Nel dibattito tra sostenitori e oppositori della MMT, un tema rilevante è l’efficacia della politica fiscale per ridurre l’inflazione quando diventa troppo elevata.
Contrariamente alla versione caricaturale che qualcuno si ostina a far circolare, la MMT non ha mai affermato che i deficit fiscali possano crescere all’infinito. Sostiene invece che il limite c’è, ma non è un determinato livello numerico. È la disponibilità di risorse produttive (impianti e manodopera) inoperose, o comunque sottoutilizzate.
Se, tramite il deficit pubblico, mettiamo in circolazione capacità di spesa eccessiva rispetto alla capacità produttiva del sistema economico, non generiamo più produzione e più occupazione, ma solo eccessiva inflazione.
Ne segue che la
maniera efficace per ridurre la domanda nel sistema economico, secondo la MMT,
è ridurre i deficit quando c’è inflazione: ma in funzione appunto di quella, NON
del fatto che il deficit sia del 3%, del 6%, del 10% o di qualsiasi soglia
numerica prestabilita.
Tornando all'utilizzo della politica fiscale per ridurre l'inflazione, un’obiezione tipica degli MMT-critici è che questo può essere vero in teoria. In pratica però pacchetti di restrizione fiscale (tagli di spesa e aumenti di tasse) motivati da eccesso d’inflazione sono politicamente indigesti e quindi non vengono attuati.
Noi che in Italia abbiamo vissuto l’esperienza del 2011-3 la sappiamo purtroppo più lunga. Imporre austerità è risultato fin troppo facile. E il momento tra l’altro era COMPLETAMENTE sbagliato, perché non c’era, allora, nessun problema d’inflazione. C’era invece un problema di rifinanziamento del debito: derivante però SOLO dalla costruzione sbagliata dell’eurozona, che impedisce alla BCE di garantire incondizionatamente i debiti pubblici. E infatti solo il whatever it takes di Draghi, non certo l’austerità, ha tamponato questo problema.
Al di là dell’austerità eurozonica, però, sulla posizione degli MMT-critici si impone una riflessione. I tassi d’interesse redistribuiscono potere d’acquisto tra debitore e creditore. Se salgono, paga di più l’azienda indebitata, il debitore per il credito al consumo, chi deve rimborsare un mutuo, lo Stato per gli interessi sul debito pubblico. Ma percepisce di più il titolare del credito: la banca, il possessore di titoli di Stato, la società finanziaria.
Se il potere d’acquisto totale in circolazione non muta, non è quindi scontato che si crei un effetto di riduzione della domanda, e quindi indirettamente dei prezzi.
In realtà chi sostiene la restrizione monetaria fa affidamento anche su altri effetti, tipo la perdita di valore delle attività finanziarie (es. azioni), che però è di dubbio impatto, e la tendenza del sistema bancario a contrarre il credito quando i tassi salgono.
Vale la pena comunque di sottolineare che l’impatto restrittivo della politica monetaria non è così certo come viene presentato. E che, d’altra parte, la politica fiscale può esercitare un impatto anticiclico tramite stabilizzatori automatici che agiscono senza bisogno di approvazioni parlamentari e governative: la cassa integrazione, i sussidi di disoccupazione, l’imposta progressiva sul reddito e (se venissero adottati come propone la MMT) i programmi di lavoro garantito.
Tutto quanto sopra si applica a un contesto di inflazione da eccesso di domanda, a parità di offerta – cioè a pari capacità di produrre reddito da parte del sistema economico.
Ovviamente oggi stiamo vivendo un problema di inflazione che ha cause differenti. I problemi di approvvigionamento connessi alla ripresa post Covid e alle difficoltà di ripristinare le catene di fornitura prima; l’esplosione dei prezzi dell’energia causati dalla crisi ucraina poi.
E ho spiegato già da tempo che in questo caso la restrizione monetaria rischia di fare gravissimi danni
senza risolvere nulla. La via è invece una politica fiscale espansiva non
rivolta al sostegno della domanda ma all’abbattimento di imposte indirette e
oneri accessori sui beni di prima necessità, unitamente a ragionevoli
interventi di razionamento, in particolare sui consumi di gas.
Luigi Secchi: Un articolo che trasuda idee molto chiare, e competenza, come sempre. Forse sarebbe utile per una prossima volta spiegare come la MMT innova le idee post-keynesiane (non neokeynesiane). Io ad esempio non l'ho capito benissimo 🙂
RispondiEliminaBeh uno dei più eminenti post-keynesiani è Abba Lerner, e qualcuno ha detto che la MMT è sostanzialmente la finanza funzionale di Lerner integrata dalla proposta dei programmi di lavoro garantito.
EliminaMarcello Spanò: Io però penso che in generale un aumento dei tassi abbia effetti restrittivi quantomeno molto probabili. I debitori che vedono ridurre il loro potere d'acquisto hanno una propensione alla spesa più alta dei creditori che vedono aumentare il loro. A parità di potere d'acquisto, il fatto che questo venga redistribuito a favore dei creditori determina una riduzione della domanda di beni prodotti.
RispondiEliminaSono d'accordo, molto probabilmente sì, però gli effetti non vanno tutti nella stessa direzione, non sono univoci. Questo era il senso del post.
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