sabato 7 settembre 2024

Spiegare la borsa

 

Mi crea spesso un moderato divertimento leggere le spiegazioni che vengono date sugli andamenti del mercato azionario, e ancora di più le previsioni in merito a quanto potrà accadere nel prossimo futuro.

In queste ultime poche settimane si è diffusa l’opinione che il mercato USA, e in particolare l’SP500, potrebbe essere sul punto di una correzione al ribasso.

Il che è sicuramente possibile. Ma per quali motivazioni ? tra le più frequenti che vengono fornite, Trump potrebbe vincere le elezioni in USA. La guerra in Ucraina potrebbe durare ancora a lungo. La situazione in Medio Oriente potrebbe degenerare. Le banche centrali potrebbero non essere così aggressive come si pensa, o spera, nel ridurre i tassi. Oppure potrebbero esserlo per poi scoprire che l’inflazione rialza la testa. L’economia potrebbe indebolirsi.

Al che ovviamente non manca chi replica. Trump le elezioni potrebbe anche perderle. Ma poi in fondo quando ha vinto nel 2016 il mercato azionario ha poi fatto +30% in pochi trimestri. E la guerra in Ucraina potrebbe anche aver fine. E in Medio Oriente le cose potrebbero risolversi, o quanto meno non peggiorare. E i tassi d’interesse hanno, in ogni modo, avviato una discesa. E l’economia in definitiva cresce.

Insomma è vero tutto ma anche il contrario.

Il problema è che leggere queste “spiegazioni” è più divertente che utile.

Di sicuro c’è che

la borsa nel tempo sale

però non lo fa in linea retta

ogni tanto corregge

le date delle correzioni, e l’entità, non le può prevedere nessuno

però quando i valori sono alti e hanno corretto parecchio negli ultimi tempi, una correzione diventa più probabile nel breve termine: attenzione più probabile, non certa.

E adesso i valori sono alti.

Poi divertiamoci, se non abbiamo di meglio, a leggere le “spiegazioni”, le “profonde analisi”.

Basta non prenderle troppo sul serio.

 

martedì 3 settembre 2024

Chi ha bisogno della UE ?

 

Le elezioni regionali tenute domenica scorsa in Turingia e Sassonia hanno registrato un notevolissimo, e per la verità non inatteso, successo del partito di destra eurocritico AfD, che si è attestato intorno al 30% abbondante. Ma va anche notato che un’altra lista eurocritica, questa di sinistra, BSW, ha a sua volta ottenuto un eccellente risultato.

In un’intervista sulla Repubblica di oggi è citata la seguente dichiarazione di Alice Weidel, la leader di AfD: “La Germania, per sopravvivere, non ha bisogno della UE. La UE, al contrario, ha bisogno della Germania. La UE dovrebbe comportarsi di conseguenza. Solo a questa condizione l’uscita della Germania dalla UE non si renderà necessaria”.

Ora, senz’altro la Germania non ha bisogno della UE. Ma va aggiunto che nessun paese appartenente alla UE ha bisogno della UE. Nessun paese deve la sua esistenza alla UE, e nella maggior parte dei casi gli stati membri hanno una storia decennale, secolare, qualche volta millenaria che è partita quando la UE non era nell’immaginazione di nessuno.

La UE si giustifica solo se e in quanto la sua esistenza crea qualcosa di positivo per i suoi appartenenti. L’affermazione della Weidel quindi sarebbe condivisibile. Ma c’è un ma: quando poi andiamo a vedere di che cosa gli stati hanno bisogno, che cosa motiverebbe la loro appartenenza alla UE, scopriamo che le necessità e gli interessi sono difformi. Molto difformi.

Il che non stupisce. Sono paesi differenti per storia, lingua, tradizioni, condizioni economiche, e molte altre cose ancora.

Beninteso questo ai burocrati di Bruxelles non interessa. Com’è tipico delle burocrazie, la loro finalità è preservare la propria esistenza e accrescere la propria area di influenza. Che poi l’esistenza della burocrazia abbia un’utilità è secondario. Primario è l’interesse dei burocrati.

E infatti le reazioni ai risultati elettorali negativi (negativi dal loro punto di vista, s’intende) ogni volta è la stessa. Mai riflettere sul messaggio che sta trasmettendo l’elettorato. Sempre alzare cordoni sanitari. Sempre reprimere, mai analizzare le motivazioni, mai correggere la direzione di marcia.

Anche perché, appunto, la direzione di marcia utile a un paese non è la stessa appropriata per un altro. E quindi la UE ha l’alternativa tra fare ed essere dannosa, e non fare ed essere inutile.

L’autoscioglimento sarebbe una via raccomandabile. Ma qui entra in gioco l’istinto di conservazione, che esiste per le organizzazioni tanto quanto, o forse più, che per gli individui.

 

domenica 1 settembre 2024

Il mostro che non è un mostro

 

Non bastavano definizioni tonitruanti e spaventevoli come “il fardello”, “il macigno”, “l’ipoteca sul futuro del paese”, “l’onere per le future generazioni”.

No, il Sole 24 Ore pochi giorni fa ha dato un altro giro di vite agli sforzi per seminare panico in merito al debito pubblico italiano. Adesso è diventato, sic et simpliciter, “il mostro”.

Boh. Da quando ho cominciato ad avere quattro risparmi da parte ho sempre felicemente acquistato BOT, CCT e BTP (salvo negli anni in cui rendevano zero). E la sensazione di mettermi in tasca delle cose “mostruose” proprio non l’ho mai avuta.

Ma poi, se deficit e debito pubblico sono non si dice mostri, ma gravi, preoccupanti, potenzialmente esiziali anomalie da correggere a tutti i costi, com’è che il bilancio del settore pubblico di tutti i paesi è quasi sempre in deficit ? e com’è che tutti hanno un debito pubblico ?

Non sarà che invece il deficit sia qualcosa di normale e fisiologico ? che per un’economia in crescita sia normale che il settore pubblico spenda più di quello che tassa, immettendo quindi mezzi di pagamento e risparmio finanziario nel settore privato ? grandezze che DEVONO crescere, se cresce la produzione e il valore di beni e di servizi ?

Non sarà che questa continua insistenza sul “risanamento della finanza pubblica” – risanamento che peraltro non si ottiene mai – abbia come unico risultato quello di tarpare la crescita del paese, di smantellare il welfare, di prosciugare gli investimenti ?

Diceva, se non sbaglio, Voltaire: “le streghe hanno smesso di esistere quando abbiamo smesso di bruciarle”.

Oggi magari direbbe che il debito pubblico smetterà di essere un problema quando smetteremo di tentare di “risolverlo”.

 

domenica 25 agosto 2024

Fabio Panetta e le spese per l’istruzione

 

Fabio Panetta, l’attuale governatore della Banca d’Italia, sicuramente non è il peggiore degli euroausterici. Tra i governatori delle banche centrali eurozoniche è sicuramente schierato dalla parte delle colombe, non da quella dei falchi più retrivi e ottusi.

Però appartiene al mainstream economico, quindi aspettarsi più di tanto, dal punto di vista della logica e della razionalità delle sue argomentazioni, sarebbe ingenuo.

Alcuni giorni fa ha insistito, tanto per cambiare, sulla necessità di ridurre il debito pubblico, argomentando tra le altre cose che l’Italia spende più per pagare interessi che per l’istruzione pubblica.

Di fronte a un’affermazione del genere, chi potrebbe contestare il fatto che qualcosa non funziona ?

Però qual è la conseguenza, nella testa di Panetta ? che occorre ridurre il deficit, abbassare il debito, “quindi” pagare meno interessi, “quindi” avere più soldi per altre cose. Logico, no ?

No.

Ridurre il deficit, nella testa del mainstream economico, vuol dire aumentare le tasse o abbassare le spese. Entrambe azioni che rallentano l’economia.

E abbassare le spese, quali ? non quelle per l’istruzione c’è da supporre, visto che lo stesso Panetta rileva la loro insufficienza. Ma allora andiamo avanti a tagliare cosa ? le pensioni ? la sanità ? gli investimenti in infrastrutture ?

Tutte queste cose sono state largamente sperimentate, dall’austerità bruxellian-montiana in poi. Ovviamente il debito non è sceso. Ovviamente la spesa per interessi non è diminuita. Ovviamente soldi in più da investire nell’istruzione o in altre cose non si sono visti. E ovviamente si è distrutta la crescita dell’economia italiana.

Ma caro Panetta, se gli interessi sono troppo alti, la soluzione è molto semplice. Fare deficit emettendo moneta. Anche senza uscire dall’euro tornando alla lira, bensì emettendo Moneta Fiscale.

Chissà come, questo Panetta non lo dice. Le soluzioni sono sempre quelle già sperimentate. Con esiti fallimentari.

 

mercoledì 21 agosto 2024

Il debito che non è debito

 

Un tema fondamentale, per risolvere i problemi dell’economia italiana, è far comprendere alla cittadinanza che il “debito” pubblico in moneta sovrana NON E’ DEBITO.

L’Italia è pesantemente condizionata, nelle sue scelte di politica economica, dall’aver convertito i propri titoli di Stato da lire a euro. A tutti gli effetti pratici, l’euro è diventato (e con ogni probabilità così era stato fin dall’inizio concepito) uno strumento di controllo politico. Una leva potentissima, in mano a interessi esterni al paese.

Nessuna entità esterna, al contrario, può forzare un paese all’insolvenza su “passività” che il paese stesso emette. I deficit pubblici possono essere eccessivi se creano livelli alti e volatili di inflazione. Ma il debito in moneta sovrana non crea condizionamenti di origine esterna.

Questo è il problema fondamentale nato, per il nostro paese, dall’ingresso nell’euro. Una moneta straniera, sopravvalutata rispetto ai fondamentali della nostra economia.

Tutto questo è chiaro e conclamato. Ma largamente ignorato dall’informazione mainstream.

Ogni contributo di informazione e comunicazione che aiuti a far comprendere tutto ciò è un passo, piccolo finché si vuole, ma è un passo nella direzione giusta.

mercoledì 14 agosto 2024

Debito pubblico, il grande equivoco

 

Il grande, gigantesco equivoco, quando si parla di finanza pubblica, è pensare che il debito sia un mezzo per finanziare le attività dello Stato.

Non è nulla di tutto questo.

I punti essenziali da comprendere sono i seguenti.

I mezzi di pagamento in circolazione, in un’economia in sviluppo, DEVONO aumentare.

Il deficit pubblico provvede a garantire che questo aumento si verifichi. Deficit vuol dire che le spese pubbliche superano le entrate fiscali: rimane un delta, che PER DEFINIZIONE resta in possesso del settore privato. Questo delta incrementa la disponibilità di potere d’acquisto del settore privato medesimo. E incrementa il suo risparmio finanziario.

Emettere debito pubblico quindi NON SERVE A FINANZIARE IL DEFICIT. Uno Stato che emette la sua moneta non ha NESSUN bisogno di emettere debito. Il deficit si finanzia da sé.

Il debito pubblico è semplicemente uno strumento di impiego del risparmio privato che si FORMA AUTOMATICAMENTE in conseguenza dei deficit pubblici. Non è indispensabile emetterlo.

Può essere un servizio utile offerto alla collettività.

Ma quanto sentite dire che lo Stato deve “garantirsi la benevolenza dei mercati”, che è “soggetto al giudizio degli investitori”, sappiatelo: è UNA SPUDORATA MENZOGNA.

 

lunedì 12 agosto 2024

Euroausterici e finanza pubblica

 

Gli euroausterici, compresi quelli un buona fede, hanno in testa parecchie idee sballate (viene da dire SOLO idee sballate) in merito a deficit e debito pubblico. Questa non è una novità.

Uno dei loro leitmotiv è che è (sarebbe) “una cretinata” affermare che il debito pubblico è credito dei privati che lo possiedono.

Se gli si dice “bene regalami i tuoi BTP, visto che non è credito, quindi non è un’attività finanziaria, non ha un valore, sarai felice di sgravartene e io da parte mia con piacere ti solleverò da questo fastidio” – se gli si dice QUESTO non sanno più cosa rispondere e non rimane loro che sviare il discorso.

Una maniera tipica di sviarlo è l’affermazione (in realtà ben poco attinente con la precedente, ma transeat) che “i titoli di Stato sono solo di chi li possiede mentre il debito pubblico è di tutti”. Ma questo sconclusionato tentativo di replica non tiene conto di parecchie cose.

Per iniziare, il debito pubblico, ovvero i titoli di Stato, non li possiedono tutti nella stessa misura, ma anche le tasse non le pagano tutti nella stessa misura. Un nullatenente paga molto poco, e peraltro non possiede neanche titoli, e non percepisce interessi. Chi possiede molti titoli e percepisce molti interessi di sicuro paga anche molte più tasse di un nullatenente.

Ancora più importante, uno stato che emette moneta può tranquillamente decidere di non emettere debito pubblico. Collocare titoli offrendo una remunerazione è una pura scelta politica. Se stampi moneta, la tua spesa può eccedere la tassazione senza alcun bisogno di emettere titoli.

Inoltre, e forse è l’argomento più importante su questo tema, TUTTE le ripartizioni delle spese e delle tasse sono scelte politiche. Possono essere scorrette, possono essere discutibili, possono essere inique: ma questo non ha niente a che vedere con il fatto che “serve debito e serve pagare interessi per finanziare il deficit”. Il deficit, se lo stato emette moneta, si finanzia da solo.

La sintesi della situazione, che agli euroausterici sfugge completamente (se poi fanno finta sono ottimi attori) è la seguente.

Uno stato che emette moneta non ha bisogno di emettere debito né di pagare interessi.

Se lo fa, è per motivi di opportunità politica. Magari giusti, magari sbagliati. Che però non hanno nulla a che vedere con una condizione di necessità.

Siccome un’economia che cresce ha bisogno che le attività finanziarie in circolazione aumentino nel tempo, è perfettamente normale che il bilancio dello stato sia in deficit, perché deficit significa eccesso di spesa pubblica rispetto alle tasse, e questo deficit rimane in tasca al settore privato realizzando, appunto, il fisiologico incremento di circolazione dei mezzi di pagamento.

Il deficit è a sua volta la differenza tra spese e tasse. La ripartizione delle spese e delle tasse è anch’essa una decisione politica. Che può essere iniqua o criticabile: ma a prescindere che le spese superino le tasse – quindi che esista un deficit – piuttosto che no.

E SOPRATTUTTO: non esiste nessun motivo per affermare che il deficit o il debito vadano ridotti perché creano problemi di “solvibilità” (a meno che non siano finanziati in moneta straniera) o di “equità intergenerazionale” (“il debito sulla testa dei nostri figli”). Se creano un problema, è legato all’inflazione. Nient’altro.

E INFINE: SI’, il debito pubblico corrisponde, CENTESIMO PER CENTESIMO, a credito privato. A valore di chi possiede i titoli. Se c’è una cosa certa, quando si parla di finanza pubblica, è questa.