mercoledì 20 settembre 2023

Il debito pubblico: un “problema” inventato e strumentalizzato

 

E’ perfettamente normale che uno Stato immetta risorse finanziarie nell’economia: se il PIL cresce, in termini reali e ancora di più nominali (dato che un minimo d’inflazione è fisiologico) il potere d’acquisto in circolazione DEVE aumentare.

L’aumento dei mezzi di pagamento proviene sostanzialmente da tre vie: il deficit pubblico, l’espansione del credito privato e il surplus della bilancia dei pagamenti.

Il surplus della bilancia dei pagamenti è una via che può funzionare per alcuni paesi ma solo a condizione che siano in deficit altri. Quindi non è una strada stabilmente e armoniosamente percorribile da tutti.

L’espansione del credito privato significa che aumenta il debito di cittadini e aziende con il sistema finanziario. Se si fa affidamento solo su questa via, il sistema diventa instabile perché si formano bolle di credito che possono di colpo esplodere. Il credito privato è prociclico: cresce nei periodi buoni e rischia di inflazionare il sistema, cala in quelli cattivi e rischia di trasformare un rallentamento ciclico dell’economia in una depressione.

Il deficit pubblico svolge quindi una funzione INDISPENSABILE. Mediamente il bilancio pubblico deve essere in deficit: poco quando l’economia è forte, molto quando è debole, ma mediamente deve esistere una creazione di mezzi finanziari attuata dal settore pubblico.

Il surplus di bilancio pubblico è un’anomalia: può esistere quando l’economia è molto più forte del normale. Oppure perché un paese sta generando fortissime eccedenze commerciali (ma allora altri devono essere in deficit). Ma la normalità è il deficit pubblico, non il surplus.

Inoltre, per ragioni squisitamente contabili, il deficit pubblico genera risparmio privato. Se lo Stato spende più di quanto preleva in tasse, il settore privato riceve più soldi di quante tasse paga. Si ritrova quindi con un’eccedenza finanziaria.

Fin qui si è parlato di deficit. Il debito pubblico non è altro che un’offerta di strumenti finanziari in cui il settore privato può investire per impiegare il risparmio che si forma per effetto del deficit pubblico. Strumenti finanziari che se sono garantiti dall’emittente della moneta, non hanno rischio di insolvenza e possono offrire una modesta ma sicura remunerazione. E sono una forma di detenzione della ricchezza privata.

E’ una MENZOGNA che il debito pubblico sia un problema, che sia “virtuoso” contenerlo, che sia un “onere in capo alle future generazioni”.

Nessuno estingue il debito pubblico, anzi il debito pubblico cresce con lo sviluppo dell’economia. Il debito pubblico non si estingue ma si rifinanzia costantemente. E il rischio di non riuscire a rifinanziarlo è inesistente se il debito è da rimborsare nella moneta emessa e gestita dallo Stato.

 

venerdì 15 settembre 2023

Consigli a me stesso

 

Lavoro da 38 anni, periodo durante il quale ho accumulato parecchie soddisfazioni e un congruo numero di errori. Il che dovrebbe avermi insegnato qualcosa.

Ogni tanto si vede formulare la domanda “che cosa diresti al te stesso di x anni fa se gli potessi parlare”. E provare a rispondere per qualche motivo mi è parso interessante, anche se ovviamente il canale di comunicazione con il me stesso più giovane nella realtà non esiste.

Ma tutto sommato non è neanche un esercizio sterile. Potrebbe essere utile a qualcun altro. Ma in definitiva anche a me. Dubito di avere ancora 38 anni di lavoro davanti a me (arriverei a 99) ma 19 chissà forse sì.

Per cui, ecco il mio catalogo di buoni consigli (riferiti alla dimensione professionale della vita)…

Non essere mai presuntuoso. Se sei bravo a fare qualcosa, sicuramente ci sono altri che sono più bravi di te a farne altre. Se anche fossi il più bravo del mondo a fare quella che è la tua specialità, senz’altro non lo sei in altri campi, che ti sono altrettanto necessari. O magari (probabilmente) di più.

Non essere mai presuntuoso ma nello stesso tempo continua a credere nelle tue capacità. Troverai sempre qualcuno che le vorrà sminuire. Non lasciarglielo fare.

Ascolta molto. Altri conoscono meglio di te cose che ti è necessario capire. O hanno punti di vista diversi dai tuoi, che sono indispensabili anche per comprendere cose che sulla carta conosci meglio di loro.

Dopo che hai ascoltato, decidi: senza presumere che il tuo punto di vista sia necessariamente giusto perché è il tuo. Ma neanche che non lo sia. Esercita la massima oggettività che ti è possibile.

La grande maggioranza delle persone sono, con i loro difetti, persone per bene. Una minoranza, per fortuna piccola, è composta da individui oscuri: invidiosi, manipolativi, addirittura sadici e psicopatici. Gli individui oscuri sono gli individui veramente pericolosi.

Sii sempre grato per le opportunità che ti vengono prospettate, anche quando decidi di non perseguirle.

Immedesimati nei problemi degli altri e aiutali a risolverli, non a crearli.

Se una via si apre, più ampia è e meglio è, anche se al momento non ti sembra quella ideale.

La tecnica è fondamentale ma a un “certo livello” ce l’hanno tutti. E’ un prerequisito. E’ necessaria ma non sufficiente. Raggiunto quel “certo livello”, diventa decisiva la psicologia.

Evita i dirizzoni (come li chiamano in Toscana). Non entrare in collisione con qualcuno solo perché epidermicamente non ti va a genio. Chiediti se è un individuo oscuro. Se non lo è, vale sempre la pena di collaborarci costruttivamente, anche se a pelle non ti riesce la persona più simpatica del mondo.

Se percepisci un problema parlane. Molte situazioni negative nascono dal non voler mettere sul tavolo disagi che si risolvono senza difficoltà con un dialogo sereno.

Quando hai successo, quando le cose vanno bene, ricordati che FORSE sei stato bravo ma SICURAMENTE hai beneficiato di circostanze favorevoli. Che senz’altro a un certo punto cambieranno.

…e di tanto in tanto, tipo una volta al mese…

…rileggiti la lista e chiediti quale di questi consigli ti stai dimenticando di mettere in atto. Perché magari ti sembrano cose ovvie e in un certo senso lo sono. Ma non è affatto da escludere che tu stia commettendo uno o più di quegli errori senza minimamente rendertene conto. Fino a quando non ne subisci un danno. Quindi rileggi la lista e poniti la domanda. E non esitare a correggere il tiro se capisci che stai andando fuori strada.

 

mercoledì 13 settembre 2023

Extraprofitti bancari e moneta fiscale

 

Non ho capito che fine sta facendo la sovrattassa sugli extraprofitti bancari, che al momento del suo annuncio ha suscitato alti lai da parte di vari commentatori secondo i quali aumentare le tasse è sempre necessario e doveroso se a pagare sono ceti disagiati e classe media, mentre se tocchi le banche succedono chissà quali cataclismi.

C’è comunque una proposta di Antonio Tajani di Forza Italia che merita un minimo di riflessione. Consiste nell’applicare la sovrattassa offrendo però alle banche una compensazione sotto forma di crediti fiscali utilizzabili negli esercizi successivi.

In altri termini: prelevo euro in cambio di moneta fiscale.

L’idea è assolutamente sensata, per ragioni che probabilmente a Tajani non sono (strano ma vero) del tutto chiare.

L’idea è sensata perché riduce, a parità di condizioni, il debito pubblico in euro in cambio dell’emissione di un titolo (il credito fiscale) che non è debito (come riconosciuto da Eurostat, cioè dalla UE) e non deve essere rimborsato cash.

E può essere uno strumento di politica economica utilizzabile in modo permanente. Non solo per ridurre l’impatto della tassazione ma anche per effettuare politiche di spesa e di investimento.

Condizione per la sua efficacia è che non si mettano in circolazione così tanti diritti di sconto fiscale da rendere in pratica difficile utilizzarli tutti. Ma tenuto conto che le entrate totali della pubblica amministrazione italiana si aggirano intorno ai 900 miliardi annui, lo spazio d’azione è enorme.

Stiamo parlando, in pratica, del progetto Moneta Fiscale. La via più rapida e sicura per risolvere le disfunzioni dell’eurosistema e per rilanciare l’economia italiana.

venerdì 8 settembre 2023

Ai BRICS non serve una moneta unica

 

Ultimamente se ne parla spesso. Dato il peso che i BRICS hanno ormai assunto nell’economia mondiale – peso che continuerà a crescere – “ovviamente” è per loro importante sviluppare una moneta alternativa al dollaro, per affrancarsi dai vincoli imposti dall’esistenza di una valuta dominante: valuta che è il perno del sistema finanziario internazionale.

Un processo ineluttabile, un evento certo nel prossimo futuro.

O no ?

No.

Le unioni monetarie hanno danno innumerevoli prove di essere fallimentari, e di questo l’euro disgraziatamente è l’esempio più recente e con ogni probabilità più deleterio.

L’ultima cosa che serve ai BRICS è replicare i disastri passati.

L’emancipazione dal dollaro avverrà, ma gradualmente e senza bisogno di utilizzare nulla di diverso dalle monete nazionali.

Semplicemente i BRICS sempre di più commerceranno nelle loro monete. Si scambieranno beni e servizi regolando i conti nella valuta di una delle due parti in causa, oppure nella valuta del paese più importante del blocco.

Affrancarsi dal dollaro è importante perché gli USA hanno dimostrato la volontà di utilizzarlo come strumento per imporre sanzioni e (vedi il caso della Russia dopo l’inizio della guerra ucraina) confische.

Ma le monete uniche sovranazionali non hanno nessuna necessità di esistere, e nessuna utilità.

Certo, un altro paese potrebbe assumere, nell’ambito BRICS, lo stesso ruolo e la stessa capacità di ricatto che gli USA esercitano con il dollaro. Il principale indiziato per assumere questa posizione è ovviamente la Cina.

Ma allora la Cina assumerebbe anche un ruolo dominante nella gestione dell’ipotetica moneta comune. E gli altri paesi del blocco non avrebbero quindi nessun vantaggio dall’unione monetaria BRICS, mentre ne subirebbero i potenziali danni (impossibilità di svalutare, debito pubblico in moneta straniera, condizionamenti nella gestione della propria politica economica).

Le unioni monetarie non sono una buona idea. E la moneta unica BRICS, se mai se ne creasse una, non farebbe eccezione.

martedì 5 settembre 2023

Circolazione dei crediti fiscali: ha fatto danno ??

 

Quattro giorni dopo la pubblicazione, e la circolazione via social networks, del mio penultimo post, non ho ricevuto nessuna risposta alla mia domanda: perché si sostiene, da parte di certi esponenti politici, di certi economisti, di certi giornalisti, che la circolazione dei crediti fiscali abbia fatto danni, e che quindi sia stato giusto bloccarla ?

L’unica argomentazione con una qualche parvenza di logica è di tipo del tutto indiretto: chi pensa che i crediti fiscali abbiano alimentato frodi (ma non è accaduto dove i controlli erano adeguati, vedi Superbonus 110) e che l’impatto macroeconomico sia stato negativo (ma le argomentazioni a sostegno sono incoerenti) afferma anche che il fenomeno è stato accentuato dal successo dell’incentivazione.

Successo nel senso che i crediti a libera circolazione sono stati accolti con entusiasmo, e quindi l’incentivo è stato utilizzato molto più del previsto.

Ma questa non è un’argomentazione contro la libera circolazione. Se si pensa che i crediti fiscali siano una cattiva idea, non è la libera circolazione che li rende tali. Se si pensa che siano stati emessi in misura eccessiva, l’intervento corretto è porre un limite massimo alle emissioni annue o alle emissioni totali, non bloccare o insabbiare la circolazione.

In realtà i crediti fiscali per interventi immobiliari continuano a essere emessi: evidentemente il governo NON pensa che siano uno strumento sbagliato.

Lo strumento esiste ancora ma sono in essere i blocchi alla circolazione, il che produce due effetti, entrambi perversi:

PRIMO, rende lo strumento regressivo, perché i benestanti (fiscalmente capienti) possono utilizzare il credito fiscale senza bisogno di cederlo, i soggetti economicamente più deboli (fiscalmente incapienti) no.

SECONDO, crea un mare di guai a chi ha ottenuto gli incentivi ed effettuato gli interventi di ristrutturazione facendo conto sulla possibilità di cedere il credito, e a moltissime aziende che hanno effettuati i lavori e ora rischiano di non essere pagate.

La libera circolazione rende ENORMEMENTE EFFICACI i crediti fiscali. Poi si può discutere sulla dimensione delle emissioni. Si può discutere sulla destinazione degli incentivi. Ma NON c’è alcuna ragione per sostenere che la circolazione debba essere bloccata o insabbiata.

 

domenica 3 settembre 2023

Il non debito pubblico

 

Un passo enorme verso la soluzione di tanti problemi dell’economia consiste, o consisterebbe, nel far capire che il cosiddetto debito pubblico non è altro che una forma di emissione monetaria.

Lo Stato mette in circolazione potere d’acquisto nell’economia spendendo, e lo toglie tassando. Del tutto normale, in un’economia che cresce in termini reali e ancor di più nominali, è che la spesa dello Stato ecceda le tasse, quindi che esista un deficit pubblico. Perché in un’economia in crescita, il potere d’acquisto in circolazione deve aumentare: ed è proprio il deficit dello Stato la fonte principale, e più stabile, di questo incremento.

Normale è anche che ai risparmiatori venga offerta un’opportunità di investimento a basso rischio dei soldi che il deficit pubblico lascia in mano al settore privato.

Questa opportunità d’investimento è il cosiddetto debito pubblico. Un deposito del settore privato presso il Tesoro nazionale. Non qualcosa che lo Stato debba reperire presso i mercati finanziari, soggiacendo alle sue condizioni, alle sue logiche e (spesso) alle sue irrazionalità speculative.

Deficit e debito possono creare, in determinate situazioni, problemi di inflazione e di stabilità monetaria. Più esattamente, può crearli il loro eccesso. Ma possono anche essere un freno allo sviluppo dell’economia se sono troppo scarsi rispetto a quanto appropriato.

Completamente assurdo, sul piano tecnico, logico, economico, è che deficit e debito debbano essere calmierati non per problemi di stabilità monetaria, ma di solvibilità.

Che il settore pubblico possa avere problemi di solvibilità è la conseguenza di una menzogna, ovvero di un sistema costruito in modo disfunzionale. Come l’eurosistema.

 

venerdì 1 settembre 2023

Una domanda sulla circolazione dei crediti fiscali

 

Sento ripetere (e sono ormai quasi due anni) da vari illustri soggetti tra i quali Mario Draghi, Daniele Franco, Giancarlo Giorgetti, Luigi Marattin, che il problema fondamentale dei crediti fiscali immobiliari è stato averli introdotti con un regime di libera circolazione.

Questa affermazione è ripresa da commentatori e media vari come se fosse una verità accertata e incontrovertibile, per non dire un’ovvietà.

A me invece ne sfugge completamente il supporto logico. Se ci sono state frodi (e ce ne sono state parecchie dove i controlli erano carenti o inesistenti: sul bonus facciate e sull’ecobonus, non sul superbonus 110) questo è dovuto, appunto, a problemi relativi all’erogazione in assenza di verifiche e asseverazioni. NON alla libera circolazione.

Formulo quindi una domanda semplice e candida e ringrazio in anticipo chi mi saprà rispondere.

Mi sapete citare un’argomentazione (o più di una, beninteso) a supporto del concetto che

“la libera circolazione dei crediti fiscali ha creato problemi” ?

domenica 27 agosto 2023

Le basse retribuzioni delle PMI ??

 

Rimane, chissà perché, molto folta la compagine di economisti, politici, commentatori economici (da bar ma anche no) convinti che uno dei problemi dell’Italia sia la bassa dimensione media delle aziende, e che si risolverebbe chissà che cosa con provvedimenti tipo incentivi alle aggregazioni.

Tempo fa avevo debunkato l’argomentazione riguardante la bassa produttività del lavoro delle microaziende. Vedi qui: la bassa produttività del lavoro si accompagna a un’alta produttività del capitale investito, e dipende dal fatto che le PMI sono tipicamente poco capital intensive. Se hai bisogno di molto capitale fisico per operare, naturalmente la tua produttività del lavoro deve essere elevata (se no chiudi), ma hai anche spese elevate per investimenti e manutenzione degli impianti, quindi non è affatto detto che il tuo modello d’impresa sia più efficace e più sostenibile.

Però comunque le grandi aziende pagano meglio delle piccole. Si dice. Ma è vero ?

Pochi giorni fa vedo circolare su LinkedIn questi dati (fonte non citata, ma non ho ragione di dubitare della loro affidabilità) secondo i quali le micro- e piccole aziende pagano effettivamente retribuzioni più basse della media. Per cui comunque la crescita di scala resta un obiettivo da perseguire. No ?


No. Sicuramente non sulla base di quei dati.

La tabella indica, ad esempio, che il costo del lavoro medio per le aziende sotto i dieci dipendenti è 25.000 euro all’anno, ben al di sotto della media nazionale di 36.800.

Non è però messo in evidenza un dettaglio, tutt’altro che irrilevante. L’azienda sotto i dieci dipendenti è, evidentemente, un piccolo esercizio commerciale o artigianale. Dove il titolare lavora fianco a fianco dei dipendenti, ma non è un dipendente. Percepisce il suo reddito come lavoratore autonomo, o come amministratore, o magari come detentore delle quote di capitale.

Prendiamo ad esempio un’ipotetica aziendina con cinque dipendenti, che lavorano fianco a fianco con, e alle dipendenze del, titolare. I cinque percepiscono 25.000 euro lordi, il titolare (che ha avviato l’azienda, che si assume il rischio di impresa, che in genere è più avanti di età e più esperto) si paga 100.000 euro lordi di emolumenti da amministratore.

Il costo del lavoro VERO è 25.000 x 5 + 100.000 = 225.000 cioè 37.500 euro a persona. E la differenza rispetto alla media nazionale di 36.800 sparisce.

Un esempio irrealistico o comunque ipotetico ? ve ne faccio un altro concreto. Sto negoziando la possibile acquisizione di una piccola ma florida azienda meccanica, con 24 dipendenti e un costo del lavoro totale (nel 2022) di 1.200.000 euro all’anno. Il costo del lavoro per dipendente qui è sopra la media, l’azienda del resto impiega un buon numero di tecnici specializzati: 50.000 euro.

Ma quest’ultimo dato è una sottostima perché nell’azienda opera anche il titolare, che si paga la bellezza di 500.000 di emolumenti annui nonché 1.200.000 di dividendi.

Fare la media mettendo nel conto tutto ciò che percepisce il titolare non sarebbe corretto. Questa comincia a essere un’azienda strutturata, che ha effettuato investimenti, che ha un valore a prescindere da chi la conduce. Tanto è vero che, in vista della possibile cessione, si è già definito di assumere un direttore generale che prenderà le funzioni dell’attuale titolare.

E il manager entrante non percepirà, naturalmente, 500.000 euro all’anno né tantomeno 1.200.000 o 1.700.000. Sarà un dipendente, non un azionista. Ma un dipendente altamente qualificato e specializzato, con una retribuzione lorda annua di 250.000 euro.

Il che significa che non avremo più un monte retribuzioni di 1.200.000 per 24 persone, ma di 1.450.000 per 25. E “come per magia” la media salirà da 50.000 a 58.000.

Cosa ci dice tutto questo ?

Che bisogna interpretare i dati e non prendere una tabella come un oracolo, senza riflettere sulla realtà sottostante. La grande maggioranza delle aziende sotto i 50 dipendenti, ma anche moltissime di quelle tra i 50 e i 250, hanno pochi o nessun dirigente perché le funzioni manageriali sono svolte dai titolari (che spesso sono più di una persona, e magari comprendono membri della stessa famiglia).

E i titolari abbassano la media del costo del lavoro per dipendente perché… non sono dipendenti.

La crescita implica migliori retribuzioni per i dipendenti ? sì, ma non perché le aziende “si concentrano”. Implica migliori retribuzioni se l’economia è in pieno impiego, se la domanda è tonica, se le aziende (grandi e piccole) sono incentivate a competere per assicurare buone condizioni ai lavoratori.

Non è il modello PMI italiano che è diventato obsoleto. L’economia italiana è andata in crisi perché da un quarto di secolo sta facendo austerità per cercare di risolvere (senza riuscirci) un problema inventato (il debito pubblico, che lasciandolo in lire problema non sarebbe mai stato). E perché usa una moneta straniera, sopravvalutata per i propri fondamentali.

Ma a chi ha sostenuto la demenziale decisione di entrare nell’euro e di aderire ai trattati europei, naturalmente, i capri espiatori fanno comodo. E le PMI sono uno dei capri espiatori preferiti.

mercoledì 23 agosto 2023

Non preoccupatevi per la Cina

 Durante lo scorso weekend, i giornaloni erano pieni di titoli allarmati e allarmistici in merito alla crisi immobiliare cinese, al presunto fallimento del loro modello di sviluppo, ai rischi di contagio per l'economia mondiale eccetera.

Avevo in mente di scrivere un post per smentire le Cassandre, ma mi sono poi accordo che Michele Geraci mi aveva preceduto, e non faccio quindi altro che citarlo.


Tweet del 19.8.2023, ore 13.01.

Aggiungo solo che il punto fondamentale a mio avviso è l'ultimo, e naturalmente la moneta unica, per quanto ci riguarda (cioè per quanto riguarda l'Italia) è una parte sostanziale e sostanziosa del problema.


mercoledì 16 agosto 2023

Il rendimento del debito pubblico

 

Il rendimento del (cosiddetto) debito pubblico DEVE essere fissato dalle autorità governative, in quanto si tratta di una forma, una tra le varie, di destinazione della spesa pubblica.

La normalità, per uno Stato, è avere conti pubblici in deficit, cioè immettere nell’economia più potere d’acquisto di quanto ne venga prelevato con le tasse.

Il deficit pubblico si trasforma, centesimo per centesimo, in risparmio privato, quindi in risparmio di aziende e cittadini residenti nel paese (se non ci sono variazioni nei conti con l’estero).

A questo risparmio può essere garantita una remunerazione: questa è la funzione del debito pubblico. La remunerazione è una destinazione della spesa pubblica, e compete allo Stato stabilire se debba essere più o meno alta, se debba essere fissa o variabile, se debba essere proposta a livelli differenziati in funzione di una scadenza temporale del risparmio investito in passività del Tesoro, eccetera.

La remunerazione garantita al risparmio è quindi una decisione politica. Come è una decisione politica quanti soldi destinare alla sanità, alla pubblica istruzione, agli investimenti in infrastrutture, all’ordine pubblico, eccetera.

Uno Stato CHE EMETTE LA PROPRIA MONETA può E DEVE definire la remunerazione del debito pubblico in funzione di scelte politiche, tenendo naturalmente in conto (tra gli altri) obiettivi di massimizzazione dell’occupazione, di stabilità monetaria, di equilibrio nei conti con l’estero.

NON deve lasciare che la remunerazione del debito pubblico venga definita dagli operatori di mercato e dai loro comportamenti, spesso speculativi e non necessariamente razionali. E comunque disallineati rispetto alle necessità del paese. Non perché gli operatori di mercato siano “cattivi”, ma perché soddisfare le necessità del paese non è il loro obiettivo.

 

mercoledì 9 agosto 2023

Banche ed extraprofitti

 

Non so se la sovrattassa sugli extraprofitti bancari sia una buona o una cattiva mossa. Non ho ancora abbastanza dettagli. D’istinto sono scettico sulle proposte di nuove tasse. E sono invece molto più in linea con il concetto che sarebbe meglio rendere il sistema bancario più competitivo.

Motivo ? le banche stanno generando grossi utili perché i tassi d’interesse sono saliti rispetto al livello zero o giù di lì degli ultimi anni: senza che questo incremento sia stato condiviso con i depositanti. Sui conti correnti e sui depositi le banche continuano a pagare zero o zero virgola.

In passato, negli anni della lira, le cose non funzionavano così. E la domanda che mi pongo, ma me la ponevo anche prima, è la seguente: la cosiddetta “Europa”, cioè la UE, afferma che l’economia deve diventare il più concorrenziale e competitiva possibile. Fortemente competitiva.

Ma la cosiddetta “Europa”, in questo caso l’ente di riferimento che è la BCE, nello stesso tempo dice, in effetti da parecchio tempo, che le banche sono troppe e che bisogna stimolare il sistema bancario a concentrarsi, a ridurre il numero degli operatori.

Il che in effetti è avvenuto e il risultato lo stiamo vedendo. I benefici dell’incremento dei tassi non vengono condivisi con i risparmiatori. La concentrazione crea una rendita di posizione oligopolistica.

La motivazione di questa difformità di comportamento sarebbe interessante che qualche autorità UE / BCE, o anche solo qualche commentatore euroentusiasta (ce ne sono parecchi) la spiegasse. Perché spiegazioni non ne ho mai sentite, e francamente non riesco a ipotizzarne nessuna.

mercoledì 2 agosto 2023

Più spesa, più reddito ?!

 

Ogni tanto leggo commenti di euroausterici vari & assortiti che manifestano stupore (quanto va bene) o sbeffeggiano (più spesso) l’affermazione che a livello macroeconomico un incremento di spesa, o meglio di deficit, pubblico, equivale a un incremento di reddito privato.

Uno di loro definiva questo concetto una macchina del moto perpetuo. In altri termini: un’assurdità, un’insensatezza.

In realtà non solo è vero, ma è addirittura elementare.

Il deficit pubblico è immissione di potere d’acquisto nel settore privato dell’economia. Se lo Stato spende più di quanto tassa, il settore privato incassa più di quanto paga. Incrementa il suo reddito disponibile e il suo risparmio.

Naturalmente, se l’incremento di deficit pubblico si accompagna a un peggioramento di saldi commerciali con l’estero, l’incremento di reddito e di risparmio va a beneficio (parzialmente o totalmente) del settore privato ESTERO, non di quello nazionale. Ma sempre di settore privato si tratta. E se non c’è beneficio per il paese, è per un problema di deficit estero, non di deficit pubblico.

Ma allora basta stampare per arricchire qualcuno ? è questa la (presunta) implicazione che gli euroausterici trovano ridicola.

Invece non c’è nulla di ridicolo. Il deficit pubblico aumenta il reddito NOMINALE a disposizione del settore privato.

L’incremento del reddito nominale corrisponde a un incremento del reddito REALE se la maggiore capacità di spesa alimenta maggiore produzione di beni e servizi, come è altamente probabile nel momento in cui c’è un consistente sottoutilizzo di risorse produttive (manodopera e capacità produttiva delle aziende).

Diversamente, se l’incremento di reddito nominale non si accompagna a maggiore produzione, a crescere sono i prezzi. Quindi il reddito nominale aumenta ma il reddito reale no.

Ragionando su questi concetti si comprende quanto sia stata scellerata l’austerità imposta dalle euroregole a vari paesi dell’Eurozona, e purtroppo per noi in particolare all’Italia, tra il 2011 e il 2019. Sforzi di contenimento del deficit pubblico in anni in cui il PIL era decisamente al di sotto del suo potenziale e l’inflazione era SOTTO, non sopra, gli obiettivi della stessa BCE.

Un danno economico inflitto al paese dell’ordine di svariate centinaia, anzi complessivamente di migliaia, di miliardi.

venerdì 28 luglio 2023

Ancora sul Green New Deal

 

Un interessante commento di Antonello Climan sull'ultimo post, che prende spunto da una considerazione: Greta Thunberg ha dichiarato cinque anni fa che il mondo aveva cinque anni per attuare interventi “massicci”, altrimenti “sarebbe stato troppo tardi”. Il che implicherebbe che è inutile agitarsi adesso, tanto è troppo tardi comunque…

Commenta Antonello:

“Esattamente la considerazione a cui volevo arrivare, ovvero che se oramai siamo oltre il cosiddetto punto di non ritorno, non ha più senso intervenire.

Ora, è chiaro che la logica non torna, e visto che su quelle considerazioni si è fondata tutta una retorica e tutta una politica, sarebbe bene quantomeno rendersene conto.

Vorrei però far notare un altro tema per me molto importante: il punto di partenza è il cambiamento climatico, e si è detto chiaramente che è dato dalla produzione di CO2 antropica (non è esattamente così ma andiamo dritti al punto). Ma tutta la produzione industriale è estremamente energivora e richiede fonti fossili per produrre (basta guardare il sito ENEA). Le stesse auto elettriche, i pannelli solari, le turbine eoliche richiedono energia, trasporto, per essere prodotte e installate.

Bene, allora bisogna ridurre la produzione industriale o evitare gli sprechi. Per fare ciò un metodo formidabile è incentivare le aziende a produrre beni durevoli e riparabili. Oggi siamo in grado di produrre auto che durino 20-30 anni (anche di più in realtà), anche i cellulari possono essere fatti per durare 10-20 anni. Le cose oggi sono fatte per essere buttare e sostituite, cambiamo tendenza, magari anche per legge.

Invece non si fa, perché altrimenti i grandi produttori avrebbero un crollo di vendite a vantaggio di lavoratori locali: manutentori, riparatori di qualsiasi oggetto – dal ventilatore all’auto – eccetera. Anzi addirittura ci obbligano a sostituire le auto perché considerate obsolete e inquinanti. Quindi costringono a un enorme impiego di energia (da cui emissioni) per trasporto e costruzione.

Altro aspetto. Per ridurre le emissioni di CO2 dobbiamo letteralmente buttare le auto con motore termico e comprare auto nuove. Ma se il problema è l’emissione non ha senso cambiare tutta l’auto: basterebbe cambiare il motore. Bene, i motori vecchi possono funzionare con idrogeno prodotto per elettrolisi. Si potrebbero riciclare le vecchie auto per farle andare ad idrogeno. Perché nessuno ci pensa ? non ci sarebbe necessità di produrre nuove auto ma solo di mettere a punto i vecchi motori.

A mio avviso queste considerazioni, completamente ignorate, mostrano chiaramente che tutti noi ci dobbiamo porre enormi domande su come viene affrontata la questione, perché gli argomenti forniti da stampa e politica occidentale sono debolissimi e fortemente approssimativi.”

Io non so dire se quanto ipotizza Antonello sia possibile né se sia economicamente sostenibile. Ma lui ha senz’altro ragione sul punto di fondo: si propagandano come necessari, vitali, indispensabili interventi di cui non è affatto certa né l’efficacia né la necessità, mentre non c’è pressoché nessun dibattito su soluzioni alternative.

Qualcosa, effettivamente, non torna.

 

mercoledì 26 luglio 2023

Perché il Green New Deal abbia senso

 

Sono ragionevolmente convinto che ci sia una tendenza della temperatura media terrestre ad aumentare.

Sono molto meno convinto in merito alle proposte che vengono formulate, e ampiamente pubblicizzate, dai media considerati più influenti e (da qualcuno, non da tutti e non da me) più attendibili.

In sintesi, sono molto meno convinto in merito al cosiddetto Green New Deal.

Motivo ? dando come dicevo per acquisito che il riscaldamento globale si stia verificando, perché il Green New Deal abbia senso occorre che siano veri non uno, non alcuni, non la maggioranza, ma TUTTI i presupposti qui di seguito elencati.

UNO, le conseguenze dell’aumento delle temperature sono gravi.

DUE, la causa è antropica, cioè dovuta all’attività dell’uomo.

TRE, il fattore chiave è l’aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera.

QUATTRO, gli interventi proposti (auto elettriche, efficientamento energetico degli edifici) sono efficaci.

CINQUE, verranno adottati non solo in Occidente ma anche nel resto del mondo.

SEI, il beneficio che produrranno supererà il loro costo economico e sociale.

Ora, sono convinto dell’aumento delle temperature, ma in merito a questi sei presupposti, mi pare che una stima ragionevole sia “forse che sì forse che no”. Diciamo 50-50. Per ognuno dei sei.

Ne segue che la probabilità che almeno uno di questi presupposti NON sia verificato, come può facilmente stimare chi ha studiato calcolo delle probabilità (!) è uno meno 0,5 elevato alla sesta potenza.

Che equivale a 63/64, ovvero all’1,6% circa.

Altrimenti detto, abbiamo il 98,4% di probabilità di (detto in termini tecnici) fare un gran casino per NON risolvere un problema che forse NON esiste.

lunedì 24 luglio 2023

Perché il potere ama le emergenze

 

Forse il climate change è un grave problema e forse no. Forse è risolvibile e forse no. Forse richiede interventi massicci e costosi e forse no. Su questo tema ritornerò prossimamente.

Quello che però mi sembra indiscutibile – sicuramente sì, non forse sì e forse no – è che si sta mettendo in atto una massiccia campagna di “orientamento dell’opinione pubblica” fortemente sostenuta e finanziata da potenti gruppi di interesse politico ed economico.

Magari un giorno li ringrazieremo per averci messo sull’avviso e per aver spinto l’umanità ad evitare qualcosa di grave (o magari no, come dicevo).

Però una cosa su cui riflettere è che questi gruppi di interesse non sono esattamente istituti di beneficenza. Se si muovono massicciamente in una direzione, di solito hanno un fine. E non sarebbero forti gruppi di interesse se non si muovessero, solitamente con MOLTA efficacia, in funzione di due obiettivi (strettamente interconnessi): il potere e il denaro.

Poniamo, tanto per fare un esempio un po’ strampalato, che nel prossimo futuro si diffonda l’ipotesi che l’umanità rischia gravi conseguenze a meno che il maggior numero possibile di persone si metta a indossare, e a camminare per la strada, indossando una scarpa rossa (la sinistra) e una scarpa verde (la destra).

E immaginiamo che sia possibile assicurarsi i diritti di produzione e commercializzazione esclusivi delle scarpe rosse e delle scarpe verdi.

State certi che in questo scenario, forti gruppi di interesse si muoveranno per tempo per acquisire questi diritti, e nello stesso tempo per dare sostegno a una campagna mediatica battente finalizzata a convincere l’opinione pubblica che le scarpe rossoverdi sono la salvezza.

Con ricadute finanziarie molto interessanti per i gruppi d’interesse, ma con risultati forse ancora più rilevanti in termini di acquisizione di potere. Perché per certe persone il denaro è una via che conduce al potere, e il potere da certi livelli in su diventa più importante del denaro. E potere significa, in buona sostanza, imporre agli altri cosa dire, cosa fare, e cosa pensare.

Naturalmente l’esempio delle scarpe rossoverdi è, come dicevo, strampalato.

Però forse neanche tanto.

In fondo è stato possibile convincere milioni di persone che un debito pubblico denominato nella moneta emessa dallo Stato era un gravissimo, potenzialmente terribile problema per quello Stato.

E che la soluzione al problema consisteva nel trasformare la valuta di rimborso di quel debito in una moneta che quello Stato NON emette.

E a un quarto di secolo di distanza una parte dell’opinione pubblica ha capito l’assurdità di quanto è accaduto, ma una parte purtroppo ancora no.

Andiamoci piano prima di convincerci che certe cose sono troppo assurde per accadere.

 

venerdì 21 luglio 2023

Il clima di una volta

 

Bene, la “terribilissima” ondata di caldo pare essere in via di esaurimento. Non è comunque troppo tardi per rispondere a una domanda che è circolata, in particolare sui social networks, con una certa frequenza in questi giorni.

“Ma voi diversamente giovani, voi boomers, cosa vi ricordata del clima di cinquant’anni fa ? era effettivamente molto diverso rispetto a oggi ? percepite che la temperatura sia nettamente aumentata ?”.

L’anagrafe (1962) mi qualifica a rispondere.

Per quello che ricordo io, quando ero un ragazzino provavo quasi terrore al pensiero dell’arrivo della fine di giugno e poi di luglio. Faceva caldo, molto caldo. E tra l’altro rispetto a oggi il sollievo dell’aria condizionata non c’era a scuola (che peraltro era ormai terminata), non c’era negli uffici (ma ovviamente non lavoravo ancora), non c’era in casa.

Trovavi il fresco del condizionatore solo entrando in un supermercato (ma non potevi passarci le giornate).

L’estate 2023 la giudico francamente meno calda di quelle tipiche di allora. Abbiamo sì avuto punte alte negli ultimi giorni, ma è un fenomeno che in tutto è durato una settimana, forse meno.

Rimane insuperata, quantomeno nella mia memoria, l’estate del 2003, quando un ragazzino non lo ero più, ma che comunque tanto recente non è. A parte le punte di inizio agosto (42 gradi a Milano: non “percepiti”; non “al suolo”; 42 gradi VERI) la cosa impressionante è che il caldo anomalo durò praticamente quattro mesi ininterrotti, da metà maggio a settembre inoltrato.

Se devo rispondere alla domanda “cos’è cambiato nel clima”, la mia risposta è che il cambiamento lo vedo più nei mesi freddi che nei mesi caldi. La nebbia a Milano è praticamente scomparsa (oddio un minimo di ripresa si è vista nell’ultimo paio d’anni, ma parliamo di foschia, non dei muri bianchi di allora, che non ti facevano vedere nulla a dieci metri di distanza). E nevica molto poco.

Gli inverni sono sicuramente più miti. Le estati, un po’ più calde nelle punte sì. Ma non certo al punto di rendere le città invivibili.

E l’estate 2023, rispetto a parecchi degli anni recenti e meno recenti, è stata fin qui, francamente, meno calda, non viceversa.

giovedì 20 luglio 2023

Le banche centrali sono tecnicamente inutili

 

A qualcuno, anzi a molti, può sembrare un’affermazione assurda, se non eretica. Ma la verità è che sul piano tecnico-economico non esiste la più pallida ragione per cui le banche centrali debbano esistere.

La moneta ufficiale, l’unica di conto avente corso legale nell’ambito di uno Stato, è definita dalle leggi e deve essere gestita dal settore pubblico. Non c’è giustificazione di merito per cui debba esistere un istituto di emissione distinto dagli altri organi di governo, e dotato di gradi ampi se non totali di autonomia e di indipendenza.

Affidare una funzione così importante come la gestione e il controllo della moneta a un organismo parzialmente o totalmente fuori dal controllo di uno Stato democratico vuol dire indebolire i presidi stessi della democrazia.

Poi, se la democrazia non vi piace e se ritenete che un organo tecnocratico sia in grado, in teoria e/o in pratica, di svolgere meglio determinate funzioni, parliamone pure, rispetto la vostra opinione come qualsiasi altra – ma non la condivido (perché non mi pare confermata dalla storia di questi ultimi decenni).

Rispetto la vostra opinione, ma non appigliatevi però a necessità tecniche. O a logiche di intrinseca efficienza economica. Quello che fa una banca centrale lo può fare un dipartimento del ministero dell’economia o del tesoro. Rispondendo a un governo, che goda a sua volta della fiducia di un parlamento. Democraticamente eletto e rappresentante della volontà popolare.

lunedì 17 luglio 2023

Salario minimo

 

Mi hanno fatto notare che tra i tanti temi economici che ho discusso in questo blog, non c’è stato (fino ad oggi) quello del salario minimo.

La ragione ? è un argomento che, nei limiti della mia non altissima competenza specifica, ritengo meno importante di quanto appaia.

Mi spiego. Un sistema economico che spinge verso l’alto i salari reali è un sistema economico in cui circola sufficiente domanda, sufficiente potere d’acquisto, per far lavorare le aziende a pieno regime e per creare un clima favorevole agli investimenti e alla crescita.

Buone retribuzioni non nascono dall’imposizione per legge di minimi salariali, ma da un clima in cui le aziende competono tra loro per assicurarsi forza lavoro. Questo contesto in Italia è esistito per lunghi periodi di tempo, dal secondo dopoguerra in poi, ed è poi svanito, "casualmente" a partire dalla creazione dell’Unione Europea e dall’ingresso dell’Italia nell’euro.

La legislazione UE e soprattutto la governance della moneta unica hanno generato un contesto favorevole alla compressione dei salari reali, soprattutto in un paese come l’Italia, che -

primo, da decenni soffriva il cambio fisso con la Germania

secondo, è stata inglobata in una camicia di forza per (non) risolvere il “problema” dell’alto debito pubblico. “Problema” che lasciandolo in lire (il debito) non esisteva e non sarebbe mai esistito.

Introdurre un salario minimo senza risolvere questi temi di governance economica non innescherà, temo, un significativo recupero di potere d’acquisto delle retribuzioni. Mentre potrebbe trasformare lavoratori sottopagati in disoccupati. Che non mi pare un miglioramento.

In parole povere, si può impedire a un’azienda di utilizzare lavoratori sottopagati e precari. Ma non si può obbligarla ad offrire posti di lavoro stabili e ben remunerati. Bisogna creare le condizioni che le rendano conveniente, opportuno, necessario farlo.

 

mercoledì 12 luglio 2023

Si stava meglio prima ?!

 

Può sembrare un dibattito da bar, o magari (visto il periodo) da spiaggia. Ma a mio modesto avviso non è banale. Si stava meglio tempo addietro, per esempio negli anni settanta – ottanta – novanta ? O sono nostalgie da boomer ?

Il rimpianto per gli anni della gioventù è normale e spesso porta a guardare con lenti rosa un passato che così dorato magari non era. E chi guarda ai freddi dati ha dalla sua parte la considerazione che comunque il reddito reale procapite del 2023 è significativamente più elevato rispetto al 1983. Ma anche l’alfabetizzazione, ma anche la durata media della vita, e tanto altro ancora.

E certo, la tecnologia ha messo a disposizione cose che allora non esistevano e non erano neanche concepibili. Personalmente, non ho istinti neoluddisti. Sarà anche vero che i social network e gli smartphone ci hanno disabituato, in misura più o meno accentuata, all’interazione personale. Ma a me il fatto di starmene comodamente spoltronato o sdivanato e potere a mio piacimento telefonare, leggere, documentarmi, lavorare, inviare e ricevere email e whatsapp, guardare video e TV, tutto a portata di sfioramento dello schermo – a me piace.

Il problema però è un altro, ed è evidente.

Sentirsi bene, quanto meno sul piano economico e materiale, se non si è sulle soglie dell’indigenza non è (più) un fatto di livello, ma di prospettive.

Trenta, quaranta, cinquant’anni fa il livello economico medio era più basso di oggi, ma si guardava al futuro vedendo opportunità, vedendo crescita personale e generale, con una ragionevole fiducia che domani si sarebbe stati meglio di oggi e che i figli sarebbero stati meglio dei genitori.

Oggi no.

Stipendi e redditi reali medi non sono più cresciuti dalla fine degli anni novanta. Se nel 2023 sono più alti rispetto al 1983, è grazie alla crescita che si è avuta ancora per un decennio e mezzo, bloccandosi poi intorno al 2000. E ogni riferimento al fatto che quelli siano stati gli anni dell’introduzione dell’euro è totalmente voluto e completamente pertinente.

Qual è il punto ? banalmente, che si sta meglio avendo sei con la ragionevole aspettativa che domani sarà sette, rispetto ad avere nove con il fondato timore che domani sarà otto, e poi meno, e poi meno ancora.

Si sta meglio partendo dal basso e salendo, che trovandosi in alto con la paura di scendere.

Sono le prospettive, sono gli stimoli, sono gli orizzonti che si intravedono quelli che producono fiducia, ottimismo, benessere.

Il mondo occidentale di oggi è invece sprofondato in una narrativa di problemi inventati e di finte soluzioni che li generano (i problemi) quando non ci sono.

Questa è la deriva da invertire.

venerdì 7 luglio 2023

L’era dei problemi inventati

 

Forse mai, nella storia dell’umanità, si è verificata come oggi una concentrazione d’interesse così forte sull’analisi, sull’interpretazione, sull’esame di possibili soluzioni, sull’attuazione di interventi a larghissima scala, per risolvere una serie di problemi –

COMPLETAMENTE INVENTATI.

Vi sorprende questa affermazione ?

Beh prendete questi tre esempi, che rappresentano altrettanti temi di dibattito e anche di azione politica.

Il debito pubblico.

La crescita incontrollata della popolazione mondiale.

Il cambiamento climatico.

Sono tre temi diversi, e io mi ritengo competente a parlare del primo, discretamente competente in merito al secondo, e un profano che cerca di farsi un’opinione per quanto attiene al terzo.

Sul primo, non ho alcun dubbio che sia un problema inventato dal nulla.

Sul secondo, sono fortemente convinto che sia un fenomeno di transizione demografica, destinato a risolversi da sé nei prossimi decenni.

Sul terzo, ho il forte sospetto che non stia accadendo nulla né di deleterio né di inusitato, e comunque che si stiano attuando azioni (l’auto elettrica, l’efficientamento energetico delle abitazioni) costosissime e superflue, se non del tutto inutili.

Nei link spiego perché. 

Magari non c’è sotto nessuna cospirazione. Magari si spiega tutto con il rasoio di Hanlon: “mai attribuire a malafede quello che si può adeguatamente spiegare con la stupidità”.

Certo che c’è da riflettere.

 

mercoledì 5 luglio 2023

Narrazioni autodistruttive


Riccardo Magi di +Europa critica Giorgia Meloni perché quando stava all’opposizione il suo armamentario retorico era “Italia svenduta agli stranieri, invasa dagli immigrati, schiava degli euroburocrati, prende ordini da Merkel”. Mentre ora che è al governo dice tutt’altro: “guai a fare una narrazione autodistruttiva”.


Ma la critica di Magi è completamente fuori strada. I problemi dell’Italia sono in larghissima misura proprio dovuti alle cessioni di sovranità, all’asservimento a poteri esterni, alla perdita di controllo dell’economia causata dalla moneta unica e dalle sue regole.

E tutto questo è stato largamente assecondato, ebbene sì, proprio dalla “narrazione autodistruttiva” a cui il partito di Magi ha largamente contribuito, quantomeno nella misura massima consentita dal suo (modesto) successo elettorale e dalla sua (per fortuna scarsa) visibilità.

Gli italiani che non si sanno governare, gli italiani che hanno bisogno del vincolo esterno, gli italiani che sono vittime di se stessi: nessuno più degli esponenti di +Europa ama reiterare questi concetti.

Le narrazioni autodistruttive sono letali, e questo Giorgia Meloni fa benissimo a dirlo. Poi è criticabilissima per non aver saputo, spesso, far seguire i fatti alle parole. Per esempio sulle accise. Per esempio sulla circolazione dei crediti fiscali.

Ma queste critiche sono legittime da parte di chi le narrazioni autodistruttive le ha contrastate e combattute. Non da parte di un partito che ha fatto delle cessioni di sovranità (come riflesso anche nel nome) il punto chiave della sua proposta politica.

 


lunedì 3 luglio 2023

Frugali e taccagni

 

Che differenza c’è tra una persona frugale e una persona taccagna ?

Molto semplice.

Una persona frugale non spende molti soldi, pur potendoselo permettere, perché in linea di massima le cose che richiedono molti soldi non gli interessano. Esempio: potrebbe permettersi un’auto da 150.000 euro, ma non gli piacciono le auto veloci o lussuose. Non ne sente il bisogno. Quindi non la compra.

Una persona taccagna si nega invece cose che gli piacerebbe avere, e che potrebbe permettersi, perché dà un’eccessiva importanza all’accumulazione finanziaria. A lui l’auto da 150.000 cucuzze piacerebbe guidarla. E i soldi li ha. Ma non sopporta l’idea di privarsene (dei soldi).

Le due categorie possono sembrare difficili da distinguere, ma conoscendo appena un poco le persone, è evidente che sono molto differenti.