

“C’è spazio per soluzioni creative. Le scelte non sono binarie: austerità imposta dalla Germania o uscita della Grecia dall’euro. Ci sono opzioni intermedie superiori a entrambe”.

“Another option could be a debt obligation that has some characteristics of money – a parallel currency. It could be used as a medium of exchange, though not necessarily as a unit of account. Its value would still be expressed in euro”.

“Un’altra opzione è un obbligazione di debito che ha alcune caratteristiche della moneta – una valuta parallela. Potrebbe essere usata come intermediario di scambio, ma non necessariamente come valuta di conto. Il suo valore continuerebbe a essere espresso in euro”.

Quest’ultimo paragrafo descrive esattamente alcune caratteristiche di una Moneta Fiscale Complementare emessa nella forma di CCF (Certificato di Credito Fiscale). La nostra proposta è di emettere titoli utilizzabili, a partire da due anni dopo l’assegnazione originaria, per pagare tasse, imposte e, in generale, obbligazioni finanziarie verso la pubblica amministrazione dello stato emittente. I CCF hanno un valore in quanto l’assegnatario (che li riceve gratuitamente) sa che potrà utilizzarli per pagare tasse in futuro: e anche cederli liberamente ad altri soggetti se ha bisogno di trasformarli in euro prima della scadenza. Sarà, inoltre, possibile effettuare compravendite regolate direttamente in CCF.

Il CCF, peraltro, è denominato in euro. La valuta di conto rimane l’euro, i depositi e i titoli in circolazione rimangono espressi in euro, i bilanci delle aziende continuano a essere redatti in euro. Se un’azienda vende un prodotto per 1.000 CCF, registra a bilancio un fatturato pari a 1.000 moltiplicato per il valore corrente del CCF. Se in quel momento un CCF quota, sul mercato finanziario, 0,95 euro, il fatturato registrato per quella transazione sarà pari a 950 euro. Il trattamento contabile delle vendite regolate in CCF è identico a quello di un’operazione effettuata, per esempio, in dollari: si convertono i dollari alla quotazione della data di fatturazione. La differenza è che mentre dollaro ed euro sono valute diverse, il CCF è uno strumento finanziario “agganciato” all’euro, che vale qualcosa in meno, fondamentalmente, a causa del differimento di utilizzo (due anni dopo l’assegnazione originaria).

Tornando all’attuale problema del governo greco, il suo dilemma è di essersi impegnato, nei confronti dell’elettorato, a mettere fine all’austerità (quindi ad effettuare azioni di politica economica espansiva) senza però abbandonare l’euro. Ma per uno stato che non emette la sua moneta questo non è possibile, a meno che l’emittente della moneta (o il mercato dei capitali privati) non sia disposto a finanziarlo o a sovvenzionarlo.

La via di uscita da questo impasse è che la Grecia mantenga l’euro, nel senso che l’euro continua ad avere corso legale in Grecia, senza nessuna ridenominazione o conversione di titoli, conti bancari, stipendi, pensioni, contratti eccetera. Le azioni espansive vengono invece effettuate emettendo CCF.

La Grecia può a questo punto impegnarsi a determinati livelli di surplus, cioè di saldo annuo tra spese IN EURO e incassi fiscali IN EURO, sufficienti a soddisfare i creditori. L’emissione di CCF produrrà il rilancio dell’economia senza pregiudicare quest’ultimo impegno.

Poiché i CCF hanno un utilizzo differito (due anni, nella proposta) l’intervallo temporale tra emissione dei CCF e loro impiego per pagare tasse consente allo stato emittente di produrre i maggiori incassi fiscali che consentiranno, anche successivamente al momento in cui i CCF saranno utilizzati, di mantenere l’impegno a generare surplus (in euro).

La Grecia potrebbe anche, nell’ambito degli accordi, prevedere che, se per qualsiasi motivo (ad esempio una temporanea fase di debolezza dell’economia internazionale) in un determinato anno futuro il surplus in euro non raggiungesse gli obiettivi, alcune forme di spesa potrebbero essere effettuate in CCF (di valore equivalente) e non in euro. Sarebbe un ulteriore fattore di salvaguardia e tutela dei creditori, poco o nulla penalizzante per l’economia greca – in quanto non si impongono tasse o tagli, ma solo conversioni della forma in cui vengono sostenute alcune spese.

Questa è una via che concilia i due impegni elettorali del governo greco: abbandonare l’austerità ma non uscire dall’euro, nel senso di non “rompere” nessun contratto in essere e di non ridenominare nessuna attività finanziaria e nessun rapporto giuridico.

Se UE e BCE non accettassero un’ipotesi di questo tipo, la responsabilità di “staccare la spina”, cioè di mettere la Grecia fuori dall’euro, rompendo l’architettura del sistema, sarebbe totalmente loro.

domenica 22 febbraio 2015

Grecia: aggiornamento e riflessioni


Nel post precedente affermavo quanto segue:

“Al posto dei greci, considererei seriamente, a questo punto, di firmare qualche vago comunicato congiunto insieme ai “partner” europei: vago nel senso che esprimerà la volontà di proseguire la ricerca di una soluzione cooperativa, senza entrare più di tanto nel merito dei dettagli.”

Quanto è avvenuto venerdì scorso è stato variamente interpretato, da molti commentatori come una sconfitta per la Grecia, da altri come una vittoria o quantomeno un buon risultato (data la situazione complessiva).

Personalmente, ritengo che si tratti né più né meno di quanto dicevo sopra.

Adesso è fondamentale mettere in atto il punto successivo:

“Nello stesso tempo, la Grecia dovrebbe avviare il rilancio della sua economia mediante introduzione di una moneta complementare nazionale.”

Se emetti la tua moneta e hai una grossa quantità di risorse produttive inoperose, altrimenti detto di disoccupazione, impiegare moneta per incrementare il potere d’acquisto in circolazione, via spesa pubblica, incentivi alla spesa privata, e riduzione di tassazione, consente di rilanciare l’economia in modo rapido ed efficace.

Se NON emetti la tua moneta, l’effettuazione di queste azioni dipende dalla volontà dell’emittente: che ti deve finanziare o sovvenzionare per consentirti di attuarle. Questa volontà non esiste, come hanno constatato i greci nel corso degli incontri tenuti a Bruxelles, Francoforte e Berlino. Ci sono fondatissimi motivi, sia etici che di efficienza economica, per sostenere che l’asse B-F-B è in errore. Il problema è che in un negoziato mostrare alla controparte che sbaglia spesso (anzi quasi sempre) non porta da nessuna parte.

Il concetto di moneta complementare nazionale, in tutto questo, è decisivo. Il mio dubbio è che il governo greco non sappia, o non abbia chiaro, o non creda ancora a sufficienza, che la moneta nazionale può essere introdotta A FIANCO dell’euro, senza rotture, ridenominazioni, effetti di panico sui mercati finanziari eccetera. Ma forse mi sbaglio, e comunque se i greci non ne sono convinti oggi, questa convinzione può maturare molto in fretta.

E’ un punto chiave, e se ne parlerà molto, credo, nelle prossime settimane.

giovedì 19 febbraio 2015

Minuetto greco-tedesco


Continuano le riunioni in sede UE ed Eurogruppo e sono sempre più alti i livelli di tensione verbale tra Grecia e Germania. Ma personalmente ho sempre più la sensazione che si stia discutendo di questioni di principio: ovvero, nella sostanza, del nulla.

I greci stanno opponendosi ad assumere impegni sulla prosecuzione del programma di ristrutturazione finanziaria ed economica che è stato loro imposto negli ultimi anni. Hanno perfettamente ragione a dire che si è trattato di un programma fallimentare, che non ha nessuna probabilità di produrre, nei prossimi anni, risultati migliori di quelli – catastrofici – fin qui conseguiti.

Tuttavia le ipotesi che circolano in merito alle proposte greche (ipotesi perché di ufficiale ancora non c’è nulla) non sembrano sufficienti a produrre una vera inversione di tendenza. Nei post precedenti ho citato l’ipotesi (che circola in questi giorni) di ridurre il surplus di bilancio pubblico primario dal 4,5% all’1,5%. Ma pare che questa riduzione non sia, in realtà, nei confronti di livelli GIA’ RAGGIUNTI nel 2014, ma nei confronti di obiettivi DA RAGGIUNGERE nel 2015.

In altri termini, sembra che la Grecia stia chiedendo di poter non peggiorare la situazione, non di attuare qualcosa che potrebbe effettivamente migliorarla.

Alla Grecia serve, invece, l’immissione di capacità d’acquisto, nel suo sistema economico, per ridurre le tasse, ripristinare spesa sociale dove necessario, riavviare la domanda. Nessuno è disposto a fornire mezzi finanziari esterni a questo fine, e i greci farebbero, d’altra parte, bene a non accettarli. Equivarrebbe a contrarre ulteriore indebitamento in valuta straniera.

Al posto dei greci, considererei seriamente, a questo punto, di firmare qualche vago comunicato congiunto insieme ai “partner” europei: vago nel senso che esprimerà la volontà di proseguire la ricerca di una soluzione cooperativa, senza entrare più di tanto nei dettagli.

Nello stesso tempo, la Grecia dovrebbe avviare il rilancio della sua economia mediante introduzione di una moneta complementare nazionale.

Unitamente a questo, la Grecia potrebbe rilasciare una dichiarazione (anche unilaterale) in merito al fatto che saranno comunque conseguiti surplus di bilancio pubblico, intesi come eccesso delle entrate fiscali IN EURO rispetto alla spesa IN EURO. La manovra espansiva sarà, infatti, effettuata mediante la moneta complementare.

La reazione di Bruxelles, Berlino e Francoforte potrà essere di due tipi. Abbozzare, adducendo che comunque la Grecia continua a fare surplus primari (in euro), e non ha formalmente disconosciuto il debito. Addirittura, potrebbero presentare tutto quello che sta accadendo come un loro successo…

Oppure staccare la spina e dichiarare che la Grecia è fuori dall’euro. Tutti i depositi, i contratti, i titoli governati dal diritto nazionale saranno a questo punto convertiti da euro a nuova moneta nazionale (nuova dracma a tutti gli effetti: equivale a uno scenario di Grexit).

Scommetterei, in tutto franchezza, sulla prima ipotesi. Per la Grecia, comunque, meglio anche la seconda che lo status quo. Starebbe al triangolo Berlino-Bruxelles-Francoforte decidere di staccare la spina. Ma non credo…

sabato 14 febbraio 2015

Grecia: i sacrifici degli altri (?)


In merito alla vicenda greca, uno dei commenti più sbagliati (e spesso, probabilmente, ipocriti) che si sentono in questi giorni è che “fare concessioni alla Grecia sarebbe ingiusto nei confronti di altri paesi” (di solito viene citata la Spagna) “che hanno ristrutturato, si sono sacrificati e sono usciti dalla crisi”.

La verità dei fatti, come emerge esaminando qualche dato – vedi qui e qui, ad esempio – è che la Spagna va un filino meglio degli altri PIIGS non perché ha fatto “più sforzi” ma perché gli si è imposta molta meno austerità. Tagli e riduzioni di deficit pubblico non sono avvenuti in misura minimamente comparabile rispetto alla Grecia, ed anche all’Italia.

Se si consentisse alla Grecia e all’Italia di portare il rapporto deficit pubblico / PIL al 9% medio per tre anni, com’è accaduto in Spagna tra il 2011 e il 2013, le loro economie decollerebbero e tornerebbero molto rapidamente ai livelli del 2007, se non meglio.

L’ipocrisia che sta dietro queste affermazioni (quando non sono formulate in buona fede, nel qual caso si tratta di semplice incompetenza) è nel voler additare la Spagna come “caso virtuoso” che prova la fondatezza delle politiche di austerità. Si vuol far credere che l’austerità ha funzionato, e chi la vuole interrompere pretende di “non sacrificarsi come gli altri”. E’ vero il contrario: l’uscita dalla crisi richiede politiche espansive, e l’austerità fiscale è stata tanto più controproducente quanto più rigorosamente la si è posta in atto.

Altro equivoco (nel quale, a quanto pare, stanno purtroppo cadendo diversi oppositori delle politiche UE – Le Pen e Salvini, in particolare) è pensare che le concessioni ai greci implicherebbero perdite per gli altri paesi dell’Eurozona, che sono tutti creditori della Grecia.

In realtà se si insiste a imporre politiche ferocemente restrittive alla Grecia, si arriverà a un default TOTALE del debito greco. Il debito potrà invece diventare almeno in parte sostenibile se si consentirà alla Grecia di “riavviare la macchina” della sua economia. Altrimenti si perpetuano le condizioni attuali, che garantiscono l'insuccesso di qualsiasi ristrutturazione finanziaria: non consentire al debitore di impiegare le risorse necessarie a riavviare l'attività.

Senza contare che sarebbe in realtà possibile azzerare immediatamente, e SENZA COSTI REALI PER NESSUNO, il debito greco facendolo acquistare dalla BCE e annullandolo. La Grecia avrebbe immediatamente l’ossigeno finanziario necessario ad invertire il segno delle politiche di austerità, e i creditori riceverebbero, a loro volta, quanto occorre a promuovere politiche espansive (necessarie nella grande maggioranza dei paesi dell’Eurozona) o ad accelerare la riduzione del debito pubblico (nel caso della Germania). Non ci sarebbero costi per nessuno perché la BCE sta in realtà, già oggi, cercando di innalzare l’inflazione (troppo bassa) nell’Eurozona: dal mese prossimo avvierà il programma di Quantitative Easing, emettendo moneta e comprando debito (con impatto sull’inflazione, peraltro, dubbio e modesto, perché il QE verrà effettuato senza consentire agli stati di attenuare i vincoli fiscali: quindi senza immettere risorse finanziarie nell’economia reale, mediante minori tasse e/o maggiore spesa pubblica).

Acquistare e azzerare debito pubblico greco sarebbe una via (molto più efficace) per ottenere proprio i risultati che la BCE si propone di raggiungere con il QE. E’ una modalità di applicazione, adattata al contesto, di un’azione di stimolo congiunto fiscale – monetario (“Helicopter Money”).
 
Il principale ostacolo alla soluzione della crisi greca (e della crisi dell’Eurozona in generale) è proprio il rifiuto di ammettere, in particolare da parte della UE e della Germania, che le politiche con cui la si è gestita sono state un catastrofico fallimento, privo di senso logico e di razionalità economica.

giovedì 12 febbraio 2015

La Moneta Fiscale nazionale: una soluzione stabile per la Grecia e per l’Eurozona


Nel momento in cui scrivo (mattina dell’11 febbraio 2015) è aleatorio fare previsioni in merito all’esito dei complessi negoziati tra Atene, Bruxelles e Berlino. L’Eurogruppo di oggi e del summit dei vertici UE di domani daranno indicazioni, probabilmente, ancora parziali.

Lo scenario a mio avviso più probabile è che si trovi un qualche tipo d’accordo che eviterà le evoluzioni più deflagranti, quali un’uscita della Grecia dall’Eurozona e un suo default totale, o comunque massiccio, sul debito.

Se non in pochi giorni, nel giro di alcune settimane si potrebbe arrivare a concedere alla Grecia una ridefinizione del profilo di rimborso del debito (con riduzione degli interessi da pagare), l’accesso del sistema bancario a finanziamenti BCE in misura sufficiente ad allontanare il rischio di corse agli sportelli e gravi turbolenze finanziarie, e un allentamento dei vincoli fiscali.

In queste ultime ore, si parla (riguardo a quest’ultimo punto) di autorizzare la Grecia a ridurre il surplus di bilancio pubblico primario (interessi, quindi, esclusi) in misura pari all’1,5% del PIL.

Si tratterebbe di una concessione apprezzabile, ma insufficiente.

Se si permette alla Grecia di ridurre il saldo tra incassi fiscali e spesa pubblica in misura pari all’1,5% annuo, è in effetti possibile attivare un mix di maggior spesa sociale, riduzione di imposte e investimenti pubblici, probabilmente pari (in totale) al 2,5% circa. In condizioni di domanda fortemente depressa, infatti, un’iniezione di domanda e potere d’acquisto nel sistema economico produce effetti più che proporzionali. Il 2,5% di intervento espansivo alzerebbe il PIL greco del 3% circa, producendo nello stesso tempo maggior gettito fiscale in misura pari grosso modo all’1%. Il saldo tra 2,5% e 1% è pari, appunto, a 1,5%, cioè all’ipotesi di allentamento del vincolo fiscale sopra menzionata.

Stiamo quindi parlando di un intervento che innalza il PIL greco del 3% circa. In assoluto non è poco, e rappresenterebbe una significativa inversione di tendenza dopo otto anni di crisi. Ma dal 2007 a oggi il PIL greco è calato del 25%. Per recuperare questa caduta in tempi ragionevoli servono interventi molto più corposi.

Uno strumento estremamente efficace potrebbe essere costituito dalla Moneta Fiscale nazionale. Unitamente agli interventi concordati in sede UE, la Grecia potrebbe emettere Certificati di Credito Fiscale (CCF), titoli utilizzabili per pagare (a partire da due anni dopo la loro emissione) tasse, imposte e obbligazioni finanziarie verso il settore pubblico in genere.

I CCF possono essere attribuiti gratuitamente ai lavoratori, in modo da integrare il loro reddito, e contemporaneamente alle aziende, in funzione dei costi di lavoro da esse sostenuti. Quest’ultima azione migliorerebbe istantaneamente la competitività delle aziende greche, evitando che la ripresa della domanda interna crei squilibri nei saldi commerciali esteri. Le esportazioni nette infatti aumenterebbero e questo compenserebbe la crescita dell’import che va normalmente di pari passo con una significativa ripresa dell’economia.

Quote di CCF potrebbero anche essere utilizzate per finanziare spesa sociale o investimenti pubblici.

I CCF aumenterebbero immediatamente il potere d’acquisto del ricevente. Avendo un valore certo a due anni-data (in quanto sono, a quel punto, utilizzabili per pagare tasse, in rapporto pari a un CCF per un euro) si svilupperebbe un attivo mercato finanziario, sul quale i CCF potrebbero essere ceduti contro euro con uno sconto in linea con quello di un titolo di Stato zero coupon di analoga scadenza.

L’immissione di questo ulteriore potere d’acquisto nell’economia produrrebbe una ripresa molto più forte dell’economia greca. Al momento (due anni dopo) in cui i CCF diventano utilizzabili, si viene così a creare il maggior gettito fiscale lordo che compensa l’impiego dei CCF per pagare tasse. Questo rende possibile rafforzare in misura molto significativa la ripresa, rispettando nello stesso tempo gli impegni presi con la UE a livello di saldo netto, anno per anno, tra spese e incassi pubblici in euro.

Il progetto Moneta Fiscale / Certificati di Credito Fiscale è dettagliatamente descritto nel manifesto / appello predisposto da Biagio Bossone, Luciano Gallino, Enrico Grazzini e dall’autore del presente articolo ed è anche uno degli argomenti principali trattati ne “La soluzione per l’euro – 200 miliardi per rimettere in moto l’economia italiana” (Marco Cattaneo e Giovanni Zibordi, Hoepli 2014). Il manifesto e il libro trattano l’argomento Moneta Fiscale / CCF soprattutto con riferimento al caso Italia, ma ovviamente il progetto è applicabile a tutti gli stati membri dell’Eurozona.

L’introduzione di Monete Fiscali nazionali in affiancamento all’euro permetterebbe, in effetti, di dare finalmente al sistema monetario europeo un assetto stabile e sostenibile. I vari paesi potrebbero effettuare azioni espansive della domanda e migliorare la competitività delle proprie aziende senza creare nuovo indebitamento.

L’immissione di Monete Fiscali nazionali dovrebbe essere effettuata, paese per paese, con dimensioni e allocazioni mirate a riassorbire la disoccupazione nata per effetto della crisi, senza generare squilibri nei saldi commerciali esteri. Otterrebbe anche il risultato di invertire l’attuale preoccupante tendenza all’insorgere di fenomeni deflattivi nell’Eurozona. Rafforzare la domanda interna produce infatti una ripresa dei prezzi, e l’azione espansiva può essere regolata in modo da riportare l’inflazione media nei vari stati intorno all’obiettivo BCE del 2% (ma non oltre).

Tornando alla Grecia, ci sono possibilità concrete che la Moneta Fiscale possa essere utilizzata e costituisca un fattore chiave per l’avvio di una significativa e duratura ripresa ? Esistono, al riguardo, indicazioni positive.

Uno strumento molto simile ai CCF, i Tax-Anticipation Notes (TAN), è stato ad esempio concepito da Robert Parenteau, economista del Levy Institute, con il quale ha collaborato Rania Antonopoulus (attuale viceministro del lavoro).

E lo stesso ministro delle finanze, Yanis Varoufakis, ha recentemente (circa un anno fa) proposto FT-Coins. Simili anch’essi ai CCF (FT sta per Future Taxes), nell’ipotesi di Varoufakis i FT-Coins sarebbero non da assegnare gratuitamente ma da collocare (sia pure a condizioni vantaggiose per l’acquirente). A mio giudizio è più efficace l’assegnazione gratuita, in quanto costituisce una vera e propria azione di “Helicopter Money”: uno stimolo congiunto fiscale-monetario, attuato a livello di singolo paese (senza bisogno, quindi, dell’intervento della BCE).

Al di là delle molte varianti tecniche che possono essere concepite, comunque, è fondamentale comprendere che le Monete Fiscali nazionali sono una via per dare flessibilità ed efficienza al sistema monetario europeo, per risolvere la crisi e per costruire un assetto stabile nel tempo. Sgombrando una volta per tutte il campo dai rischi di deflagrazione dell’Eurozona, e non solo con riferimento alla Grecia.

martedì 10 febbraio 2015

Un motivo in più per cui i CCF non violano il monopolio di emissione della BCE


Il mio amico Laurentiu Ginghina, sociologo romeno, mi invia un’interessante considerazione in merito alle ragioni per le quali l’emissione di Certificati di Credito Fiscale (moneta fiscale nazionale) non viola il monopolio di emissione della BCE.

Premetto che non sono riuscito a trovare nessun riferimento, nei trattati che governano l’Eurozona, in merito a vincoli di emissione di moneta da parte degli stati nazionali salvo quello contenuto nell’articolo 105, comma 2, del trattato di Maastricht.

Tale articolo prescrive che la stampa di banconote e il conio di monete metalliche utilizzati nei paesi dell’Eurozona possono essere effettuati solo da parte della BCE, o su sua autorizzazione. Tutto ciò non si applica, evidentemente, ai CCF, che sono titoli e non prendono quindi la forma né di banconote né di monete metalliche.

Laurentiu mi ha sottoposto, tuttavia, la seguente ulteriore, e interessante, considerazione.

“Una Moneta Fiscale nazionale non ricade sotto il monopolio di emissione della BCE in quanto non ha natura di “legal tender” ! Aziende e cittadini non sono obbligati ad accettare pagamenti in Moneta Fiscale nazionale, mentre sono obbligati ad accettare pagamenti in euro (a estinzione di impegni finanziari nei loro confronti)”.

Aggiungo io, quest’obbligo vale non solo per cittadini e aziende residenti in uno stato, ma si estende a tutti gli stati membri dell’Eurozona. E oltre che i privati, anche le amministrazioni pubbliche dei vari stati sono obbligati ad accettare euro, per onorare qualsiasi tipo di obbligazione finanziaria nei loro confronti: in primo luogo, per il pagamento di tasse e imposte.

Questo non vale per i CCF. L’unico soggetto che si obbliga – unilateralmente – ad accettarli è il settore pubblico dello stato emittente. I CCF hanno quindi una natura ben diversa rispetto agli euro, e non violano il monopolio di emissione di questi ultimi da parte della BCE.

D’altra parte i CCF non sono neanche debito, perché non esiste un impegno di rimborso da parte dello stato emittente, ma di accettazione (per onorare impegni finanziari nei suoi confronti). Questo impegno di accettazione, peraltro, conferisce loro un valore certo e definito in quanto, a scadenza, un CCF sarà equivalente a un euro, perché avrà un valore identico riguardo all’assolvimento di obbligazioni per tasse, imposte eccetera.

L’assegnazione di CCF ad aziende e cittadini, e il loro utilizzo per effettuare azioni di spesa sociale, investimenti pubblici eccetera, consente allo stato emittente di effettuare le azioni espansive della domanda necessarie a far uscire l’economia italiana (e di altri paesi dell’Eurozona) dall’attuale situazione di depressione deflattiva. In pratica, si tratta di un’azienda espansiva combinata fiscale-monetaria (“Helicopter Money”) effettuata non a cura della BCE, ma dei singoli stati nazionali.

La ripresa del PIL produrrà anche un significativo incremento del gettito fiscale, consentendo di rispettare i vincoli di equilibrio tra incassi e pagamenti statali in euro, e di riduzione dell’indebitamento pubblico (quello “vero”, da rimborsare in euro) come richiesto per ridurre, fino idealmente ad azzerare, il rischio di manifestazione di una crisi dei debiti sovrani analoga a quella che si è prodotta in vari paesi dell’Eurozona tra il 2009 e il 2011.

lunedì 9 febbraio 2015

La crisi greca, ovvero: come non si gestisce una ristrutturazione finanziaria


Per capire chi è ragionevole e chi non lo è, nella diatriba tra UE (o meglio Germania) e Grecia in merito a debiti, austerità, uscita o non uscita dall’euro eccetera, credo che sia utile riflettere sul seguente semplice esempio.

Immaginiamo un’azienda che si è trovata in difficoltà finanziarie. I creditori, rendendosi conto che non sarebbero riusciti a rientrare interamente della loro esposizione, hanno accordato uno stralcio dei debiti, dimezzandoli da 100 a 50.

L’azienda è andata in crisi per un complesso di problemi, in parte dovuti all’andamento generale dell’economia e del suo settore di attività, ma sicuramente hanno influito anche l’incompetenza e la disonestà di alcuni suoi dirigenti. Tra le altre cose, ci sono le prove che il responsabile dell’ufficio acquisti comprava i materiali utilizzati dall’azienda a prezzi gonfiati, e in cambio riceveva tangenti dai fornitori.

I creditori di conseguenza hanno richiesto di attuare uno stretto controllo sugli acquisti di materiali. La maniera logica di effettuare questo controllo sarebbe stata di nominare una persona di totale fiducia dei creditori come responsabile degli acquisti. Il nuovo responsabile avrebbe dovuto controllare strettamente la congruità dei prezzi degli approvvigionamenti, assicurando che fossero in linea con le normali e corrette condizioni di mercato.

Cos’hanno fatto invece i creditori ? siccome il problema è nato dall’aver acquistato troppo e a prezzi sbagliati, hanno imposto di interrompere completamente gli acquisti.

Qual è stato il risultato ? L’azienda è stata costretta a interrompere la produzione. Ha liquidato il magazzino di prodotti finiti, ricavando 5, e ha pagato una piccola parte dei debiti – 5 su 50. Tutto il resto non potrà mai più essere rimborsato.

La perdita complessiva per i creditori, da 50 su 100, è salita a 95 su 100. E l’azienda non esiste più.

L’approccio seguito dei creditori della Grecia nei suoi confronti è stato di questo tipo. Accettare una riduzione del debito ma rifiutarsi (perché “non ci si fida”, perché “bisogna dare un esempio”, perché “un problema di eccesso di spesa non si risolve con altra spesa”) di fornire all’economia greca le risorse necessarie al rilancio della domanda, dell’occupazione e del PIL.

Alla Grecia non si sarebbero dovuti imporre obiettivi di riduzione del deficit, ma di riallocazione della spesa. La troika avrebbe svolto un ruolo utile se si fosse impegnata a controllare l’efficacia dell’allocazione delle risorse, partendo però dal presupposto che la spesa serviva.

Syriza oggi sta proponendo di rimediare all’errore ridefinendo le modalità di pagamento del debito, con tempi più lunghi e interessi più bassi, in modo da liberare risorse finanziarie e rilanciare l’economia. Questo sono i presupposti di un’operazione di ristrutturazione efficace, in grado di rimediare ai gravissimi danni che si sono prodotti in questi anni.

La Germania rifiuta di sentirne parlare e continua a pretendere che non si modifichi nulla rispetto a una strategia che si è rivelata, per i semplici motivi sopra esposti, catastrofica.

Leggo, in questi giorni, appelli alla “ragionevolezza” e all’”incontrarsi a mezza strada”. Ma non esiste mezza strada, esiste una posizione sensata contrapposta a una irragionevole.

venerdì 6 febbraio 2015

Moneta Fiscale in Grecia: col favore delle tenebre ?


Il nuovo governo greco ha, con ogni probabilità, ben chiara in mente l'ipotesi di introdurre una forma di Moneta Fiscale parallela all’euro.

I FT-Coins proposti tempo addietro dal nuovo ministro delle finanze, Yanis Varoufakis, sono sostanzialmente dei “CCF a pagamento”.

E il viceministro del lavoro, Rania Antonopoulos, è in contatto con Robert Parenteau, che ha sviluppato un progetto di “Tax Anticipation Notes”, ancora più simili ai Certificati di Credito Fiscale.

C’è quindi la concreta possibilità che la Moneta Fiscale venga introdotta in Grecia in forma “sotterranea”. Non esattamente di nascosto, ma senza annunci particolarmente enfatici o spettacolari.

L’ipotesi che sto formulando è che le conversazioni relative alla ristrutturazione del debito greco si trascinino senza esito ancora per svariate settimane.

Nel frattempo, i greci introducono la Moneta Fiscale e iniziano a utilizzarla per programmi di spesa sociale, di riduzione del carico fiscale a beneficio di cittadini e aziende, di investimenti pubblici eccetera.

Anche se non si darà particolare pubblicità alla cosa, la BCE naturalmente ne verrà a conoscenza, e si possono immaginare a questo punto tre scenari.

Il primo è che la BCE di colpo “stacchi la spina” alla Grecia, dichiarando che non fornirà più liquidità in euro alle banche greche. A questo punto la Grecia esce, immediatamente e a tutti gli effetti, dall’euro: i contratti vengono ridenominati da euro a Nuove Dracme, la Moneta Fiscale in circolazione viene convertita anch’essa in Nuova Dracma, la Banca Centrale greca fornisce Nuove Dracme ai vari istituti per far fronte ai prelievi dei depositanti. La Grecia va in default sui debiti verso FMI e stati membri dell’Eurozona.

Il secondo è che ci si decida finalmente a trovare un accordo, per esempio sulla base dell’attuale proposta Syriza. Il debito greco viene ristrutturato, la Grecia si impegna a mantenere un surplus di bilancio (più basso dell’attuale) inteso come saldo positivo tra incassi e spese statali in euro, anno per anno, e continua a utilizzare la Moneta Fiscale per attuare manovre economiche espansive (in altri termini, per proseguire e ampliare le azioni di spesa sociale, investimenti e riduzioni di imposte già attivate in precedenza).

Il terzo è che la BCE e i vari paesi europei buttino il barattolo in avanti (come sono abituati a fare, del resto) senza, sostanzialmente, agire in nessun modo. La BCE continua a fornire liquidità alle banche greche, il debito non viene ristrutturato ma neanche pagato (“rimane lì”), la Grecia fa politiche espansive riducendo fino a zero l’attuale surplus di bilancio pubblico nonché con la Moneta Fiscale, e si prosegue come se nulla fosse. Almeno per un po’.

E' molto probabile che il terzo scenario sia destinato a sfociare successivamente in uno dei primi due. Ma non sarei stupito se si protraesse per un periodo non brevissimo, 12-18 mesi per esempio.

giovedì 5 febbraio 2015

La proposta Syriza


Dopo la vittoria nelle elezioni greche del 25 gennaio scorso, il primo ministro Alexis Tsipras e il ministro delle finanze Yanis Varoufakis stanno incontrando i loro omologhi dei maggiori stati membri UE, nonché le autorità di Bruxelles e i vertici della BCE a Francoforte.

E’ stata delineato, da parte di Varoufakis, un piano che considero di grande sensatezza e ragionevolezza.

Il debito greco subirebbe un trattamento differenziato.

Il 20% circa sui totali 330 miliardi di euro di debito, quindi 60-70, detenuto da investitori privati, resterebbe in essere senza nessuna richiesta di modifica né riguardo agli interessi né all’allungamento delle scadenze.

Tutto il resto è detenuto dalla UE, dalla BCE e da vari stati membri dell’Eurozona. Non vengono richiesti sconti sul valore facciale di questi debiti, ma la conversione in due forme diverse di obbligazioni.

Una parte diventerebbe debito perpetuo, che pagherà interessi ma di cui non verrà mai rimborsato il capitale.

Un’altra parte verrebbe rimborsata, con livelli di interessi e tempi di rimborso del capitale che dipenderanno però dalla futura ripresa del PIL greco. Più l’economia riprende e più si paga, in altri termini; e viceversa.

I dettagli della proposta non sono ancora stati resi noti e, con ogni probabilità, sono in effetti ancora da finalizzare dopo aver preso atto delle reazioni delle varie controparti. Circolano ipotesi secondo le quali da tutto quando sopra la Grecia dovrebbe ottenere alcuni miliardi all’anno di riduzione nei pagamenti per interessi.

La Grecia ha inoltre bisogno di immettere soldi nell’economia reale, sotto forma di maggiore spesa pubblica e/o di riduzioni di tasse. Si parla di una riduzione nel surplus di bilancio primario dal 4,5% del PIL all’1-1,5%.

In pratica, la Grecia avrebbe a disposizione circa 6,5 miliardi (in più rispetto a oggi) per effettuare manovre fiscali espansive. Con questa dotazione, si può ottenere in realtà un risultato di crescita del PIL ancora più accentuato: ipotizzando un moltiplicatore keynesiano pari a 1,2 (ipotesi che appare prudente - il moltiplicatore è molto alto quando un’economia recupera a partire da uno stato di profonda depressione) la combinazione di minori tasse e minore spesa può arrivare a 12 miliardi. Il recupero di PIL sarebbe infatti di 15 circa e il 35-40% di questo importo produrrebbe maggior gettito, per lo stato greco, pari a 5,5 miliardi circa.

Quindi, in sintesi: 6,5 miliardi di risorse a disposizione permettono 12 miliardi di azione espansiva, in quanto producono 15 miliardi di recupero del PIL e 5,5 circa di maggior gettito. Il saldo tra 12 e 5,5 è, appunto, 6,5.

L’importo di 15 miliardi di maggior PIL non è affatto trascurabile. Significa un recupero del 7,5% rispetto ai 200 circa attuali, conseguibile con ogni probabilità non in un anno solo, ma, plausibilmente, tra il 2015 e il 2016.

Un elemento che i greci non dovranno trascurare è di non creare problemi ai saldi commerciali esteri. Se la maggior domanda interna si rivolgesse in misura significativa alle importazioni, senza effetti compensativi, il recupero di PIL sarebbe decisamente inferiore e la Grecia riprenderebbe ad accumulare debiti verso l’estero.

Per evitare quanto sopra, comunque, è sufficiente destinare una parte dei 15 miliardi di azione espansiva alla riduzione del cuneo fiscale, abbassando i costi fiscali e contributivi che gravano sulle aziende greche. Questo determina un immediato riallineamento di competitività e può essere regolato in modo che le maggiori importazioni siano compensate da maggiori esportazioni nette.

Un recupero di PIL del 7,5% equivale a una netta inversione di tendenza. La caduta di PIL subita dalla Grecia per effetto della crisi è, tuttavia, ancora più elevata – il 25% circa.

Per recuperare pienamente il PIL perso, la Grecia ha due ulteriori alternative, non incompatibili tra loro.

La prima è, semplicemente, fare affidamento su un inversione nel clima di fiducia, sulla propensione delle aziende a investire e delle banche a concedere credito, che potrebbe spingere il moltiplicatore a livelli anche più alti (e forse significativamente più alti, come si diceva) di 1,2.

La seconda, come messo in evidenza da Pier Paolo Flammini, è di accompagnare il riassetto macroeconomico e delle finanze pubbliche sopra descritto con l’immissione di Moneta Fiscale, sotto forma di Certificati di Credito Fiscale, di FT-Coins (che sostanzialmente sono CCF collocati a pagamento, ma a condizioni incentivanti) o di una combinazione delle due cose.

Un’ulteriore, forte accelerazione della ripresa sarebbe conseguibile immettendo Moneta Fiscale per importi non drammaticamente elevati, per esempio 5 miliardi all’anno.

Va notato che la Grecia si porrebbe nella situazione di cessare ogni dipendenza dal collocamento di titoli di debito pubblico. Sarebbe sufficiente rifinanziare i 60-70 miliardi circa di debiti verso privati, pari a poco più del 30% del PIL attuale (percentuale destinata, in prospettiva, a scendere grazie alla ripresa). Il surplus primario dell’1-1,5% basterebbe a pagare gli interessi, mentre i debiti verso BCE, FMI e stati membri Eurozona saranno in parte, come detto, trasformati in perpetui (quindi non soggetti a rimborso) e in parte rimborsati con risorse prodotte dalla crescita del PIL (nella misura in cui ci sarà).

E rimarrà a disposizione lo strumento della Moneta Fiscale, per accelerare il recupero di condizioni di piena occupazione nonché per effettuare, in futuro, azioni di stabilizzazione dell’economia nel caso di eventi congiunturali negativi: il tutto senza dipendere dai mercati finanziari e dall’emissione di debito soggetto a rimborso in una moneta (l’euro) di cui lo stato greco non è emittente.

Importanti dettagli sono, naturalmente, ancora da definire. Sarebbe però estremamente miope, da parte di Bruxelles, di Berlino e di Francoforte, porsi in modo negativo nei confronti di uno schema di questo tipo. Darebbe la netta sensazione di una ripicca stizzita, da parte di persone e di istituzioni messe di fronte all’evidenza di aver imposto alla Grecia un percorso fallimentare, rispetto al quale le alternative esistevano ed esistono.

Ora, ieri UE, BCE e Germania hanno dato chiare indicazioni, purtroppo, di volersi arroccare su posizioni insostenibili. Prosegue il copione di questi ultimi anni: non si ammette di aver concepito un programma inattuabile. E si pretende di non effettuare alcuna concessione al debitore, continuando nello stesso tempo a imporgli condizioni di gestione della propria economia che gli impediscono di pagare.

In fondo a questa strada ci sono il default totale della Grecia e l’uscita “secca” dall’euro.

mercoledì 4 febbraio 2015

La Moneta Fiscale: Helicopter Money per l’Eurozona


I Certificati di Credito Fiscale possono essere considerati una forma di “Helicopter Money” adattata a una situazione nella quale non esiste più una banca centrale nazionale che possa creare moneta, e non si possono effettuare manovre espansive quali un abbassamento di tasse o un incremento di investimenti pubblici in quanto esistono vincoli all’emissione di debito pubblico.

In altre parole, risolvono i problemi creati agli stati dell’Eurozona dall’attuale sistema di regole, che impedisce le azioni necessarie a produrre una significativa ripresa dell’economia.

L’introduzione dei CCF come forma di Moneta Fiscale nazionale complementare è possibile in quanto l’Eurozona è un’unione monetaria, ma non un’unione fiscale. Ogni stato membro rimane responsabile per la definizione delle proprie politiche di tassazione. Può imporre tasse e può anche decidere in quali forme sarà consentito di onorare le obbligazioni finanziarie che ne derivano.

Introdurre uno strumento come i CCF e dichiararlo valido per effettuare pagamenti di tasse e imposte, e in generale per adempiere a qualsiasi forma di impegno finanziario nei confronti della pubblica amministrazione, crea a tutti gli effetti un equivalente nazionale della moneta, senza spaccare l’euro e senza ridenominare (e quindi cambiare natura, o addirittura rompere dal punto di vista giuridico) nessuno dei contratti in essere, sia di natura privata che di diritto pubblico.

Si è molto ironizzato in passato sull’affermazione di Milton Friedman, che una situazione di deflazione depressiva potesse essere risolta semplicemente facendo cadere soldi a pioggia da un elicottero. Così come su quella di John Maynard Keynes, che l’economia potesse essere rimessa in moto seppellendo bottiglie piene di soldi in modo che la gente scavasse per estrarli dal terreno.

Sia Friedman che Keynes parlavano per paradosso, ma fino a un certo punto. E’ chiaro che l’allocazione di “Helicopter Money” può essere fatta in maniera più efficace ed equa che per il tramite di una distribuzione casuale. Così come è chiaro (nell’approccio di Keynes) che se devo far lavorare persone attualmente inattive, è meglio che svolgano un’attività che produce cose di per sé utili – meglio un ospedale, un ponte o una scuola che dei buchi nel terreno.

Il punto che sfugge a chi trova assurde le affermazioni di Friedman e di Keynes è che, nel momento in cui esiste un livello di disoccupazione anomalo, quindi una grande quantità di persone (e di capacità produttiva delle aziende) non utilizzato, l’operazione economicamente più redditizia per la collettività è, semplicemente, fare in modo che tornino a lavorare.

La creazione e distribuzione di moneta serve a rimettere capacità di spesa nel sistema economico e a incrementare la domanda di beni e servizi. Se esiste una capacità produttiva inutilizzata, la maggior domanda darà luogo a maggiore produzione, e tra l’altro la maggior quantità di moneta in circolazione non genererà effetti indesiderati sull’inflazione perché l’offerta di beni e servizi crescerà parallelamente alla domanda. Cresceranno soprattutto le quantità, non (se non marginalmente) i prezzi.

La preoccupazione che la moneta creata dal nulla vada “sprecata” in cose inutili è priva di senso perché la moneta costituirà un incremento del reddito disponibile per gli individui, e si può fare affidamento sul fatto che gli individui siano interessati a prendere decisioni di spesa sensate, rivolte quindi a beni e servizi utili (nell’opinione degli individui medesimi).

domenica 1 febbraio 2015

I FT-coins di Varoufakis


Sono da poco venuto a conoscenza di questo articolo, uscito l’anno scorso sul blog di Yanis Varoufakis, il nuovo ministro delle finanze del governo greco.

I FT-coins di cui si parla nell’articolo sono, a tutti gli effetti, dei Certificati di Credito Fiscale. Lo si intuisce già dal nome: FT sta per Future Taxes.

Come i CCF, i FT-coins sarebbero utilizzabili per pagare imposte due anni dopo l’emissione. La differenza è che Varoufakis non propone (al contrario che nello schema CCF / Moneta Fiscale) di assegnarli gratuitamente a cittadini ed aziende, ma di metterli in vendita.

In pratica, per 1.000 euro potrebbero essere acquistati FT-coins utilizzabili per pagare tasse pari a un importo di 1.500 euro, a partire da due anni dopo l’acquisto. Viene quindi riconosciuto un rendimento implicito molto elevato (50% in due anni), ma l’acquirente deve pagarli.

Questo procura risorse finanziarie (in euro) immediate allo stato emittente, ma rende l’effetto espansivo dei FT-coins sulla domanda aggregata del sistema economico molto meno significativo. A meno che (probabilmente l’idea è questa, anche se nel testo dell’articolo non mi pare che venga esplicitata) non si faccia affidamento sulla possibilità di fare deficit spending utilizzando i proventi della vendita dei FT-coins.

Un’altra controindicazione è che le assegnazioni di CCF danno benefici alla collettività dei cittadini, e inoltre possono essere strutturate (come è previsto nel progetto Moneta Fiscale) in modo da favorire le categorie disagiate (disoccupati, cassaintegrati, famiglie a basso reddito eccetera) e le aziende che creano occupazione. I FT-coins, invece, come si diceva non sono gratuiti: devono essere acquistati (sia pure a un prezzo favorevole per il compratore) e avvantaggiano quindi chi ha i mezzi finanziari per effettuare l’acquisto.

Sempre nel progetto Moneta Fiscale, i CCF, inoltre, sono in parte assegnati alle aziende in modo da ridurre il loro costo del lavoro lordo effettivo. Questo evita che l’effetto espansivo della manovra produca sbilanci nei saldi commerciali esteri, in quanto migliora la competitività del paese emittente e incrementa le esportazioni nette, dando la possibilità di compensare le maggiori importazioni causate dalla crescita della domanda interna. Lo schema FT-coins dovrebbe essere integrato, per ottenere effetti analoghi, da una riduzione del cuneo fiscale a beneficio delle aziende. Questo è possibile se, come detto sopra, i proventi delle cessioni di FT-coins sono utilizzati per fare deficit spending, e se in misura adeguata questa azione viene indirizzata anche, appunto, alla riduzione del cuneo fiscale.

In definitiva, FT-coins e CCF si assomigliano moltissimo, ma i FT-coins sono concepiti prevalentemente come una fonte di finanziamento alternativa (rispetto ai titoli di stato tradizionali) dei fabbisogni dello stato emittente.

Questa è l’unica differenza rilevante, ma è una differenza sostanziale, rispetto ai CCF. Essendo assegnati gratuitamente, i CCF sono a tutti gli effetti un’azione di “Helicopter Money”: una manovra espansiva combinata, fiscale e monetaria (o più precisamente, fiscale con finanziamento monetario).