martedì 10 dicembre 2024

La borsa tra n anni

 

Siccome l’anno sta volgendo al termine, impazzano sui media le previsioni su che cosa ci riserverà il 2025, un sottoprodotto delle quali sono i vaticini sull’andamento della borsa.

Non si vedono invece altrettanto di frequente confronti tra previsioni e accadimenti effettivi, e la ragione probabilmente è che i risultati sarebbero alquanto imbarazzanti (per chi le ha formulate, le previsioni).

Comunque se qualcuno sta divertendosi a leggerle, esercitazione che può essere utile se lo scopo è ottenere qualche minuto di svago e divertimento (la stessa ragione insomma che può giustificare leggere gli oroscopi a Capodanno) tenga conto che:

prendendo come indicatore borsistico più significativo l’SP500

la borsa a fine 2054 sarà più alta di oggi, con probabilità pari al 99,9%

la borsa a fine 2044 sarà più alta di oggi, con probabilità pari al 99%

la borsa a fine 2034 sarà più alta di oggi, con probabilità pari al 90%

nessuna previsione in merito a dove sarà la borsa a fine 2025, se più alta o più bassa, per non dire nessuna stima in merito al livello esatto, vale più, appunto, di un oroscopo di quelli che si leggono a Capodanno.

Poi, se volete divertirvi con le previsioni delle banche d’affari, fate pure. Danno non ve ne fate: a condizione di non prenderle sul serio.

 

domenica 8 dicembre 2024

L’ininfluente Giavazzi

 

Un paio di giorni fa il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo di Francesco Giavazzi che spiegava come il debito pubblico non sia poi una brutta cosa se serve a finanziare le spese “giuste”, che lui identifica nella difesa e nella transizione ecologica.

In realtà non è la prima volta. Il mantra dell’austerità, Giavazzi l’ha abbandonato da almeno un paio d’anni (senza per questo fare ammenda dei peana sciolti alle bellezze dell’”austerità espansiva” nei lustri precedenti, ma vabbè).

Invito però chi vede in questi articoli il segnale di un cambiamento di strategia a livello UE a smorzare gli entusiasmi.

Giavazzi, che sul piano scientifico non ha certo meriti che lo faranno passare alla storia, ha acquisito una certa visibilità, una certa notorietà, perché è un corifeo di alcuni importanti gruppi di interesse economico.

Scrive quindi quello che i sopra menzionati gruppi di interesse desiderano. Ma qual è il suo effettivo impatto sulle politiche UE ?

Praticamente nessuno, perché a livello UE non si fa nulla se non sono d’accordo i tedeschi. I quali a Giavazzi, ammesso che lo leggano, non si prendono neanche la briga di rispondere.

Peraltro cose simili le dice e le scrive, da un po’ di tempo (vedi il “debito buono” contrapposto al “cattivo”) anche Mario Draghi. Al quale invece i tedeschi rispondono: per dire che non se ne parla.

Che dite, la Germania è in difficoltà e quindi sta arrivando a capire che un po’ di deficit le serve ? certo, e agirà di conseguenza. Ma lo farà IN PROPRIO, e in funzione di spese che decide LEI.

Niente debito comune UE quindi, e niente decisioni di spesa delegate a Bruxelles.

E su questo, una volta tanto, non do torto ai tedeschi.

 

venerdì 6 dicembre 2024

I ritardi dell’Eurozona

 

Sta diventando sempre più evidente che l’Eurozona è in perdita di peso economico nei confronti del resto del mondo. Il che in parte è giustificato dalla crescita di paesi, grandi (Cina e India) e meno grandi, che fino a una ventina d’anni erano in via di sviluppo per non dire, in termini più crudi, arretrati, ma da allora si sono fortemente avvicinati ai livelli di reddito procapite del “primo mondo”.

Ma quanto sopra giustifica solo in parte la diminuzione di incidenza dell’Eurozona. Perché è normale che chi è partito dopo si riallinei: ma l’Eurozona ha perso terreno anche nei confronti degli USA. L’avevamo visto qui: i principali stati eurozonici hanno registrato, dal 1998 ha oggi, una crescita media annua del reddito procapite, a potere d’acquisto costante, intorno all’1% (con l’eccezione ahinoi dell’Italia che si è fermata allo 0,4%). Gli USA, dell’1,5%.

Se mezzo punto all’anno vi pare poco, tenete conto che in un quarto di secolo equivale a una crescita del 45% contro 28%.

Quindi c’è dell’altro. E la spiegazione che si legge più di frequente è che gli USA sono innovativi, dinamici, aperti al cambiamento. Il vecchio continente invece sa solo regolamentare, burocratizzare, vincolare.

Vero, tutto questo. E gli osservatori più attenti se n’erano accorti molto tempo fa. Ricordo una conversazione con Paolo Bassi, successivamente per alcuni anni presidente della BPM: “tutti parlano dell’efficienza, della disciplina tedesca. Ma l’innovazione arriva solo da una parte: dagli USA”.

Che anno era ? il 1993.

Però anche questa non è tutta la storia.

Perché la stessa analisi effettuata per gli anni pre-1998 in poi mostra che nel trentennio precedente l’Eurozona (o più precisamente i paesi che poi ci sono entrati) NON PERDEVA TERRENO nei confronti degli USA. Cresceva qualche decimale in meno all’anno (di media) in termini di PIL totale, ma qualche decimale in più in termini procapite. La differenza essendo data dalla minore crescita demografica.

Gli USA sono da lunghissimo tempi più innovativi e dinamici, ma da questo lato dell’Atlantico sapevamo come adottare l’innovazione e applicarla con efficacia.

Fino a una certa data.

Perché il 1998 non è un anno che ho scelto a caso. E’ l’ultimo anno prima dell’introduzione dell’euro.

E dei connessi, deliranti, insensati vincoli di bilancio. E della folle governance dell’economia che ne è stata la conseguenza.

QUESTO è il motivo per cui perdiamo terreno nei confronti degli USA. Prima dell’euro il modello sociale europeo generava crescita, in abbinamento con un welfare state, e con tutele e diritti, che il resto del mondo poteva solo invidiare.

PRIMA dell’euro.

 

martedì 3 dicembre 2024

Il deficit che non si finanzia

 

Ma è così difficile far ragionare chi si preoccupa del “finanziamento del deficit” e del “drenaggio di risorse finanziarie che rischiano di non lasciare spazio agli investimenti produttivi” ?

Preoccuparsi di questi “problemi” equivale a credere che le economie funzionino ancora in regime di “moneta-merce”, di cui l’esempio classico è il gold standard.

Se l’unica moneta esistente fosse l’oro, lo Stato naturalmente non potrebbe metterla in circolazione in quantità superiore alle riserve aurifere che possiede. E se non le avesse, dovrebbe farsele prestare da qualcuno.

Ma il regime aureo è scomparso totalmente dal mondo nel 1971, con la fine degli accordi di Bretton Woods.

Oggi, quando lo Stato fa deficit, cioè quando spende più di quello che tassa, NON ha il problema né di “reperire risorse finanziarie” né di “drenare risorse che altrimenti verrebbero utilizzate per altri impieghi”.

Al contrario. Lo Stato, spendendo più di quanto tassa, IMMETTE risorse finanziarie nel sistema privato.

Se esagera, può sorgere un problema di inflazione. Ma il finanziamento del deficit non è MAI un problema.

Si pretende che lo sia solo perché lo Stato si impone limitazioni prive di senso economico, al punto di demandare l’emissione di moneta a banche centrali “indipendenti” (da che cosa ? dal controllo democratico) o, nel caso della BCE, addirittura sovranazionali.

Il finanziamento del deficit pubblico è semplicemente un problema inventato ad arte. Allo scopo di strumentalizzarlo e di limitare la sovranità popolare su una funzione fondamentale per la corretta gestione dell’economia.

mercoledì 27 novembre 2024

Moneta, domanda e inflazione

 

Gli euroausterici insistono a sostenere che l’emissione di moneta sia automaticamente inflazionistica. Il che è smentito dall’esperienza del Quantitative Easing, attuato dal Giappone per trent’anni, e da USA ed Eurozona per quasi dieci, senza nessuna apprezzabile accelerazione nella dinamica dei prezzi.

Un commento sentito di recente è che effettivamente il QE eurozonico non ha prodotto inflazione per molti anni, ma questo era dovuto al fatto che “erano in vigore i limiti di Maastricht”. Quando sono stati rimossi (causa Covid) l’inflazione è arrivata.

Beh, a parte che questa argomentazione varrebbe solo per l’Eurozona (una follia come i limiti di Maastricht è sua esclusiva…), le cose sono andate diversamente.

Il Covid è partito a inizio 2020, i limiti di Maastricht sono stati immediatamente rimossi, e le azioni di sostegno effettuate dai vari governi e banche centrali hanno rapidamente raggiunto livelli mai sperimentati prima. Senza alcun impatto sull’inflazione, che anzi è calata. Per l’elementare ragione che la gente, chiusa in casa, faceva fatica a spendere. Il che dimostra ancora una volta che l’emissione monetaria non crea inflazione (dovrebbe essere ovvio…) finché non si traduce in spesa.

L’inflazione ha cominciato a vedersi dalla seconda metà del 2021 in poi, per due ragioni fondamentali, che hanno a che vedere non con la moneta e per la verità neanche con la domanda.

Hanno a che vedere con l’offerta.

Si sono succeduti, rapidamente, due fenomeni.

Prima la fine dei lockdown, che ha ridato sì fiato alla domanda, ma in presenza di difficoltà degli apparati produttivi a produrre ai livelli precedenti, perché le catene di fornitura si erano dissestate. Riavviare la produzione non è sempre semplice e non è sempre immediato. Quando una catena di fornitori-clienti si blocca, il riavvio dipende dall’anello più lento della catena. Il che ha dei tempi, e produce una situazione in cui temporaneamente l’offerta è carente rispetto alla domanda.

Poi a inizio 2022, la crisi ucraina e l’impennata dei prezzi delle forniture energetiche.

Rientrati questi due fenomeni, è rientrata anche l’inflazione.

Inflazione che peraltro era nel frattempo salita molto meno che altrove dove ? in Giappone, paese che ha fatto deficit come gli altri e più di altri ha fatto acquistare titoli alla sua Banca Centrale…

Il presunto effetto inflazionistico della pura e semplice emissione di moneta, che secondo gli euroausterici dovrebbe essere prodotto dalle “aspettative degli operatori”, è una fantasia.

domenica 24 novembre 2024

E’ dura, ma proviamoci

 

Per vincere la battaglia contro l’austerità, la cosa forse più importante è persuadere una fascia sempre più ampia dell’opinione pubblica che i luoghi comuni sulla finanza pubblica sono privi di qualsiasi senso.

La normalità per uno Stato è avere il bilancio in deficit, non in pareggio. Il deficit pubblico è una fisiologia, non una patologia. Il deficit pubblico è il modo più efficiente per immettere mezzi finanziari nell’economia: e se l’economia cresce, anche i mezzi finanziari devono aumentare, di pari passo.

Il debito pubblico non è uno strumento di cui uno Stato che emette moneta abbia bisogno per finanziare il deficit. Il deficit pubblico genera risparmio privato: non ha necessità di “essere finanziato”. E se lo Stato emette la sua moneta, non ha bisogno di prenderla a prestito DA NESSUNO. DOPO che l’ha messa in circolazione, aumentando il risparmio finanziario privato, PUO’ (ma non è obbligato a) offrire, per esempio, titoli di Stato come mezzo per impiegare il risparmio finanziario medesimo.

Sono concetti in realtà semplici, ma controintuitivi. Vengono denegati anche da persone (che dovrebbero essere) acculturate in materia di economia e di finanza. A volte queste persone sono in malafede, ma a volte no.

Portare la maggioranza dell’opinione pubblica a comprendere questi temi sarebbe un passo in avanti enorme verso il superamento delle scellerate politiche di austerità, di restrizione finanziaria immotivata.

Non è facile, perché giornaloni e TV raccontano il contrario, propagandano fandonie. Non è facile ma è importantissimo. Mettiamocela tutta. Oggi molte persone in più hanno capito. Si può fare.