Continuo a
ricevere commenti, costruttivi e stimolanti, in merito al progetto Certificati di Credito Fiscale. Grazie per i complimenti e anche per le critiche, molto
utili per mettere a fuoco le caratteristiche e le implicazioni dell’idea.
Le opinioni sono
state in larga maggioranza positive, suddivise però tra chi è convinto (= sono
riuscito a convincere…) che i CCF funzionerebbero altrettanto bene quanto l’uscita
dell’Italia dall’euro e il ritorno alla moneta nazionale, e chi pensa che siano
una strada utile ma “di ripiego” e/o transitoria.
La mia posizione
su effetti dei CCF e loro efficacia anche a lungo termine la trovate sintetizzata
qui e qui.
In questo post
mi propongo invece di esaminare il tema sotto il profilo degli impatti sulla
pubblica opinione, che ritengo comunque determinanti per arrivare, concretamente,
a uscire dalla “trappola dell'euro” (per dirla alla Badiale & Tringali).
Una prima
precisazione, superflua magari per molti (ma non per tutti). Capisco che l’”euroexit”
e il ritorno alle monete nazionali e ai cambi flessibili sono un percorso che
ci porta a uno scenario conosciuto. Mentre l’idea CCF – appunto perché innovativa
– può suscitare una reazione legittima: “caro Cattaneo, non trovo “buchi” nel
tuo ragionamento, ma comunque mi fido di più di una scenario già sperimentato”.
Questo è
comprensibile. E state sicuri che se ci trovassimo (che so) Alberto Bagnai e io
con pieni poteri di decidere, con due pulsanti tra cui ci fosse solo da
scegliere quale schiacciare, “uscita dall’euro” o “CCF”, non mi metterei certo
a litigare. A me il ritorno alla moneta nazionale, l’uscita dall’euro pura e
semplice, va benissimo.
Solo che non
funziona così. Ritengo molto difficile arrivare a prendere una o l’altra
decisione senza che ci sia un forte sostegno da parte dell’opinione pubblica.
L’affidabilità
dei sondaggi può essere opinabile, ma colpisce che questo, pubblicato sul Wall
Street Journal e riportato nel blog di Giovanni Zibordi, dia percentuali del
70%-75% a favore della permanenza nell’euro, rilevate in tutti i paesi europei
oggi in difficoltà.
Nello stesso
tempo, sono convinto che un sondaggio che ponesse una domanda diversa – non “sei
favorevole all’uscita” ma “ritieni che l’attuale sistema monetario vada
riformato”, darebbe percentuali ben diverse, magari ribaltate – 70% a favore
del sì.
Incoerente ? no.
Che qualcosa di importante non vada, l’hanno capito in parecchi. Che
ritornare a un sistema monetario flessibile sia necessario, penso anche. Ma se
dite “usciamo dall’euro” l’unica cosa chiara alla maggior parte degli
interlocutori è che i loro soldi vengono trasformati in qualcos’altro. Che vale
di meno.
I vantaggi
superano di gran lunga gli svantaggi ? io ne sono certissimo, molti tra chi mi
legge anche, ma arriveremo mai a convincere la maggioranza dell’opinione
pubblica ?
Anche perché un
conto è dire “l’exit si PUO’ gestire senza danni collaterali” un altro “sarà
SICURAMENTE così perché tutto sarà condotto in modo ottimale”. Fin qui, di
tutti i temi e i problemi riguardanti la moneta unica, in modo ottimale non s’è
fatto nulla…
Tra l’altro
stiamo parlando di un processo che dovrebbe essere attuato nel giro di pochi
giorni, idealmente nel corso di un fine settimana, e in un contesto di totale
segretezza, per ridurre al minimo i fenomeni di speculazione, corsa agli
sportelli bancari eccetera.
Questo è un
grosso limite della proposta del Movimento 5 Stelle di sottoporre l’uscita dall’euro
a referendum popolare. Proposta che ha due meriti importanti: quella di porre
sul tavolo il tema, e quella di rivendicare che ci debba essere una chiara
espressione di volontà popolare su argomenti così rilevanti. Ma che non mi sembra
applicabile come tale.
Una domanda su cui riflettere è: se nel settembre 1992 si fosse sottoposta a referendum la permanenza italiana nello SME, a che risultato si sarebbe arrivati ? Esisteva, più in generale, un’opinione pubblica favorevole ? o predominavano i timori (infondati, come si è visto poi) di inflazione a due cifre, impennata delle materie prime eccetera ?
A mio parere non
esisteva un’opinione pubblica a favore della svalutazione, e neanche una
volontà politica. Tanto è vero che si proseguì a sostenere il cambio fino all’esaurimento
delle riserve valutarie da parte della Banca d’Italia.
Un sistema di
cambi fissi ha infatti, rispetto a un’unione monetaria (scusate l’ironia
semi-involontaria) un “vantaggio”: le riserve valutarie prima o poi finiscono. E
a quel punto, MA SOLO A QUEL PUNTO, la lira uscì dallo SME. Per tenercela, a
comprare lire contro marchi a un valore sopravvalutato avrebbero dovuto
provvedere i tedeschi…
Tornando a oggi:
l’euroexit per essere attuato deve superare varie resistenze. I problemi
operativi, che non sono insormontabili ma neanche banali. L’ostilità di BCE e
Unione Europea, che può essere un vincolo o magari no. I paesi che subiscono di
conseguenza una rivalutazione (Germania in primis) – idem. I mercati finanziari
internazionali – stesso discorso.
Ma anche e
soprattutto, la formazione di un forte consenso nella pubblica opinione, e
quindi della necessaria volontà politica.
Dall’altro lato,
abbiamo il progetto Certificati di Credito Fiscale. Che può essere discusso e
sviscerato in tutti i suoi elementi, alla luce del sole, prima di attuarlo. Che
non pesta i piedi ai partner europei. Che lascia in essere l’euro: quindi nessun
problema di mismatch di attivi e passivi per banche e aziende, di saldi Target2
dei quali non si capisce che cosa succede (si vaporizzano ?). Che non tocca la
posizione dei detentori di attività finanziarie italiane denominate in euro:
creditori internazionali, ma anche cittadini italiani.
Mi sembrano elementi che devono spingere a
valutarlo molto seriamente. Anche perché il progetto CCF ha, certo, grossi
elementi di novità, e quindi non centreremo magari subito le modalità di
applicazione perfette (ad esempio la ripartizione tra ammontare destinato a
sgravare la fiscalità dei dipendenti e quello destinato alle aziende, se dargli
contenuti di progressività, e varie altre). Ma è uno schema adattabile e migliorabile nel
tempo. E dà grossi benefici, invertendo la tendenza declinante e depressiva dell’economia e producendo una forte ripresa,
fin da subito.