domenica 23 ottobre 2022

Ancora su Giappone e MMT

 

Torno ancora sulla situazione giapponese. Come detto in un post recente, gli euroausterici insistono sul concetto che l’inflazione al 3% nel paese del Sol Levante “dimostrerebbe” che la MMT (per essere più precisi, lo Yield Curve Control, l’appiattimento a zero dei tassi d’interesse sui titoli di Stato) non funziona.

Al che è facile replicare (ed è stupefacente che gli euroausterici non se lo dicano da soli): se l’inflazione al 3% è indice di insuccesso del modello giapponese, quella tedesca al 10% che cosa indica in merito a quanto “bene” funzioni il modello eurozonico ?

Detto ciò, c’è un elemento in più che merita alcune riflessioni. Ovviamente anche il Giappone, privo com’è di risorse naturali, risente del maggior prezzo delle materie prime, dell’energia e in particolare del gas.

Teniamo poi conto che lo yen si sta indebolendo sul dollaro (il che, secondo economisti non certo ispirati dalla MMT quali Robin Brooks, fa solo bene al Giappone: anzi è sua ferma convinzione che anche euro e sterlina dovranno ulteriormente calare).

Non è facile separare le componenti che causano inflazione, ma è plausibile sostenere che il 3% giapponese sia tutto dovuto a cambi e import, mentre l’inflazione di origine domestica può essere stimata nei dintorni dello zero.

Questo è un indizio di un’altra cosa che agli euroausterici non piacerà sentirsi dire: plausibilmente, i bassi tassi d’interesse tendono a limitare l’inflazione, non ad accrescerla.

Perché ? ma perché a parità di altre condizioni, i tassi d’interesse sul debito pubblico, ma anche quelli riconosciuti su altre attività finanziarie, o sui conti bancari, sono una modalità di immissione di potere d’acquisto nel sistema economico. Immissione che con i tassi a zero viene meno.

E questa è una affermazione di pura scuola MMT.

Quindi ? i tassi a zero giapponesi non stimolano l’inflazione. Quelli del resto del mondo, che sono stati bassissimi a lungo ma stanno rapidamente salendo, cominciano invece a fornire un sostegno non marginale alla domanda interna.

Una riflessione preliminare e parziale, da approfondire seguendo i dati e gli avvenimenti, a partire dai prossimi mesi.

Ma un indizio in più che guardare al Giappone per cercare smentite alla Modern Monetary Theory riserva sorprese. E delusioni (agli euroausterici…).

3 commenti:

  1. Giovanni Piva: Ciao Marco, riguardo la frase" i bassi tassi di interesse tendono a limitare l'inflazione, e non ad accrescerla": se vi sono bassi tassi di interesse sui tds, giustamente la gente ha cedole più basse, e quindi meno soldi da immettere in economia reale per comprare beni e servizi. Ma se bassi sono anche i tassi di interesse bancari, la spinta agli investimenti reali cresce e cresce quindi anche l'occupazione, ed i salari in quanto le imprese, arrivate ad un certo punto, per ottenere manodopera debbono alzare i salari stessi. Tassi di interessi bancari bassi permettono inoltre alle famiglie di indebitarsi maggiormente allo scopo di comprare beni (es autovetture). In genere i tassi di interesse sui tds e quelli bancari vanno nella stessa direzione, nel senso che vengono alzati entrambi o abbassati entrambi. La mmt dice che tenere alti i tassi è una misura inflattiva, ma secondo me c'è da vedere il tutto appunto, come ciò appena scritto, a 360 gradi (tassi sui tds e tassi bancari).

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    1. Certo, ci sono effetti contrapposti, verissimo. Il punto però è che la MMT mette in evidenza l’effetto remunerazione del risparmio che invece il mainstream ignora.

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    2. Anche perché è un fatto che per ogni credito c’è un debito, quindi i maggiori interessi pagati da qualcuno sono ricevuti da qualcun altro… SALVO sul debito pubblico in moneta propria finanziato da emissione monetaria, se ci pensi. Su quello, i maggiori interessi qualcuno li incassa e nessuno li paga.

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