venerdì 18 aprile 2025

La lira, i chiodi e il martello

 

Sono davvero comici gli euroausterici che ti accusano di “voler risolvere qualsiasi problema con la lira” (più esattamente, con la reintroduzione di una moneta nazionale).

Pensiamo che tutti i problemi dell’economia nascano da quello ? pensiamo che tutti i guai si risolvano con quello ?

No che non lo pensiamo.

Quello che sappiamo però è che per piantare un chiodo ci vuole un martello.

Disporre di un martello non risolve tutti i problemi della vita. Però permette di piantare il chiodo.

Ostinarsi a non usare il martello perché qualcuno ha detto che si poteva fare con le mani, ottiene invece di ferirsi. Alle summenzionate mani.

E di non piantare il chiodo.

mercoledì 16 aprile 2025

La Moneta Fiscale risolve

 

Immettere moneta nell’economia

Il deficit pubblico viene tipicamente demonizzato.

Si pretende che sia un indicatore di inefficienza e spreco.

E’ invece una caratteristica del tutto normale delle economie che si sviluppano.

Via via che le grandezze reali e nominali dell’economia crescono, deve crescere anche la circolazione di potere d’acquisto.

Il deficit pubblico immette potere d’acquisto perché se lo Stato spende più di quanto tassa, il settore privato riceve più attività finanziarie di quante ne paga.


Perché non si può fare affidamento solo sul credito privato

La moneta viene immessa nell’economia anche per il tramite dell’erogazione di finanziamenti bancari e degli intermediari finanziari in genere.

Ma il credito privato è prociclico: i soggetti privati lo espandono nei periodi favorevoli, creando bolle, e lo contraggono nei momenti negativi, peggiorando le recessioni.

Per questo la creazione PUBBLICA di moneta mediante il deficit dello Stato si DEVE affiancare alla creazione da parte del settore privato – e deve essere gestita in maniera ANTICICLICA.


La Moneta Fiscale risolve le disfunzioni dell’eurosistema

L’eurosistema è disfunzionale in primo luogo perché demonizza il deficit pubblico: in linea di principio vorrebbe che non esistesse.

Questo perché non esiste la volontà di garantire, da parte dell’istituto di emissione, i deficit e i debiti pubblici degli Stati.

Il credito fiscale a libera circolazione, altrimenti detto Moneta Fiscale, emesso dai singoli Stati risolve il problema perché elimina il rischio d’insolvenza in quanto non deve essere rimborsato.


Il Superbonus ha dimostrato l’efficacia dello Moneta Fiscale

Il Superbonus 110% ha costituito un esempio di applicazione della Moneta Fiscale nell’ambito dell’economia italiana.

Ha prodotto un rimbalzo di PIL, dopo la fine dei Covid-lockdown, molto superiore alle previsioni.

E l’ha prodotto senza incrementare il rapporto debito pubblico / PIL rispetto alla situazione pre-Covid.

Tutto ciò nonostante evidenti difetti di impostazione, che comunque possono essere facilmente corretti:

·      Applicazione a un unico settore e non a un ampio ventaglio di interventi.

·      Dimensionamento in linea di principio illimitato.

·      Aliquota 110% che disincentivava la formazione di prezzi corretti per gli interventi finanziati.


Dai CCF al SIRE

Proposta originaria di Moneta Fiscale: i Certificati di Compensazione Fiscale. Moneta Fiscale della forma di titoli di Stato non debitori.

SIRE: Sistema Integrato di Riduzioni Erariali. Strumento finanziario utilizzabile mediante carte elettroniche, anche per pagamenti correnti / quotidiani; conti centralizzati gestiti dal Ministero dell’Economia.

Il deficit di bilancio è attuabile mediante accrediti diretti su conti SIRE, senza necessità di emettere titoli e di creare uno strumento di trading speculativo.

Questi conti sono movimentabili anche nell’ambito di transazioni tra privati, creando una vera e propria moneta di Stato, che può circolare fianco a fianco con l’euro senza (necessariamente) sostituirlo.

 

domenica 13 aprile 2025

Di che cosa si parla in Italia

 

Ogni volta che qualcuno esprime un’opinione controversa o anche solo discutibile (come sono discutibili tutte le opinioni) non manca mai il commento “ma perché in Italia si parla sempre di quello che non si conosce” ?

Il che invariabilmente mi suggerisce una riflessione. Chi attribuisce agli italiani il vizio di “parlare di ciò che non sanno” ha mai attuato approfondite analisi e confronti internazionali per valutare se all’estero sia diverso ?

Io ho invece il sospetto, corroborato dalla mia esperienza pratica (che per carità, non è un’analisi strutturata e approfondita) che tutto il mondo sia paese, e che dappertutto il commento da bar sia una prassi ricorrente.

Poi certo, forse all’estero sono meno diffusi i bar, quindi i commenti estemporanei magari è più facile ascoltarli in palestra, in metropolitana, su un taxi o al supermercato.

Inoltre adesso ci sono i social networks, che danno a tutti la possibilità di dire la loro e di essere ascoltati, o letti, da qualcuno.

Ma più in Italia che altrove ? non credo.

martedì 8 aprile 2025

L’unità che non è mai durata

 

Agli amanti dei riferimenti storici, ricordo che l’unità politica europea è stata temporaneamente realizzata, con mezzi alquanto ruvidi, tre volte nella storia del mondo, e che non è mai durata a lungo.

Il primo tentativo è stato quello di Carlo Magno. Impero immediatamente spaccato in tre parti alla sua morte.

Il secondo, quello di Napoleone. Durato pochi anni, finché non l’hanno spedito all’Elba prima, e a Sant’Elena poi.

Il terzo, quello di Hitler. Esito finale, l’Armata Rossa a Berlino.

A chi volesse rievocare l’Impero Romano, ricordo che si trattava sostanzialmente di un impero mediterraneo. A parte l’Italia, le zone più floride e civili erano il Nordafrica, la Grecia, l’Egitto e il Medio Oriente. La Britannia era una propaggine di scarso interesse. La Germania si è rinunciato a occuparla dopo l’imboscata nella selva di Teutoburgo (“Varo legiones redde”) ma in effetti era poco attrattiva anche quella, foreste freddo e nebbia, poco altro di interessante. Essere spediti a guardia del limes centro-orientale era qualcosa a cui i legionari francamente non ambivano.

L’Europa è un’entità culturalmente, linguisticamente, climaticamente disomogenea. Mettere insieme quello che ha poco in comune se non la limitrofia territoriale è sempre finito male. E non stupisce.

 

domenica 6 aprile 2025

Trump, i dazi e la globalizzazione


La mossa aggressiva, anche più del previsto, dell’amministrazione Trump, l’introduzione di dazi molto pesanti, è un grosso colpo contro la globalizzazione. E la globalizzazione ha fatto grandi danni. Per cui al di là delle incertezze, al di là della caduta dei mercati azionari, al di là delle comprensibili inquietudini, c’è da esserne contenti.

O no ?

Non ne sono così sicuro.

Il problema della globalizzazione, e l’ho detto più volte già anni fa, vedi ad esempio qui, è l’aver messo le classi meno abbienti dell’Occidente in diretta concorrenza con i lavoratori dei paesi emergenti. Invece di tutelare il potere d’acquisto dei cittadini occidentali a fronte di una crescita dei paesi ex poveri, si è criminalmente preteso di farli incontrare a mezza strada.

Criminalmente ? sì, perché mentre i redditi del ex terzo mondo aumentavano, quelli dei ceti medi, medio-bassi e bassi del primo mondo calavano. E insieme ai redditi reali, anche le tutele sociali e il welfare.

La globalizzazione è stata gestita così. Si è raccontato che era inevitabile. Ma non lo era. L’appropriato utilizzo dei deficit pubblici avrebbe consentito di redistribuire i vantaggi prodotti da delocalizzazione e globalizzazione, ripartendoli anche a vantaggio del lavoro e non solo del capitale.

Non era necessario abbattere le tutele sociali. Non era necessario comprimere gli investimenti pubblici. E invece si è fatta austerità in Europa con la scusa (totalmente inventata) dell’insostenibilità dei debiti pubblici; e si sono invece accettati i deficit pubblici negli USA ma solo per tagliare le tasse ai ricchi e alle aziende (quindi ancora ai ricchi, perché in azioni investono i benestanti).

Adesso Trump usa la leva dei dazi per riequilibrare i saldi commerciali esteri. Ma ammesso che ci riesca (ed è tutto da scoprire) almeno a parole (a fatti vedremo) la sua amministrazione spinge anche sulla necessità di comprimere deficit e debito pubblico. Altro che rilancio del welfare.

Il debito pubblico e il debito estero USA sono IN DOLLARI. Non c’è nessuna, proprio nessuna, situazione di insostenibilità finanziaria. Né oggi né in prospettiva.

Per correggere le distorsioni, pesantissime, della globalizzazione così come è stata attuata, serve un rilancio dei deficit pubblici (azzerare il patto di stabilità nella UE) e un riorientamento della spesa verso finalità sociali (negli USA).

Ma l’Unione Europea è aperta a un ampliamento dei deficit pubblici solo per il riarmo, e gli USA parlano di contrarre il deficit.

Tutto questo non mi piace. Il problema della globalizzazione, per l’Occidente, non è azzerarla ma correggerne le distorsioni. E la correzione non la vedo avvenire. Non tramite i dazi USA, comunque.

martedì 1 aprile 2025

Le confusioni su risparmio, investimenti e saldi esteri

 

Spesso sento dire a politici e giornalisti, ma anche ad economisti e operatori finanziari, che sarebbe di grandissima utilità “fare in modo che venga investito in Italia il risparmio che oggi invece defluisce all’estero”.

E come non di rado avviene, constato che questa affermazione riflette parecchia confusione in merito alla contabilità nazionale, per non dire in merito alla pura e semplice ragioneria (leggasi partita doppia).

Vediamo un po’. Gli italiani detengono risparmio investito all’estero ? certo che sì. Secondo i dati Bankitalia, al 30.9.2024 i residenti italiani possedevano la bellezza di 3.925 miliardi di attività patrimoniali estere: azioni, obbligazioni, aziende, immobili eccetera.

Naturalmente ci sono anche attività patrimoniali italiane possedute da stranieri, e anche in questo caso l’importo è ragguardevole, ma inferiore: 3.660 miliardi.

La differenza tra questi due importi è la cosiddetta NIIP (Net International Investment Position) che è quindi positiva (eccesso di investimenti italiani all’estero rispetto agli investimenti esteri in Italia) per 265 miliardi.

Come si è formato questo eccesso ? la causa principale sono gli scambi di beni e servizi. Nel 2024, l’Italia ha registrato un surplus (eccesso di esportazioni rispetto alle importazioni) pari a 59 miliardi. E surplus di queste dimensioni sono da alcuni anni una caratteristica strutturale della nostra economia.

E’ importante capire che un surplus commerciale estero produce AUTOMATICAMENTE una crescita della NIIP. Per pagare le esportazioni, il compratore straniero trasferisce attività patrimoniali in suo possesso all’esportatore italiano. Oppure si fa finanziare da un intermediario italiano, che quindi si ritrova con un aumento di crediti o di partecipazioni verso l’estero.

Chiaro ? o l’esportatore italiano, o il finanziatore italiano dell’importatore estero, si ritrova PER DEFINIZIONE un incremento di attività patrimoniali estere. Si verifica quello che viene (in modo fuorviante) definito un “deflusso di risparmio verso l’estero”.

Una via per “far rientrare il deflusso” cioè per diminuire la NIIP, magari facendola addirittura diventare negativa, è andare in deficit commerciale. E’ questo che si vuole ottenere ? equivale a indebitarsi verso l’estero, o a vendere attività estere possedute dall'importatore italiano, per finanziare acquisti italiani di beni e servizi prodotti altrove. Non mi pare una grande idea e di sicuro NON significa “riportare risparmio italiano in Italia”.

Ma tutto questo riguarda i flussi. Non si può invece lavorare sugli stock ? per esempio non dico tutti i 3.925 miliardi di attività italiane all’estero, ma un pezzo, che so il 10% quindi la bellezza di quasi 400 miliardi, potrebbero essere disinvestiti e “rientrare in Italia”.

Certo, potrebbero. Ma per fare cosa ? Se il rientro avviene a fronte di un peggioramento della NIIP, significa che l’Italia ha trasformato il suo surplus commerciale in un deficit. Questi soldi vanno quindi ad alimentare acquisti di beni e servizi ESTERI. Non produzione e non occupazione italiana.

Se la NIIP non peggiora e il surplus commerciale estero non muta, significa che non abbiamo aumentato gli acquisti netti di beni e servizi esteri, ma a fronte della diminuzione di attività abbiamo diminuito anche le passività. Per esempio abbiamo rimborsato finanziamenti esteri. O abbiamo ricomprato azioni italiane oggi possedute da stranieri.

Tutto questo può essere un bene, un male o un fatto irrilevante. Faccio però notare due cose.

La prima è che gli stessi soggetti che parlano dell’utilità di “far rientrare il risparmio italiano” di solito tessono anche le lodi del “far affluire capitali stranieri in Italia”. Della serie, una cosa ma anche il suo contrario.

La seconda è che nel momento in cui i residenti italiani ricomprano azioni possedute da stranieri, o estinguono debiti verso l’estero, NON METTONO NEANCHE UN CENTESIMO IN PIU’ a disposizione dell’economia italiana. Cambiano solo l’intestatario di un titolo azionario o di un finanziamento o di un’attività patrimoniale di altra natura.

E’ appropriato mettere risorse finanziarie in più a disposizione dell’economia italiana ? certo che sì, se l’Italia non ha (e non ce l’ha) un problema di inflazione, e se ha (e ce l’ha) un problema di disoccupazione e sottoccupazione.

Ma la strada NON è far “rientrare il risparmio dall’estero”. E’ espandere il deficit pubblico (in prima istanza) e la formazione di credito privato (con cautela e di riflesso a una sana e organica espansione della produzione e dei redditi interni).

Le chiacchiere sul “rientro dei risparmi” lasciatele a giornalisti, politici, operatori finanziari ed “economisti” che hanno bisogno di aprire un manuale di ragioneria base. E possibilmente di leggerlo e capirlo.

giovedì 27 marzo 2025

E invece la risposta c'è

 

Contenere artificialmente la disponibilità di potere d'acquisto rende più difficile trovare lavoro e comprime le retribuzioni. E' il risultato della demonizzazione di deficit e debiti pubblici. Produce meno crescita e più diseguaglianze.