martedì 26 febbraio 2013

CCF o uscita dall’euro ? riflessioni sulla fattibilità politica (e pratica)


Continuo a ricevere commenti, costruttivi e stimolanti, in merito al progetto Certificati di Credito Fiscale. Grazie per i complimenti e anche per le critiche, molto utili per mettere a fuoco le caratteristiche e le implicazioni dell’idea.

Le opinioni sono state in larga maggioranza positive, suddivise però tra chi è convinto (= sono riuscito a convincere…) che i CCF funzionerebbero altrettanto bene quanto l’uscita dell’Italia dall’euro e il ritorno alla moneta nazionale, e chi pensa che siano una strada utile ma “di ripiego” e/o transitoria.

La mia posizione su effetti dei CCF e loro efficacia anche a lungo termine la trovate sintetizzata qui e qui.

In questo post mi propongo invece di esaminare il tema sotto il profilo degli impatti sulla pubblica opinione, che ritengo comunque determinanti per arrivare, concretamente, a uscire dalla “trappola dell'euro” (per dirla alla Badiale & Tringali).

Una prima precisazione, superflua magari per molti (ma non per tutti). Capisco che l’”euroexit” e il ritorno alle monete nazionali e ai cambi flessibili sono un percorso che ci porta a uno scenario conosciuto. Mentre l’idea CCF – appunto perché innovativa – può suscitare una reazione legittima: “caro Cattaneo, non trovo “buchi” nel tuo ragionamento, ma comunque mi fido di più di una scenario già sperimentato”.

Questo è comprensibile. E state sicuri che se ci trovassimo (che so) Alberto Bagnai e io con pieni poteri di decidere, con due pulsanti tra cui ci fosse solo da scegliere quale schiacciare, “uscita dall’euro” o “CCF”, non mi metterei certo a litigare. A me il ritorno alla moneta nazionale, l’uscita dall’euro pura e semplice, va benissimo.

Solo che non funziona così. Ritengo molto difficile arrivare a prendere una o l’altra decisione senza che ci sia un forte sostegno da parte dell’opinione pubblica.

L’affidabilità dei sondaggi può essere opinabile, ma colpisce che questo, pubblicato sul Wall Street Journal e riportato nel blog di Giovanni Zibordi, dia percentuali del 70%-75% a favore della permanenza nell’euro, rilevate in tutti i paesi europei oggi in difficoltà.

Nello stesso tempo, sono convinto che un sondaggio che ponesse una domanda diversa – non “sei favorevole all’uscita” ma “ritieni che l’attuale sistema monetario vada riformato”, darebbe percentuali ben diverse, magari ribaltate – 70% a favore del sì.

Incoerente ? no. Che qualcosa di importante non vada, l’hanno capito in parecchi. Che ritornare a un sistema monetario flessibile sia necessario, penso anche. Ma se dite “usciamo dall’euro” l’unica cosa chiara alla maggior parte degli interlocutori è che i loro soldi vengono trasformati in qualcos’altro. Che vale di meno.

I vantaggi superano di gran lunga gli svantaggi ? io ne sono certissimo, molti tra chi mi legge anche, ma arriveremo mai a convincere la maggioranza dell’opinione pubblica ?

Anche perché un conto è dire “l’exit si PUO’ gestire senza danni collaterali” un altro “sarà SICURAMENTE così perché tutto sarà condotto in modo ottimale”. Fin qui, di tutti i temi e i problemi riguardanti la moneta unica, in modo ottimale non s’è fatto nulla…

Tra l’altro stiamo parlando di un processo che dovrebbe essere attuato nel giro di pochi giorni, idealmente nel corso di un fine settimana, e in un contesto di totale segretezza, per ridurre al minimo i fenomeni di speculazione, corsa agli sportelli bancari eccetera.

Questo è un grosso limite della proposta del Movimento 5 Stelle di sottoporre l’uscita dall’euro a referendum popolare. Proposta che ha due meriti importanti: quella di porre sul tavolo il tema, e quella di rivendicare che ci debba essere una chiara espressione di volontà popolare su argomenti così rilevanti. Ma che non mi sembra applicabile come tale.

Una domanda su cui riflettere è: se nel settembre 1992 si fosse sottoposta a referendum la permanenza italiana nello SME, a che risultato si sarebbe arrivati ? Esisteva, più in generale, un’opinione pubblica favorevole ? o predominavano i timori (infondati, come si è visto poi) di inflazione a due cifre, impennata delle materie prime eccetera ?

A mio parere non esisteva un’opinione pubblica a favore della svalutazione, e neanche una volontà politica. Tanto è vero che si proseguì a sostenere il cambio fino all’esaurimento delle riserve valutarie da parte della Banca d’Italia.

Un sistema di cambi fissi ha infatti, rispetto a un’unione monetaria (scusate l’ironia semi-involontaria) un “vantaggio”: le riserve valutarie prima o poi finiscono. E a quel punto, MA SOLO A QUEL PUNTO, la lira uscì dallo SME. Per tenercela, a comprare lire contro marchi a un valore sopravvalutato avrebbero dovuto provvedere i tedeschi…

Tornando a oggi: l’euroexit per essere attuato deve superare varie resistenze. I problemi operativi, che non sono insormontabili ma neanche banali. L’ostilità di BCE e Unione Europea, che può essere un vincolo o magari no. I paesi che subiscono di conseguenza una rivalutazione (Germania in primis) – idem. I mercati finanziari internazionali – stesso discorso.

Ma anche e soprattutto, la formazione di un forte consenso nella pubblica opinione, e quindi della necessaria volontà politica.

Dall’altro lato, abbiamo il progetto Certificati di Credito Fiscale. Che può essere discusso e sviscerato in tutti i suoi elementi, alla luce del sole, prima di attuarlo. Che non pesta i piedi ai partner europei. Che lascia in essere l’euro: quindi nessun problema di mismatch di attivi e passivi per banche e aziende, di saldi Target2 dei quali non si capisce che cosa succede (si vaporizzano ?). Che non tocca la posizione dei detentori di attività finanziarie italiane denominate in euro: creditori internazionali, ma anche cittadini italiani.
 
Mi sembrano elementi che devono spingere a valutarlo molto seriamente. Anche perché il progetto CCF ha, certo, grossi elementi di novità, e quindi non centreremo magari subito le modalità di applicazione perfette (ad esempio la ripartizione tra ammontare destinato a sgravare la fiscalità dei dipendenti e quello destinato alle aziende, se dargli contenuti di progressività, e varie altre).  Ma è uno schema adattabile e migliorabile nel tempo. E dà grossi benefici, invertendo la tendenza declinante e depressiva dell’economia e producendo una forte ripresa, fin da subito.

2 commenti:

  1. I CCF possono essere adattati alla dimensione comunale?
    Usati cioè per pagare le tasse comunali?
    Giuseppe Santoro

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    1. Per i motivi che spiegavo in quest'altro post http://bastaconleurocrisi.blogspot.it/2013/02/pizzarotti-e-monti-ovvero-come-e-perche.html
      hanno un'efficacia limitata se emessi da un ente territoriale (es. comune o provincia) per essere impiegabili SOLO in quell'ambito.
      Mentre i CCF emessi su base nazionale sarebbero utilizzabili per qualsiasi forma di pagamento dovuto a una pubblica amministrazione: quindi anche una tassa comunale, certo, o un ticket sanitario, o una multa, o per comprare azioni ENI nel momento in cui il Tesoro ne mette in vendita una tranche, eccetera.

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