venerdì 30 maggio 2014

Conversione di un keynesiano inconsapevole


Il rilancio della domanda è la soluzione della crisi odierna. Capire perché e come non è affatto difficile (vedi per esempio qui) ma è controintuitivo.

Quando si parla con persone intelligenti, comunque, come questo KI (Keynesiano Inconsapevole) si arriva rapidamente a mettere a fuoco il tema.

 

KI: la crisi che viviamo oggi è il grande aggiustamento. Non era normale la situazione di prima.

MC: avere un output gap del 20% è una normalità a cui ci dobbiamo rassegnare ? grazie a Dio, no.

KI: eheheh le magie del credito illimitato…

MC: ma se ci rifletti che senso ha un PIL 10% inferiore al 2007, quando anche con tassi di crescita modesti dovrebbe essere il 10% IN PIU’ a sette anni di distanza ? non ci hanno bombardati, non si è esaurita nessuna risorsa in questi anni…

KI: oh una risorsa si è esaurita invece, la più importante: il credito…

MC: ma si produce con persone e macchinari. Il credito è un lubrificante, certo che è venuto meno, ma il lubrificante si può ripristinarlo senza nessun costo…

KI: è una risorsa essenziale se diventa (come è successo durante la bolla immobiliare e azionaria) il motore della domanda.

MC: verissimo. Ma appunto per questo dopo che la bolla è scoppiata lo devi sostituire con moneta creata dallo Stato e indirizzata a generare domanda. Keynes docet.

KI: ed è quello che si è fatto, vedi aumento dei debiti pubblici nel mondo. Ma non basta.

MC: e infatti devi incrementare questa azione. E finanziarla con moneta, non con debito.

KI: l’ha fatto la Fed con risultati risibili in proporzione allo sforzo…

MC: risibili ? non direi, soprattutto in proporzione a uno “sforzo” che è consistito nel emettere bit di computer ! certo, possono e devono incrementare questa azione, e rivolgerla tutta all’economia reale, non a quella finanziaria.

KI: che negli USA la situazione sia buona è un mito.

MC: sono d’accordo, arrivo a stento a definirla passabile. Ma in confronto alla catastrofe dell’Eurozona…

KI: siamo in territorio monetariamente inesplorato. Ma non c’è alternativa alla droga della liquidità.

MC: vedi, è un luogo comune chiamarla droga. In realtà è il ripristino di un livello di domanda adeguato ad occupare le risorse produttive. Diventa droga quando si crea inflazione, ma finché non hai eliminato la disoccupazione prodotta dalla crisi non c’è da preoccuparsi di quello.

KI: ah certo. A parte che oggi l’inflazione è troppo bassa, magari ne avessimo un po’ di più…

mercoledì 28 maggio 2014

Moneta e domanda sono un sistema di regolazione


Mie risposte ad alcune obiezioni formulate in merito all’applicazione del progetto CCF nella Repubblica di San Marino. Sulla stampa locale sono già apparsi alcuni articoli, inserisco prossimamente i link ai prossimi che riporteranno questo scambio di opinioni.

 

Ringrazio il dott. Giovanni Benaglia per le sue osservazioni in merito al progetto Certificati di Credito Fiscale (CCF), che mi danno l’opportunità di chiarire, credo e spero in modo esaustivo e convincente, i dubbi sollevati.

In primo luogo, in caso di applicazione a un’economia piccola come quella della Repubblica di San Marino, si dice, “solo una minima parte degli operatori economici sarà disposta a ricevere quelle che di fatto sono delle cambiali spendibili dopo due anni piuttosto che del denaro contante” e quindi “il valore di mercato sarà di gran lunga inferiore rispetto a quello nominale”.

In realtà, i CCF costituiscono un impegno nei confronti di uno stato sovrano dotato di potere di imposizione fiscale. In questo senso è lecito assimilarli a una cambiale: ma il valore di una cambiale non è legato alla dimensione della controparte, bensì alla sua affidabilità.

Ora, attuando il progetto a San Marino i CCF a partire da due anni dalla loro emissione, saranno – per legge – illimitatamente accettati dalla Repubblica per onorare qualsiasi impegno finanziario nei suoi confronti: tasse e imposte in primo luogo. Non esiste un problema di affidabilità, in quanto la Repubblica si impegna ad accettare i CCF, non a rimborsarli. Sono una sorta di moneta a utilizzo differito.

L’unica circostanza sotto la quale i CCF potrebbero subire una forte penalizzazione di valore è se venissero emessi in quantità superiore o comunque vicina agli incassi fiscali ed erariali della Repubblica nell’anno in cui diventano utilizzabili. In questo caso il titolare potrebbe dover attendere un periodo di tempo più lungo per riuscire effettivamente a utilizzarli. Ma, nella formulazione attualmente prevista per il progetto nel caso italiano, si parla di 200 miliardi di emissioni che diventano utilizzabili ogni anno a fronte di incassi statali complessivi di 800: un rapporto che lascia totalmente tranquillo il titolare. Per San Marino, si avrebbero dati - naturalmente - inferiori, ma la proporzione sarebbe grosso modo la stessa.

Un’altra obiezione formulata dal dott. Benaglia è che se “l’aumento delle entrate fiscali generato dalla circolazione” dei CCF non fosse sufficiente, si avrebbe “uno sbilancio negativo” e quindi “un aumento esponenziale del deficit pubblico” (in futuro). Ma anche qui è una questione di proporzioni. L’esperienza storica insegna che immettere capacità di spesa in un’economia depressa produce crescita di PIL in proporzione superiore all’unità, appunto perché si attiva un meccanismo virtuoso: il soggetto che spende attiva produzione, quindi reddito di altri operatori, che a loro volta mettono in moto spesa e occupazione, eccetera. Anche adottando ipotesi molto prudenti, il risultato finale è un netto miglioramento dei parametri di finanza pubblica: non viceversa.

Il dott. Benaglia conclude che “stampare moneta o suoi surrogati non è la via salvifica per uscire dalla crisi. L’unica strada è quella di rendere disciplinati Stati Sovrani troppo spendaccioni”. Ma proprio l’esperienza dell’Eurocrisi dimostra il contrario. Sono andati in difficoltà paesi con un debito pubblico elevato rispetto al PIL come l’Italia e la Grecia, ma anche altri che erano considerati modelli di rettitudine fiscale, dove nel 2008 il debito era nettamente sotto le medie europee (sempre in rapporto al PIL): come la Spagna e l’Irlanda, che partivano dal 30-40%.

Uno degli errori fondamentali nella sciagurata gestione dell’Eurocrisi è stato proprio quello di imporre azioni di austerità fiscale ai paesi in difficoltà per “riconquistare la fiducia dei mercati”. Il risultato è stato un crollo della domanda, dell’occupazione e del PIL, con gravissime conseguenze economiche e sociali e, per di più, un fortissimo peggioramento (e non viceversa) del rapporto tra debiti pubblici e PIL.

Stampare moneta risolve una crisi come l’attuale non perché la moneta in sé sia un oggetto miracoloso. La moneta è l’avvio della soluzione quando viene utilizzata per aumentare i livelli di domanda nell’ambito di un sistema economico dove la domanda medesima è depressa, cioè nettamente inferiore alla potenzialità del sistema. Se emetto moneta e la utilizzo per aumentare la spesa diretta dello stato o (indirettamente, per esempio abbassando le imposte) la spesa privata di aziende e cittadini, la domanda sale e le risorse produttive inoperose si rimettono al lavoro: in altri termini, si riassorbe la disoccupazione.

Aggiungo che quando il sistema ha recuperato le sue normali condizioni di funzionamento, una maggiore emissione di moneta finalizzata a incrementare la domanda non produrrebbe ulteriori crescite di produzione e di occupazione, ma solo di prezzi (quindi di inflazione). A quel punto l’azione di emissione di moneta (e suoi surrogati) e di sostegno alla domanda ha raggiunto il suo livello corretto.

Moneta e domanda non sono né un elisir né una pietra filosofale. Sono un meccanismo di regolazione del sistema economico, un termostato che deve essere posizionato in modo che la casa non sia né troppo fredda né troppo calda.

martedì 27 maggio 2014

Delusione elettorale


E’ stata forte, certamente, ma la cosa peggiore che può fare ora il M5S è crogiolarsi nell’afflizione, nel ripetere che “gli italiani non hanno capito”.

Mi pare che sia arrivato al momento in cui il M5S ha bisogno di istituzionalizzarsi. Che cosa intendo ?

Buona parte dell’elettorato di febbraio 2013 è defluita verso l’astensione (soprattutto) perché non è convinta della capacità del M5S di presentare una squadra di governo e un programma credibile.

Avendo conosciuto di persona vari parlamentari – Barbanti, Castelli, Molinari, Pesco, Villarosa e mi scuso se non cito altri con cui ho avuto occasione di scambiare idee, ma meno a lungo – ritengo che non sia così. Ma questa convinzione non è stata adeguatamente trasmessa all’opinione pubblica.

Che cosa serve ora ?

Smorzare i toni. Trasmettere indignazione e alzare il livello della polemica oltre un certo punto non paga.

Presentare una potenziale squadra di governo. Grillo e Casaleggio sono i fondatori e gli ispiratori del M5S. Ma non ambiscono a cariche istituzionali, non si propongono quel ruolo. L’elettorato deve capire chi potrebbe essere il ministro dell’economia, chi il ministro degli interni, chi il capo del governo.

Dettagliare i programmi. Certo, a buona parte dell’opinione pubblica è importante trasmettere sensazioni ed emozioni. Ma gli indecisi non li porti dalla tua parte se non chiarisci in modo plausibile e articolato come raggiungere i tuoi obiettivi.

Prendere una posizione chiara su come uscire dalla gabbia dell’attuale eurosistema. Sapete che questo è il tema che mi sta maggiormente a cuore, ma è oggettivo che l’economia ha un peso fondamentale e uscire dalla crisi è il tema più importante.

Le ambiguità euro sì – euro no, il referendum “che non si capisce come quando in che modo votato da chi”, hanno creato un mare di confusione.

Non c’è prova che schierarsi per il breakup avrebbe migliorato le cose. La Lega ha ottenuto un discreto risultato, ma i suoi candidati breakuppers non sono stati eletti. Fratelli d’Italia non ha raggiunto il quorum. Il breakup è inefficiente, complesso, rischioso, e rischia di spaventare più persone di quelle che convince.

L’adozione della Riforma Morbida come perno del programma economico sarebbe stata (sono di parte nel dirlo, ma ovviamente ci credo moltissimo…) essenziale.

Risolvere tutte le inefficienze dell’odierno eurosistema. Tramite un’iniziativa unilaterale. Ma senza modificare posizioni e diritti di nessun soggetto – pensionati, lavoratori, risparmiatori, creditori esteri, controparti commerciali.

Una Riforma che può essere presentata – perché a tutti gli effetti lo è - come la soluzione permanente per l’Eurocrisi, adottabile in forma cooperativa da tutti i paesi in difficoltà.

Che susciterebbe un dibattito ai massimi livelli internazionali, tra gli economisti più prestigiosi, per la sua innovatività e per le sue potenzialità, qualificando chi la propone. Altro che arrabbiati senza idee.

Sarebbe comunque osteggiata da UE, BCE, establishment finanziario ? forse, ma con quale fondamento tecnico ?

In realtà la Riforma Morbida è proprio la strada che Bruxelles e Francoforte dovrebbero riconoscere come la soluzione alle pulsioni centrifughe e al rischio di deflagrazione del sistema.

Istituzionalizzarsi, volendolo, per il M5S non è difficile.

L’alternativa è sparire, o cadere nell’irrilevanza.

venerdì 23 maggio 2014

Detto in sintesi


La moneta erogata all’economia reale crea domanda. La domanda crea lavoro. Il lavoro crea prodotto. E il prodotto dà valore alla moneta.

Non è così solo se non c’è lavoro da mettere all’opera (cioè se l’economia è in situazione di pieno impiego). In quel caso, ma solo in quel caso, più moneta (erogata all’economia reale) crea inflazione.

 

Mi è stato fatto notare: ma allora stai dicendo che la moneta dà valore alla moneta ? giusta osservazione, ma non è una tautologia. La moneta dà valore alla moneta ma solo a due condizioni. Che sia erogata all’economia reale, e che ci siano risorse inattive da mettere al lavoro.

 

(comunicazione di servizio… lunedì 26 maggio siamo su Class CNBC, canale Sky 507, per commentare i risultati delle elezioni europee e i loro riflessi economici. Siamo, in quanto Giovanni Zibordi interverrà alle 12.30 e io alle 16. Buon voto a tutti !)

martedì 20 maggio 2014

Per chi fosse a Rimini giovedì 22 maggio...

...o avesse voglia / tempo / interesse a venire all'ITForum (Investment & Trading Forum), alle 18 Giovanni Zibordi e io presentiamo "La soluzione per l'euro".
 
Al Palacongressi di Rimini, qui i dettagli.

lunedì 19 maggio 2014

Le rivelazioni di Geithner ci aiutano ?


Da alcuni giorni si parla parecchio del recente libro di Tim Geithner, ex ministro del Tesoro USA, e in particolare delle sue affermazioni in merito a proposte a lui pervenute (nel 2011) da alti funzionari europei per collaborare a manovre finanziarie finalizzate a destabilizzare il governo Berlusconi.

Che la “crisi dello spread” sia stata uno strumento utilizzato per forzare il cambiamento del governo e delle politiche economiche italiane (e di altri paesi, vedi Grecia in particolare) in realtà è un fatto ormai incontrovertibile. La ricostruzione di Geithner arriva dopo quelle di Zapatero, Bini Smaghi, Tremonti, e in questo senso non rivela molto di nuovo.

C’è un elemento di particolare gravità, tuttavia, ed è l’indicazione che non si trattò (non esclusivamente, perlomeno) di sfruttare turbolenze di mercato: esisteva un piano preordinato per generarle e strumentalizzarle. Il piano di cui parla Geithner, a cui gli USA non hanno collaborato, ha tutta l’aria di essere stato comunque messo in atto, con governi ed istituzioni europee che hanno alimentato azioni speculative sui titoli di Stato dei paesi deboli dell’Eurozona.

Ora, una domanda che viene posta da parecchi commentatori è la seguente: c’è un motivo per cui Geithner rivela questi dettagli oggi ? le “rivelazioni” vanno considerate uno strumento che l’amministrazione USA sta utilizzando per fare pressione e stimolare cambiamenti nelle politiche economiche europee (o per essere più esatti, della UE e dell’Eurozona) ?

E’ la tipica domanda a cui è impossibile dare risposte molto affidabili. Mi limito a qualche considerazione.

Geithner è stato, ma non è più attualmente, una personalità di grande rilievo della prima amministrazione Obama.

Allora come oggi, gli USA non hanno mancato di lasciar trasparire la propria opinione critica nei confronti della gestione dell’Eurocrisi. Di fatto sono state costanti le “punzecchiature” e i segnali di insofferenza nei confronti della pretesa di risolvere i problemi eurozonici imponendo austerità e deflazione salariale ai paesi debitori.

Quello di Geithner è un segnale in più. Ma non mi pare un salto quantistico nei rapporti USA – Europa, o per essere più esatti USA – UE e USA – Germania.

Detto ancora più chiaramente: gli USA gradirebbero un mutamento di rotta nelle politiche di austerità europee. Vorrebbero un recupero di domanda e un ribilanciamento di saldi commerciali che stimoli l’economia mondiale e riduca la necessità, per loro, di fungere da “compratore di ultima istanza”. Sono convinti che l’atteggiamento tedesco sia dogmatico e controproducente.

Ma schierarsi non dico in termini espliciti, ma neppure in modo “sotterraneo”, a favore del break-up dell’euro – no, siamo lontanissimi da una cosa del genere, e non riesco a immaginare come e quando possa accadere. I timori di destabilizzazione dei mercati finanziari e delle economie per effetto di un break-up sono troppo elevati perché questo sia concepibile.

La dialettica USA – Germania continuerà a svilupparsi come in passato. Toni critici da oltreoceano, reazioni puntigliose e stizzite a Berlino. Una pressione larvata che può aiutare quantomeno a non rendere ancora più controproducenti e deleterie le politiche economiche dell’Eurozona. Magari a interpretare in senso non restrittivo la complicatissima formulazione del Fiscal Compact (a non applicarlo proprio, in pratica). A continuare a parlare di azioni della BCE (quantitative easing e varianti sul tema), che magari verranno anche attuate (ma serve a poco o a nulla).

Se abbiamo in mente il break-up dell’euro, però, non aspettiamoci i marines che sbarcano a Omaha Beach. Gli USA vogliono la ripresa economica dell’Eurozona. Vogliono la fine dell’austerità. Vogliono una soluzione stabile e permanente.

Ma non vogliono nessuna di queste cose più di quanto temano le deflagrazione dell’Eurozona.

Per avere il loro “benign neglect”, o magari anche il loro sostegno esplicito, la linea di azione deve essere un’altra.

La Riforma Morbida, per esempio…

sabato 17 maggio 2014

Video del convegno su Debito Pubblico e Fiscal Compact

Tenuto a Milano, sabato 10 maggio scorso, e organizzato da Lista Civica Italiana: qui di seguito il mio intervento.
 
L'immagine è un po' ballerina, ma l'audio è buono e penso / spero anche i contenuti... prima parte (30 minuti)...
 
 
 
e qui la conclusione (altri sei minuti circa).
 
 
 
 
 
 

venerdì 16 maggio 2014

Videoconferenza martedì 20.5 + ITForum Rimini

Ancora con molte scuse a chi si era collegato l'altra volta...
La videoconferenza prevista per il 6 maggio e rinviata per un problema tecnico (colpa del mio PC) è stata rifissata martedì 20 maggio sempre alle 21.00.
Qui tutti i dettagli. Si parla ovviamente di Riforma Morbida, di Certificati di Credito Fiscale e come l'eurocrisi può essere rapidamente superata, senza "spaccare" la moneta unica.
 
Per chi fosse in zona o della zona, stiamo preparando una presentazione (Giovanni Zibordi e io) del nostro libro, giovedì 22 maggio probabilmente alle 17.30 presso l'ITForum di Rimini. Se tutto è confermato vi do i dettagli entro pochi giorni.

martedì 13 maggio 2014

Lo spreco peggiore è la disoccupazione


Vi è mai capitato di sentirvi dire qualcosa del genere:

“Una spesa di 100 per produrre qualcosa che ne vale 80 è una perdita secca”.

Per un privato è vero, anzi è un’ovvietà. Ma per un sistema economico ?

Se si paga 100 per produrre qualcosa che vale 80, distogliendo risorse dal produrre qualcos’altro che vale 100, il sistema economico ha una perdita secca di 20.

Ma se si paga e si fa lavorare qualcuno che altrimenti rimarrebbe inattivo, il sistema economico ha un guadagno di 80…!

Il che non significa che non si debba prestare attenzione al tipo di spesa che si effettua. Naturalmente è meglio produrre qualcosa che vale 100 e non 80, ottenendo quindi il beneficio più alto possibile.

Questo, nel caso si tratti di spesa pubblica. Se la maggior spesa viene invece attivata da una diminuzione di imposte, quindi da maggior potere d’acquisto per i privati, sarà interesse di questi ultimi massimizzare il valore delle risorse finanziarie.

Lo stato non dovrà occuparsi più di tanto, in quest’ultimo caso, dell’efficienza della spesa: la preoccupazione sarà piuttosto l’equità di distribuzione delle risorse.

Ma in entrambi i casi, mettere al lavoro risorse inattive è un vantaggio per il sistema economico. Anche se la spesa non è la più efficiente possibile. Anche se l’allocazione non è la più equa possibile. La disoccupazione è lo spreco peggiore.

Vado un passo più in là: quando c’è disoccupazione massiccia, diventa utile anche la spesa “inutile”. Se compro carta da una cartiera che sta per fallire e ci faccio coriandoli, gli operai percepiscono un salario e lo usano per comprare cose UTILI – da loro scelte – che altrimenti non verrebbero prodotte !

Mettere al lavoro risorse altrimenti inattive è un investimento con rendimento infinito. Ottengo qualcosa in cambio di nulla. O meglio, in cambio di lavoro prestato da persone che non chiedono di meglio se non lavorare.

Vi preoccupa il debito ? finanziate la spesa con moneta di nuova emissione.

Vi preoccupa la rottura dell’euro ? emettete una forma di moneta parallela all’euro – il breakup non è necessario (qui sto parlando della Riforma Morbida, chiaramente).

Vi preoccupa l’inflazione ? se si mettono al lavoro risorse altrimenti inattive, la domanda e l’offerta aumentano nella stessa misura, e non c'è tensione sui prezzi.

L’equità e l’efficienza sono importanti, certo. Ma ridurre la disoccupazione, anche non nel modo più efficiente, anche non nel modo più equo, è infinitamente meglio che avere persone (e macchine) inattive.

venerdì 9 maggio 2014

CCF: prossimamente a San Marino

Si sta preparando (6 giugno prossimo) un evento di presentazione del libro, nella Repubblica del Titano e in collaborazione con Asset Banca. Anche uno stato di piccole dimensioni - ma dotato di sovranità fiscale, cioè della capacità di imporre e prelevare tasse - può acquisire sovranità monetaria e rilanciare la propria economia mediante i Certificati di Credito Fiscale. Qui di seguito in anteprima un ottimo articolo di presentazione, di prossima uscita su "Tribuna", il principale quotidiano sanmarinese.
 
 
Asset Banca inaugurerà a giugno un ciclo di incontri dal titolo ‘Pensare non nuoce’. Ad avviarlo sarà la presentazione di un libro che induce a interrogarsi sulla crescita, sulla regolamentazione necessaria, sul rapporto tra economia reale e finanza. Il volume ‘La soluzione per l’euro’ fa innanzitutto il punto sulla crisi: una crisi nella crisi, di cui non sempre si percepisce la dimensione e la profondità che in alcuni Paesi ha avuto ripercussioni più negative che in altri. E’ il caso dell’ Italia dove la crisi finanziaria si è via via trasformata in depressione economica vera e propria. Al capezzale del Belpaese sono così giunti consigli, indicazioni, direttive della troika che hanno imposto il rigore dei conti, il pareggio di bilancio, l’aumento delle imposte. Luogo comune nel tempo è diventata l’austerity, la soluzione auspicata da più parti per risolvere una crisi erroneamente sempre imputata al solo debito pubblico. Il principale compito del libro è allora la riabilitazione delle idee contro questo luogo comune. Enorme è stato infatti l’errore dei cosiddetti austeriani. E quel che è peggio è che le loro teorie di politica economica sono state messe in pratica con risultati disastrosi, mostrando i piedi d’argilla degli eroi intellettuali che si sono arrogati il diritto di dettare le proprie leggi in casa d’altri. Il vero limite alla crescita dell’Italia è a ben vedere rappresentato dalla pressione fiscale che in taluni casi raggiunge punte del 70%. Cruciale per crescere sarebbe allora tagliare, anziché aumentare come si è fatto sin qui, le tasse. Poi, per ridurre il peso degli interessi sul debito pubblico si potrebbe seguire quella che è una via tracciata dalle altre nazioni le quali, attraverso la stampa di moneta, ricomprano il loro debito comprimendo i tassi di interesse. Ma questo è possibile solo al di fuori dell’euro e l’Italia non può ovviamente permettersi una simile operazione. Che fare allora? Il libro illustra una soluzione fattibile da subito che il governo italiano potrebbe attuare pur rimanendo all’interno dei trattati europei, dunque in armonia con le leggi europee vigenti e senza uscire dall’euro. E’ la finanza, quella buona, quella geniale che, affidandosi alla forza dell’innovazione e a quella del pensiero, offre la soluzione. Messa a punto da due esperti, Cattaneo e Zibordi, la proposta contempla la creazione di 200 miliardi di euro da mettere subito in circolazione per aumentare la domanda, ridurre le tasse e rilanciare una volta e per tutte la crescita. Duecento miliardi sotto forma di certificati di credito fiscale, ovvero titoli di Stato aventi natura monetaria e non di debito. Lo Stato non dovrà rimborsare quei titoli ma bensì impegnarsi ad accettarli, a distanza di due anni, a fronte del pagamento di tasse, imposte, contributi previdenziali e sanitari, multe ecc.

Tali certificati verrebbero erogati a lavoratori e imprese proprio in sede di pagamento delle imposte. Gli stessi, in attesa di essere utilizzati di lì a due anni, potrebbero nel frattempo essere negoziati in anticipo e monetizzati mediante uno sconto di mercato.

 

L’economia ne trarrebbe un vantaggio notevole: da una parte in due anni avrebbe il tempo di ottenere un significativo recupero di Pil e dall’altra l’Italia si orienterebbe finalmente verso la riduzione del costo del lavoro tornando competitiva anche rispetto alla Germania.

Il libro invita dunque gli economisti puri a uscire dalle loro torri d’avorio e fare delle escursioni nel mondo reale. L’argomento lo rende insieme affascinante e degno di ammirazione. Ma c’è di più. In Italia c’è chi si è gettato anima, corpo e reputazione personale in difesa dei valori dell’austerity, qui a San Marino si potrebbe una volta tanto imboccare la direzione che va per l’appunto dalla parte opposta e mettere in pratica la dotta e lungimirante lezione dei certificati di credito fiscale.

mercoledì 7 maggio 2014

Il vincolo del debito: verità, equivoco o pretesto ?


Appunti per il convegno su debito pubblico e fiscal compact, organizzato da Lista Civica Italiana – Milano, 10 maggio 2014.

 

Ringrazio gli organizzatori per l’opportunità di intervenire su un tema di così pressante attualità, sul piano sia economico che (a quindici giorni di distanza dalle elezioni europee) politico.

Spesso il problema viene visto nei termini sintetizzati, per esempio, proprio dal comunicato stampa redatto da Lista Civica Italiana in merito all’evento odierno: “Il debito pubblico italiano ha superato i 2.000 miliardi di euro e la spesa per interessi annuale è dell’ordine di 90 miliardi di euro, oltre il 5% del PIL. Per fare un confronto, la spesa sanitaria in Italia è di poco superiore. La spesa per interessi è dunque un macigno che non permette allo stato di contenere la pressione fiscale e di aiutare soprattutto le fasce di popolazione più colpite dalla crisi, come i giovani e le giovani famiglie”.

Ma è veramente così ?

In realtà, se l’Italia non torna a dotarsi degli strumenti per incrementare i livelli di domanda e per ripristinare le potenzialità della sua economia, anche azioni di stralcio del debito e della spesa per interessi non ci farebbero uscire dalla crisi.

Immaginiamo per esempio che l’Italia dimezzi gli interessi pagati sul suo debito pubblico. La spesa annua passerebbe da 90 a 45 miliardi di euro. Ma per più di metà questa minore spesa si tradurrebbe in minori redditi percepiti da residenti italiani.

Il vantaggio per il sistema economico nazionale sarebbe quindi riferibile solo alla componente della spesa per interessi pagata a soggetti esteri. Quindi circa 20 miliardi di euro annui, ipotizzando peraltro che le controparti estere non mettano in atto azioni di rivalsa verso beni o interessi italiani all’estero (che, al contrario, non sarebbero affatto da escludere).

La soluzione della crisi non richiede, in realtà, la riduzione del debito pubblico e della relativa spesa per interessi. Non c’è alcun motivo per cui la presenza di un debito pubblico relativamente elevato in rapporto al PIL (ma non molto più rispetto alle medie europee o agli USA, e inferiore a quello giapponese) debba impedire all’Italia di mettere al lavoro le sue risorse produttive, di riassorbire tutta la disoccupazione che si è creata dal 2008 in poi, di sviluppare politiche economiche che promuovano opportunità, coesione sociale, incremento dei redditi e maggiore equità nella loro distribuzione.

Nel 2008 si è verificato un grave fenomeno di dissesto nei mercati finanziari internazionali, culminato nel fallimento Lehman Brothers. E’ scoppiata una grossa bolla speculativa nel settore immobiliare e nel mercato del credito, si sono improvvisamente arrestati ordini alle aziende, produzione e consumi, e l’attività economica ha subito una pesante flessione in tutte le principali economie mondiali.

Le organizzazioni finanziarie e bancarie i cui comportamenti sono stati all’origine del dissesto includono molte istituzioni statunitense, inglesi, francesi, tedesche, svizzere. Non italiane. E infatti, rispetto a quanto avvenuto all’estero, gli interventi di salvataggio del sistema creditizio da noi non sono stati necessari, se non per importi minimi rispetto a quelli, enormi, che si sono verificati altrove.

Tra il 2009 e il 2010, i governi e le banche centrali hanno attuato azioni di sostegno dell’economia, di dimensione sufficiente a tamponare gli effetti dalla crisi ma non a produrre un completo recupero. Queste azioni sono state ridotte o interrotte in modo prematuro, sulla base della motivazione erronea che sostenere la domanda e immettere liquidità nelle economie avrebbe prima o poi causato l’aumento dei tassi d’interesse e dell’inflazione. La domanda globale e la disoccupazione erano, al contrario, su livelli tali da impedire la concretizzazione di questi rischi.

In Europa o per essere più precisi nell’Eurozona, in una situazione economica ancora convalescente, la crisi è entrata in una seconda fase durante il 2011, a causa di tensioni legate ai meccanismi di funzionamento (o di non funzionamento) della moneta unica europea.

L’utilizzo di una stessa moneta in un’area economica disomogenea, da parte di stati diversi, crea un rischio che molti economisti avevano (peraltro) chiaramente identificato parecchi anni prima dell’introduzione dell’euro. Le dinamiche delle varie economie, riguardo a vari parametri tra cui inflazione e costo del lavoro per unità di prodotto, sono difformi. Dopo alcuni anni, la moneta finisce per essere troppo debole per alcuni paesi (principalmente la Germania) e troppo forte per altri (soprattutto l’Europa mediterranea).

Questa situazione ha prodotto grossi attivi commerciali, pari al 6-7% annuo del PIL, in Germania, il cui contraltare per molti anni è stato l’accumulo di deficit di pari importo e segno contrario nel Sud dell’Eurozona.

Grazie ai surplus commerciali, nel 2011 la Germania aveva recuperato i danni prodotti all’occupazione dalla crisi del 2008. Ma nello stesso tempo i paesi mediterranei avevano raggiunto un deficit di competitività tale da far temere per la solvibilità dei loro debiti, e di conseguenza anche per la tenuta della moneta unica europea.

La diagnosi del problema e le azioni di “risanamento” messe in atto sono state completamente sbagliate. Il Sud dell’Eurozona soffriva dell’effetto combinato di una carenza di domanda e di un deficit di competitività. Si è preteso invece di risolvere il problema con azioni di contenimento dei deficit pubblici, nonché riducendo le retribuzioni e rendendo i rapporti di lavoro più “flessibili”, vale a dire più precari.

Il risultato è stato il crollo di consumi, produzione e PIL, con il risultato che il rapporto tra debito pubblico e PIL dei vari paesi è schizzato verso l’alto invece di ridursi.

La soluzione corretta della crisi non è di attuare azioni di contenimento dei deficit. Occorre invece rilanciare domanda, produzione, consumi e occupazione. Non pretendere di abbassare il numeratore del rapporto, ma alzare il denominatore.

I vincoli imposti dall’Unione Europea e dalla BCE, su cui naturalmente esercita una forte influenza la Germania, continuano invece a comprimere i livelli di attività dell’economia italiana molto al di sotto del loro potenziale, in misura stimabile in non meno del 20%.

I vincoli (3% deficit / PIL, fiscal compact) sono stati introdotti per calmare, in qualche modo, le ansie dei creditori, individuando un percorso di contenimento del debito. Ma i tentativi di rispettarli sono in realtà, anche a questi fini, controproducenti, in quanto producono la caduta dei livelli di attività economica. Dopo quasi tre anni di austerità, il debito pubblico italiano è nettamente più alto (circa quindici punti in più in rapporto al PIL). E nello stesso tempo sono crollati redditi e consumi, è esplosa la disoccupazione, si sono moltiplicati i fallimenti di aziende, il disagio sociale peggiora di giorno in giorno.

Tutto questo è inevitabile ? assolutamente no. E’ possibile adottare politiche che tutelino gli interessi dei creditori ma nello stesso tempo riportino l’Italia ad esprimere pienamente il suo potenziale economico, che è ben superiore a quanto espresso dai dati odierni.

Il progetto di riforma su cui sto lavorando da più di un anno prevede di introdurre, in Italia e nei vari paesi oggi in difficoltà dell’Eurozona, una forma di moneta complementare (i Certificati di Credito Fiscale), da emettere da parte dello Stato, attribuendola senza corrispettivo a una pluralità di soggetti.

I Certificati di Credito Fiscale sono moneta, in quanto verranno illimitatamente accettati (a scadenze predeterminate) dallo Stato emittente per pagare tasse e imposte e per onorare qualsiasi altra obbligazione finanziaria nei confronti dello Stato medesimo. Non sono debito in quanto non c’è impegno da parte dell’emittente a rimborsarli in euro.

I Certificati di Credito Fiscale verranno attribuiti ai lavoratori per integrare il loro reddito, alle aziende per diminuire i loro costi, e potranno essere utilizzati anche per finalità di interesse pubblico o sociale.

Aziende, lavoratori e pubbliche amministrazioni entreranno quindi in possesso dei mezzi finanziari necessari a risollevare la domanda e l’occupazione, assicurando peraltro la riduzione dei costi di lavoro effettivi delle aziende necessaria ad evitare che il recupero del PIL crei squilibri nei saldi commerciali esteri.

Il debito pubblico italiano espresso in euro – il vero debito pubblico, in altri termini – diminuirà in rapporto al PIL. Inoltre, ulteriori emissioni di Certificati di Credito Fiscale a varie scadenze potranno essere effettuate per rifinanziare il debito in euro via via che giunge a scadenza. La riduzione dell’effettivo rapporto debito / PIL potrà quindi essere ancora più veloce.

L’uscita dell’economia italiana dalla morsa del debito passa attraverso questa forma di intervento: introduzione di una forma di sovranità monetaria che consente al paese di espandere la domanda quando necessario e nella misura opportuna, e di finanziarsi, in buona sostanza, emettendo moneta – e non debito da rimborsare in una valuta di cui lo Stato non controlla l’emissione.

Tutto questo è possibile, secondo le linee sopra accennate, senza passare tramite la “spaccatura” dell’euro (una via percorribile, ma complicata e inefficiente).

Ritornare in possesso della propria sovranità monetaria permette all’Italia di mobilitare risorse di un ordine di grandezza stimabile in 200 miliardi annui, che “pagano” il recupero di occupazione e di produzione corrispondente, in buona sostanza, alla mobilitazione di risorse produttive oggi inattive.

Il debito non è un vincolo di per sé. Per incompetenza o pretestuosamente (un misto delle due cose, ritengo) il debito è, sì, in qualche modo all’origine della crisi economica italiana. Ma solo perché, senza una reale motivazione tecnica, è stato addotto come giustificazione di politiche economiche che stanno affossando la nostra economia. Da questa situazione assurda possiamo uscire, subito.