Articolo qui - di Biagio Bossone e Marco Cattaneo
Blog dedicato al progetto Moneta Fiscale / Certificati di Compensazione Fiscale - MF / CCF), soluzione per la crisi dell'Eurozona. Progetto reperibile in questo post. Cronistoria degli eventi rilevanti qui. I CCF sono anche noti come Certificati di Credito Fiscale.
domenica 30 agosto 2015
mercoledì 19 agosto 2015
Certificati di Credito Fiscale per un nuovo assetto dell’Eurosistema
D1. Che cosa
propone il progetto CCF riguardo all’Italia ?
R1. In primo
luogo, di emettere fino a un massimo di 200 miliardi annui di titoli di Stato –
i Certificati di Credito Fiscale, o CCF – aventi natura non debitoria.
Per “natura non
debitoria” s’intende che lo Stato italiano non si impegnerà a rimborsare questi
titoli, bensì ad accettarli, a partire da due anni dopo la loro emissione, per
ridurre il pagamento di tasse, imposte, contributi previdenziali e sanitari,
multe eccetera: qualsiasi obbligazione finanziaria nei confronti della pubblica
amministrazione italiana potrà essere estinta utilizzando indifferentemente CCF
o euro.
D2. I CCF
possono essere quindi essere considerati una forma di moneta ?
R2. I CCF non
sono moneta legale nel senso in cui lo è l’euro. Nessun soggetto pubblico o
privato è obbligato ad accettare pagamenti in CCF. Solo lo Stato emittente attribuisce
al possessore di CCF la facoltà di ridurre gli impegni di pagamento altrimenti
dovuti nei suoi confronti. I depositi bancari restano denominati in euro e i
bilanci continuano a essere redatti in euro: l’euro resta l’unità di conto.
Pur non essendo
moneta legale, peraltro, i CCF possiedono due connotati tipici della moneta. Sono
una riserva di valore, in quanto il diritto a uno sgravio fiscale futuro
costituisce un arricchimento patrimoniale per l’assegnatario. E sono un
potenziale intermediario di scambio, in quanto, pur non esistendo un obbligo di
legge, è presumibile che i CCF circolino e vengano accettati come corrispettivo
di pagamento nello scambio di beni e servizi.
D3. Perché
l’utilizzo è differito di due anni ?
R3. Perché, nel
momento dell’utilizzo, i CCF a parità di condizioni riducono gli euro incassati
dallo Stato italiano. Il differimento dà all’economia italiana il tempo di
ottenere un significativo recupero di PIL, e quindi anche di entrate fiscali,
compensando così l’effetto dell’utilizzo dei CCF quando giungeranno a
maturazione.
D4. A chi
verranno assegnati i CCF, e con quali dimensioni e tempistiche ?
R4. Il progetto
attuale prevede tre destinazioni principali: le aziende private, i lavoratori e
lo Stato stesso. Su 200 miliardi totali massimi all’anno, all’incirca 80 alle
aziende private, 70 ai lavoratori e 50 allo Stato. Riguardo alla tempistica, le
assegnazioni complessive potrebbero per esempio essere pari a 90 miliardi il
primo anno del programma, aumentare a 150 il secondo e raggiungere i 200 il
terzo, per poi rimanere stabili a quel livello.
Le aziende
private riceveranno CCF commisurati ai costi di lavoro da esse sostenuti. E’
previsto un meccanismo a scaglioni, con maggiore incidenza percentuale sui costi
pagati a lavoratori con redditi meno elevati. Per ogni 100 euro pagati in retribuzioni,
imposte e contributi, l’azienda riceverà, a regime, 20 euro in CCF. Per i
redditi più alti, la percentuale scenderà considerevolmente. Potranno essere
previsti meccanismi incentivanti per le aziende che incrementano l’occupazione.
Per i
lavoratori, il meccanismo sarà analogo, sempre a scaglioni: il lavoratore percepirà,
in aggiunta a una retribuzione netta di 100 euro, 20 euro in CCF – con
percentuale in discesa per i redditi alti.
D5. Quindi
aziende e lavoratori riceveranno gratuitamente un considerevole importo
di CCF. Che cosa ne faranno ?
R5. Chi non avrà
esigenze finanziarie immediate, potrà mantenerli come forma di risparmio
addizionale. Altrimenti potranno essere monetizzati in anticipo. Si svilupperà
un attivo mercato finanziario: i CCF sono, in effetti, una categoria di titoli
di Stato. Ci saranno a regime massimi 400 miliardi di CCF in circolazione (due
anni di emissioni, dopo i quali le nuove assegnazioni sostituiranno quelle in
scadenza).
La
monetizzazione anticipata comporterà uno sconto finanziario, in quanto 100 euro
di CCF equivalgono (per quanto riguarda gli impegni verso il settore pubblico
italiano) a una banconota da 100 euro che non posso utilizzare se non tra due
anni. Ma il valore finale è certo, addirittura più di quello di un BOT destinato
a essere rimborsato in euro. Lo Stato potrebbe, infatti, andare in default sui
suoi impegni di pagamento di euro, mentre il CCF avrà sempre e comunque un
valore (in quanto lo Stato imporrà sempre il pagamento di tasse e imposte).
Lo sconto
finanziario sarà determinato dal mercato, ma approssimativamente lo si può
stimare non molto diverso da un tasso BOT a due anni.
Il compratore
finale dei CCF scambiati sul mercato sarà un soggetto che avrà esigenze di
pagamento nei confronti dello Stato italiano, per tasse o altro, e li
utilizzerà quindi alla scadenza.
D6. Per quali
motivo è prevista l’assegnazione di altri 50 miliardi, attribuiti direttamente
allo Stato italiano medesimo ?
R6. Potranno
essere utilizzati per altre forme di sostegno della domanda, quindi di spesa:
integrazione di reddito alle categorie disagiate, investimenti pubblici, spesa
sociale, interventi di ricostruzione in aree colpite da calamità naturali
eccetera.
D7. Perché viene
proposta un’emissione annua massima di 200 miliardi ?
R7. A causa del
calo di PIL prodotto nel 2008 dalla crisi finanziaria mondiale, e ulteriormente
(soprattutto dal 2012 in poi) dall’eurocrisi, il PIL italiano è fortemente
inferiore al suo potenziale. Se dal 2007 in poi si fosse avuta una crescita
reale media dell’1% - tasso considerato già modesto in condizioni normali – il
PIL 2015 sarebbe più alto di oltre 300 miliardi. Questo è l’output gap da
colmare. Una crescita media del 5% all’anno per tre anni è fattibile con la
riforma proposta, e colma la maggior parte di questo deficit di PIL.
D8. Le
assegnazioni annue massime previste però sono 200, non 300 miliardi.
R8. Sì, in
quanto un’immissione di domanda nell’economia avvia una catena di eventi – il
percettore di maggior reddito a sua volta in parte lo spende, aumentando il
reddito di altre aziende e/o individui, eccetera. Quindi l’effetto è più che
proporzionale.
D9. La
composizione dell’intervento di 200 miliardi – 80 alle aziende private, 70 ai
lavoratori, 50 in spesa pubblica – è arbitraria ?
R9. La
composizione esatta sarà il frutto di decisioni politiche. E’ però fondamentale
l’ordine di grandezza destinato alle aziende, in quanto occorre riallineare il
costo del lavoro per unità di prodotto italiano a quello dei membri più
efficienti dell’eurozona, in particolare della Germania. 80 miliardi sono il
18% circa dei costi di lavoro delle aziende private italiane, e l’attribuzione
di CCF ai datori di lavoro riporta quindi la competitività italiana a livelli
tedeschi, con risultati simili (anche se tramite un meccanismo differente) a
quanto farebbe la “spaccatura” dell’euro e il conseguente riallineamento
valutario.
Viene così meno
una fonte di squilibri: senza un miglioramento della competitività italiana,
buona parte del sostegno della domanda prodotto dai CCF alimenterebbe domanda
di prodotti esteri, squilibrando la bilancia commerciale. In questo modo, al
contrario, le aziende italiane diventeranno immediatamente più competitive, esporteranno
di più, e guadagneranno mercato interno nei confronti delle importazioni.
Va notato che
questo non comporta un danno significativo per la Germania, perché, in aggiunta
a quanto sopra, l’Italia otterrà anche una forte ripresa economica, il che
aumenterà il suo import, compreso di prodotti nordeuropei. Oggi i saldi
commerciali italiani sono positivi (partite correnti attive per il 2% circa nel
2014), ma solo grazie a una domanda interna molto depressa, che limita le
importazioni. Con la ripresa dell’economia, i due effetti si compenseranno –
più import per la maggior domanda, maggior export netto per la maggior
competitività. La bilancia commerciale italiana resterà in equilibrio, ma a
livelli decisamente più alti sia di import che di export.
D10. Si diceva
prima che le erogazioni non saranno pari a 200 miliardi fin dal primo anno, ma
raggiungeranno questo livello nel corso di un triennio…
R10. E’
realistico scaglionare l’intervento nel tempo, perché la maggior domanda dovuta
ai CCF stimolerà le aziende a produrre di più, ma rimettere in moto la capacità
produttiva oggi inutilizzata richiede tempo. I livelli effettivi e la distribuzione
temporale saranno tarati in funzione della risposta dell’economia, in modo che
l’occupazione recuperi senza che l’inflazione risalga in modo eccessivo. Oggi
siamo a zero inflazione e occorre ritornare al 2%.
Anche la quota
destinata alle aziende (gli 80 miliardi) potrà essere regolata nel tempo,
sempre con l’obiettivo di mantenere in sostanziale pareggio i saldi commerciali
esteri.
D11. Il progetto
prevede anche l’introduzione dei cosiddetti “BTP fiscali”. Di che cosa si
tratta ?
R11. Sono titoli
di stato con scadenze varie – anche pluriennali – che non pagano interessi e
capitale in euro. Danno invece diritto, via via che interessi e capitale
maturano, a ridurre per pari importo impegni finanziari verso la pubblica
amministrazione. Esattamente come i CCF, appunto.
D12. Come
verranno introdotti, e con quali finalità ?
R12. In primo
luogo, nel momento in cui cominceranno le assegnazioni dei CCF, si darà la
possibilità a tutti i possessori di titoli di stato “tradizionali” (BOT, CTZ,
BTP, CCT eccetera) di convertirli in BTP fiscali, con scadenze più lunghe e con
un tasso d’interesse più alto. Per esempio un BTP con tre anni di vita residua
e cedola del 2% potrebbe essere convertito in un BTP fiscale con sei anni di
vita residua e cedola del 4%. Questa opzione di conversione rimarrà
esercitabile (da parte del possessore del titolo) per tutta la vita residua.
Si evita in tal
modo che l’annuncio della riforma dia luogo a movimenti speculativi sui mercati
finanziari. Se il mercato dovesse reagire negativamente, si potrebbe creare una
pressione al ribasso nel valore nei titoli di stato in circolazione (quelli
tradizionali) creando problemi, per esempio, ai bilanci degli investitori
istituzionali (banche, assicurazioni eccetera) che li possiedono. Ma se un
titolo di stato è sempre convertibile in BTP fiscali – quindi in un titolo che
mantiene sempre, con certezza, un valore, perché è utilizzabile per pagare
tasse e non ha quindi rischio di default – la pressione al ribasso sopra citata
incontra una soglia.
Questa,
peraltro, non è l’unica finalità. Tanti più titoli vengono convertiti in BTP
fiscali, tanto più diminuisce l’ammontare di titoli di stato “tradizionali”,
che possono dar luogo a default. Si riduce così la possibilità di una “crisi
dello spread” come quella del 2011.
Per quanto
riguarda le nuove emissioni, anch’esse dovranno avvenire, nella maggior misura
possibile, mediante BTP fiscali e non emettendo titoli “tradizionali”. Il
debito in euro, quello che deve essere rimborsato e quindi può dar luogo a
default, deve essere ridotto il più rapidamente possibile, idealmente a zero. E’
prevedibile che sul mercato ci sia interesse per le emissioni di BTP fiscali, anche
in funzione del fatto che verranno ridotte – idealmente azzerate – quelle di
titoli “tradizionali”, e che i loro abituali compratori (specialmente gli
investitori istituzionali italiani) dovranno reimpiegare la loro liquidità. Uno
strumento d’investimento senza rischio di default è interessante per motivi
analoghi a quelli che rendono appetibile un titolo di stato in moneta sovrana.
D13. Ma i CCF e
i BTP fiscali non sono comunque debito pubblico ?
R13. No, perché lo
Stato italiano li accetterà in pagamento di imposte e altre obbligazioni
finanziarie nei suoi confronti, ma non dovrà mai rimborsarli. Non dovendoli rimborsare,
l’emittente non potrà, quindi, mai essere forzato al default.
D14. Quale sarà la
reazione dei partner europei ?
R14. Il progetto
CCF è la via per rendere sostenibile il sistema monetario europeo (senza
attuare una “transfer union”, che la Germania non accetta) ed elimina il rischio
di una deflagrazione dell’Eurozona. Inoltre, non si richiede alcun contributo
finanziario alla Germania, e non si convertono le attività finanziarie italiane
(depositi bancari, titoli di Stato) in moneta svalutata.
D15. I trattati
vanno riformulati ?
R15. Nella forma
attuale, sono ineseguibili. D’altra parte sono stati concepiti su istanza dei
paesi dell’ex area marco, che temono di doversi far carico dei debiti di uno o
più paesi del sud. Il progetto CCF produce una forte ripresa economica dei
paesi che lo adottano e nello stesso tempo riduce, con l’obiettivo realistico
di azzerare, il debito che crea rischio di default.
D16. Esistono tuttavia
dubbi che il progetto CCF possa essere attaccato in quanto non conforme ai
trattati.
R16. Paradossalmente
chi solleva questo tema afferma spesso che, essendo il progetto CCF a rischio
di attacco sulla base della non conformità ai trattati… bisogna attuare il
breakup ! Come se il breakup li rispettasse…
Il punto chiave
è che il progetto rende possibile il conseguimento degli obiettivi economici
che i trattati si prefiggono, in quanto consente sviluppo economico, occupazione,
stabilità monetaria e riduce rapidamente, fino a eliminarli, i rischi di
default sui debiti pubblici e i conseguenti dissesti finanziari. Al contrario,
gli obiettivi dei trattati non sono conseguiti da una serie di altre azioni –
l’OMT, le iniziative di sostegno intraprese dalla BCE, il QE stesso – che, a
loro volta, sono attualmente oggetto di azioni legali. Si può sicuramente
affermare che il progetto CCF è, rispetto a queste iniziative, almeno
altrettanto conforme ai trattati, nonché enormemente più efficace per quanto
attiene al raggiungimento dei loro obiettivi.
E’ importante
tenere a mente che i CCF non sono debito, in quanto lo stato emittente non ha
obbligazioni di rimborso. Ma non violano neanche il monopolio di emissione
della BCE, che riguarda la cosiddetta “legal tender”, cioè la moneta che
estingue qualsiasi tipo di obbligazione denominata in euro. I CCF emessi dallo
Stato italiano non danno diritto a estinguere un’obbligazione nei confronti di
un soggetto privato, italiano o estero. Solo lo stato emittente si impegna ad
accettarla, a partire da due anni dopo l’emissione: e questa è l’origine del
loro valore.
D17. Che effetti
si verificano riguardo al fiscal compact ?
R17. Il fiscal
compact impone un percorso accelerato di riduzione del rapporto debito pubblico
/ PIL. Per l’Italia (ma anche per altri paesi) si tratta di obiettivi
totalmente irrealistici. Tentare di conseguirli richiederebbe manovre fiscali
pesantissime che abbatterebbero ulteriormente il PIL, causando l’aumento – non la
riduzione - del rapporto debito / PIL.
Nelle condizioni
attuali il fiscal compact è quindi ineseguibile. Il progetto CCF, d’altra
parte, fornisce proprio la via per rispettarlo, appunto perché i CCF e i BTP
fiscali non sono debito, in quanto non creano rischio di default. In questo
modo gli obiettivi di riduzione del rapporto debito pubblico / PIL sono raggiungibili.
E gli interessi diventano collimanti: il debito pubblico italiano espresso in
euro, che la Germania teme, un giorno, di doversi sobbarcare a seguito di un
default italiano, scende rapidamente e viene sostituito da titoli non soggetti
a default. Situazione enormemente più tranquilla sia per la Germania che per
l’Italia.
E’ anche
possibile definire una serie di clausola di salvaguardia tali per cui il paese
che emette i CCF si impegna a mantenere, sempre e comunque, un saldo prestabilito
tra pagamenti e incassi in euro – il 3% originariamente previsto dal trattato
di Maastricht, o addirittura un saldo zero. Nel momento in cui evoluzioni
negative della congiuntura, o qualsiasi altra circostanza, impedissero il
raggiungimento di questi obiettivi, alcune componenti di spesa pubblica in euro
potrebbero essere sostituite da (ulteriori) erogazioni di CCF; oppure, potrebbero
essere introdotte o incrementate alcune forme di prelievo fiscale, compensando
però il prelievo con erogazioni di CCF al contribuente; o ancora, il possessore
di CCF potrebbe essere incentivato a posporne l’utilizzo, riconoscendo un
incremento di valore facciale in funzione del differimento (in pratica, un
tasso d’interesse).
L’utilizzo di
queste opzioni avrebbe effetti assai meno prociclici rispetto ai tagli di spesa
pubblica e/o alle maggiori tasse imposte attualmente dalle regole UE in caso di
mancato raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica. Non si avrebbero,
infatti, drenaggi di potere d’acquisto, ma solo sostituzioni di una forma di
attività patrimoniale (gli euro) con un’altra (i CCF).
D18. L’emissione
di CCF non produrrà inflazione ?
R18.
L’assegnazione di CCF produce un forte recupero della domanda e del PIL, ma gli
effetti inflazionistici sono enormemente limitati dall’altissima quota di
disoccupazione, quindi di capacità produttiva inutilizzata. Solo se l’ammontare
emesso superasse i livelli che consentono il ripristino della piena occupazione
si produrrebbe un eccesso d’inflazione. Va anche ricordato che, attribuendo CCF
alle aziende in funzione dei loro costi di lavoro, se ne riducono i costi
produttivi, con un effetto mitigante sull’inflazione. Peraltro, se un qualche
modesto incremento avesse luogo, è esattamente quanto serve per riportarla
dall’attuale zero (con rischio di cadere in deflazione) all’obiettivo BCE del
2%.
D19. Perché
preferire il progetto CCF alla “spaccatura” dell’euro ?
R19. Perché è
una riforma che può essere tranquillamente discussa e analizzata alla luce del
sole e non una “deflagrazione” da attuare di sorpresa, in tempi rapidissimi,
con rischi di panico bancario e sui mercati finanziari.
Perché non
costringe la Germania a lavorare, d’improvviso, con una moneta rivalutata.
Perché non c’è
svalutazione dei crediti stranieri verso l’Italia.
Perché non ci
sono effetti redistributivi su aziende e banche, e contenziosi in quanto non è
esattamente chiaro quali crediti e debiti si convertono in “Euro Nord” o “Nuovi
Marchi”, e quali in “Euro Sud” o “Nuove Lire”.
Perché il
cittadino italiano non si vede trasformare i suoi risparmi, il suo stipendio,
la sua pensione, d’improvviso, in un oggetto diverso, di cui è chiaro solo che
varrà di meno.
D20. Il progetto
CCF è applicabile ad altri paesi ?
R20. Certamente:
tutti i paesi dell’Eurozona che hanno oggi difficoltà, o comunque livelli di
competitività inferiori a quelli tedeschi, nonché alta disoccupazione, possono
introdurli (anzi è raccomandabile che lo facciano). Ciò nella misura, caso per
caso, opportuna per ripristinare competitività e piena occupazione, rispettando
i vincoli di inflazione stabile e moderata, e di equilibrio nei saldi
commerciali esteri.
D21. I CCF
diventeranno, a un certo punto, una vera e propria moneta circolante ?
R21. Il progetto
funziona anche a prescindere che i CCF vengano utilizzati per transazioni
correnti. Tuttavia è probabile che l’utilizzo quotidiano prenda piede e si
incrementi. Anche senza emetterli sotto forma di monete e banconote ma usandoli
per pagamenti elettronici (ad esempio via carta di credito) e come sottostante
nella definizione di contratti di lavoro, affitto, compravendita, eccetera. E’
possibile che, a un certo punto, il CCF diventi a tutti gli effetti la moneta circolante
principale.
D22. Questo
significa che il progetto CCF è, di fatto, una “via morbida” per l’uscita dall’euro
?
R22. Non è
scontato che lo sia, ma è effettivamente una possibilità. Per esempio, evoluzioni
economiche sfavorevoli possono portare determinati paesi a emettere CCF in
misura superiore al previsto (in particolare, a causa di un utilizzo frequente
delle clausole di salvaguardia). In questa eventualità, si verificherebbe una
perdita di valore dei CCF emessi da quello stato, che tuttavia non
pregiudicherebbe il valore dell’euro. Si inflazionerebbero, in pratica, i CCF
emessi dal paese, senza conseguenze per gli altri.
Questo è uno scenario,
forse il più probabile, che porterebbe a quanto detto sopra, cioè a rendere la
circolazione di CCF predominante, in singoli paesi, rispetto a quella degli
euro. A quel punto ci sarà la possibilità (che potrà anche essere disciplinata
da regole preconcordate) di trasformare i CCF in una vera e propria moneta
nazionale, realizzando appunto la fuoriuscita morbida dall’Eurosistema.
In definitiva,
quindi, se l’evoluzione macroeconomica è in linea con le attese, il paese che
emette i CCF può mantenere in essere un sistema in cui i CCF svolgono una funzione
complementare all’euro, per un periodo di tempo indefinito.
Se invece decide di utilizzare i CCF come
transizione verso l’uscita totale dall’Eurosistema – o se diventa opportuno
farlo perché la circolazione dei CCF finisce per essere predominante - i CCF sono effettivamente una “via morbida”
all’exit, che evita le notevoli complicazioni e incertezze connesse alla “spaccatura”
dell’euro.
mercoledì 12 agosto 2015
Una nuova meccanica per l'Eurosistema
Biagio Bossone - Marco Cattaneo
Contrariamente
alle sue premesse, l’euro si è rivelato fonte di divisioni e fattore di
regresso. Ritenendo irrealistico pensare di riformare l’Eurosistema, ma consapevoli
dei rischi di rotture traumatiche, proponiamo misure
coerenti con le sue attuali regole, che ridiano efficacia alla politica
macroeconomica, garantiscano stabilità finanziaria e aiutino i paesi membri che
non vogliono o non possono restare nel sistema a uscirne in modo morbido.
Speranze
perdute, nuovo realismo
Questa Europa
dell’euro non è certo quella in cui in molti avevano creduto: fatta, sì, di più
regole e disciplina, ma con lo sguardo rivolto a una moneta – l’euro – che
fosse non solo simbolo ma veicolo stesso d’integrazione, coesione, progresso. Di
quell’Europa, invece, proprio l’euro è diventato l’ostacolo più grosso,
rivelandosi fonte di divisioni e contrapposizioni, fattore di regresso e generatore
di arroganza dei forti contro i deboli e di assoggettamento di questi verso i
primi.
Per chi ha
coltivato il sogno di una moneta unificante, pensare oggi di riformare le istituzioni
europee per riportarle dentro quel sogno è puramente illusorio. Prendendo atto delle
difficoltà operative e delle turbolenze potenziali di una rottura brusca e
traumatica dell'euro, chi scrive propone misure che, assunte individualmente da
ciascun paese, compensino le carenze dell’attuale sistema e consentano di:
·
generare
una ripresa economica degli stati membri più colpiti dalla crisi,
·
ridurre
al minimo i rischi di insolvenza riconducibili al debito pubblico di alcuni di
questi stati, e
·
delineare
un’eventuale percorso di uscita morbida e senza tensioni dall’Eurosistema di
uno o più stati membri.
Sulla base di un
necessario realismo, dunque, puntiamo a un ridisegno della meccanica
dell’Eurosistema che ridia efficacia alla politica macroeconomica, permetta di
recuperare un quadro di stabilità fiscale e finanziaria, e aiuti i paesi membri
che non vogliono o non possono restare nel sistema a uscirne in modo morbido.
I
Certificati di Credito Fiscale
Nel nostro progetto
gioca un ruolo centrale uno strumento tecnico di cui proponiamo da tempo l’introduzione,
denominato Certificato di Credito Fiscale (CCF).[1]
I CCF sono titoli che danno diritto al possessore di ridurre i pagamenti per
imposte e qualsiasi altro tipo di obbligazione finanziaria nei confronti della
pubblica amministrazione dello stato emittente, a partire da una data futura
prestabilita (per esempio, due anni, di cui si dirà dopo).
Il possessore di
CCF acquisisce il diritto a ridurre le proprie obbligazioni finanziarie nei
confronti dello stato emittente. Di conseguenza, i CCF hanno un valore
economico: il possessore di CCF può mantenerli in portafoglio, oppure cederli (contro
euro) prima della data di esercizio per un valore pari al loro importo di
utilizzo al netto di uno sconto finanziario.[2]
Gli intermediari trovano conveniente acquistare CCF per utilizzarli come sconti
fiscali o per rivenderli a terzi a uno sconto minore.
Assegnazioni di CCF
Singoli stati
membri dell’Eurozona emettono CCF, assegnandoli gratuitamente a:
·
lavoratori
sia dipendenti che autonomi, appartenenti al settore privato o pubblico: i
redditi netti effettivi di tali lavoratori ne risultano incrementati
·
aziende,
in funzione dei costi di lavoro da esse sostenuti. Questo produce una riduzione
del cuneo fiscale e quindi del costo lordo del lavoro, migliorando la competitività
aziendale
·
interventi
di sostegno alla spesa sociale, tra cui indennità di disoccupazione,
integrazione di redditi, pensioni minime, benefici per fasce sociali disagiate
·
Finanziamento/cofinanziamento
di investimenti pubblici e opere di pubblica utilità.
Le assegnazioni
di CCF conferiscono ai percettori nuovo potere d’acquisto. Molti convertono i
CCF in euro e li spendono in consumi. Le imprese fanno altrettanto e hanno
anche la possibilità di utilizzare il minor carico fiscale per ridurre i prezzi
e recuperare competitività. In un’economia depressa, la spesa stimolata dalle emissioni di CCF ha un
effetto moltiplicativo su reddito e occupazione. Durante il periodo di
differimento fra assegnazioni e scadenza dei CCF, il nuovo output genera nuovo
gettito fiscale che finanzia i minori introiti derivanti dall’esercizio dei CCF.
Gli stati membri
dell’Eurozona avviano un programma di emissione di CCF, puntando a::
·
rafforzare
la domanda interna e conseguente incremento di PIL e occupazione
·
migliorare
la competitività delle produzioni domestiche (grazie alla quota di CCF
assegnata alle aziende). Questo evita che l’innalzamento della domanda interna
crei squilibri nei saldi commerciali esteri, sostenendo le esportazioni e favorendo
la sostituzione con produzioni interne di una parte delle importazioni di beni
e servizi
·
evitare
che si crei una situazione di deflazione o comunque di inflazione interna cronicamente
inferiore all’obiettivo della BCE (“inferiore ma prossima al 2%”).
I CCF sono oggetti ibridi…
I CCF non sono
titoli di debito: lo stato emittente non assume alcun impegno di rimborsarli in
euro, ma solo di accettarli per ridurre le obbligazioni finanziarie nei suoi
confronti. Non esiste fattispecie, né teorica né pratica, sotto la quale lo
stato emittente possa andare in default sulle obbligazioni sottostanti i CCF.
I CCF non sono
neanche moneta legale, che resta unicamente l’euro. Nessun soggetto privato o
pubblico è obbligato ad accettare pagamenti in CCF. Solo lo stato emittente
attribuisce al possessore di CCF la facoltà di ridurre gli impegni di pagamento
dovuti nei suoi confronti.
L’unità di conto
rimane l’euro, i depositi bancari restano denominati in euro, e i bilanci
pubblici e privati continuano a essere redatti in euro.
…sono però riserva di valore e
potenziale mezzo di pagamento
Pur non essendo
moneta legale, i CCF possiedono due caratteristiche tipiche della moneta. Sono
una riserva di valore, in quanto il diritto a uno sgravio fiscale futuro
costituisce un arricchimento patrimoniale dell’assegnatario. E sono un
potenziale mezzo di pagamento in quanto, pur non sussistendo un obbligo di
legge, è presumibile che essi circolino e vengano accettati come corrispettivo
di pagamento nello scambio di beni e servizi. Naturalmente, è necessaria a tal
fine un’infrastruttura di pagamento che renda possibile la loro circolazione in
via elettronica.
Stabilità
fiscale
Obiettivi di bilancio pubblico
I trattati che
governano il funzionamento dell’Eurosistema vincolano gli stati membri al
raggiungimento di determinati obiettivi di finanza pubblica. Quando la situazione
economica generale è negativa, tuttavia, il tentativo di conseguire una
riduzione del deficit pubblico mediante politiche fiscali restrittive produce
effetti pro-ciclici che non consentono il raggiungimento dell’obiettivo, o lo
permettono solo a costi sociali altissimi. L’introduzione dei CCF risolve quest’incoerenza
interna all’Eurosistema. Ogni stato membro può impegnarsi, per esempio, al
mantenimento di un saldo zero tra incassi e pagamenti in euro, avendo a
disposizione lo strumento delle assegnazioni di CCF per effettuare le
necessarie politiche di stimolo anticiclico della domanda.
Per i paesi che
devono recuperare domanda interna e competitività – in particolare, Italia,
Spagna e Francia – un programma CCF correttamente impostato è, con ogni
probabilità, sostenibile nel tempo. In presenza di un moltiplicatore fiscale
(rapporto tra espansione del PIL e CCF emessi) anche leggermente inferiore
all’unità, operante nel corso del periodo di differimento dei CCF, questi paesi
possono conseguire gli obiettivi di rilancio economico senza peggiorare il
rapporto tra deficit pubblico e PIL. Se poi il moltiplicatore fiscale è
superiore a 1 (come la maggior parte della dottrina macroeconomica ritiene, in
contesti di economia fortemente depressa) il programma, addirittura, si
autofinanzia totalmente e genera risorse fiscali aggiuntive. Anche nel momento
in cui (due anni dopo l’inizio delle assegnazioni) i CCF cominciano a essere
utilizzati per ridurre i pagamenti di imposte, le maggiori entrate fiscali
conseguenti al più alto livello di PIL compensano totalmente il calo di gettito
connesso all’utilizzo dei CCF.
Clausole di salvaguardia
Nel caso in cui uno
stato che adotta il programma CCF abbia difficoltà a raggiungere gli obiettivi
di finanza pubblica, a causa, per esempio, di un quadro congiunturale più
sfavorevole del previsto, esso può attivare clausole di salvaguardia interventi
volti ad assicurare l’equilibrio entrate/uscite in euro e il contenimento del
debito pubblico. In particolare, può:
·
sostituire
alcune componenti di spesa in euro, erogando una parte del corrispettivo in CCF
·
introdurre
(o incrementare) alcuni prelievi fiscali, compensando il prelievo di euro con erogazioni
di CCF (in pratica, si tratterebbe non di tassazione ma di conversione forzosa
di euro in CCF)
·
incentivare
i detentori di CCF a posporne l’utilizzo per sconti fiscali, riconoscendo un
incremento del loro valore facciale (in pratica, un tasso d’interesse) connesso
a questo differimento
·
collocare
nuovi CCF sul mercato in cambio di euro.
L’utilizzo di queste
opzioni avrebbe effetti assai meno pro-ciclici rispetto ai tagli di spesa pubblica
e/o alle maggiori tasse imposte dalle regole dell’UE in caso di mancato
raggiungimento degli obiettivi. Essi non causerebbero drenaggi di potere
d’acquisto, ma sostituirebbero una forma di attività patrimoniale (gli euro)
con un’altra (i CCF).
Stabilità
finanziaria
Rottura della spirale crisi del debito
sovrano / crisi del sistema bancario
L’introduzione
dei CCF crea anche le condizioni per ridurre gradualmente, fino a eliminarlo,
un altro grave problema insito nell’Eurosistema. Le istituzioni finanziarie e
in particolare i sistemi bancari nazionali detengono grosse quantità di titoli
di stato emessi dal loro paese di residenza. L'insolvenza dello stato produce
quindi gravi dissesti per il locale sistema bancario. Allorché i CCF entrano in
circolazione, si verifica negli attivi delle banche una parziale sostituzione
di titoli di stato tradizionali con CCF. Contestualmente diminuisce il rischio
che il default dello stato mandi in crisi il sistema bancario locale.
Stabilità monetaria dell’Eurosistema e
opzione di uscita “morbida”
Evoluzioni meno
favorevoli del previsto possono portare determinati paesi a incrementare
eccessivamente i CCF in circolazione (ad esempio, a causa di un ricorso troppo esteso
alle clausole di salvaguardia). In quest’eventualità, si verificherebbe una
perdita di valore dei CCF emessi da quello stato, che tuttavia non
pregiudicherebbe il valore dell’euro. Si inflazionerebbero, in altri termini, i
CCF del paese e non l’euro, senza conseguenze per gli stati che non emettono CCF.
Un singolo stato
che si trovasse costretto a inflazionare le assegnazioni di CCF si troverà nella
situazione in cui la circolazione di CCF è predominante rispetto a quella di
euro. A quel punto ci sarà la possibilità (che potrà in effetti essere
disciplinata a priori) di trasformare i CCF in una moneta statale a tutti gli
effetti, realizzando quindi una fuoriuscita morbida di quello stato
dall’Eurosistema.
Cosa
ne penserebbero i nostri partner?
L’elite tedesca,
in questo momento rappresentata soprattutto dal Ministro delle Finanze Schaeuble,
ha capito che l’Eurosistema non funziona, salvo adottare politiche di stampo
keynesiane e trasferimenti che però tanto la Germania quanto gli stati membri
nord-europei ritengono un insuperabile tabù. Segnali significativi in tal
senso sono il rapporto dei cinque saggi in Germania e il piano scritto proprio
da Schaeuble, entrambi resi noti nei giorni scorsi Si tratta, in pratica, di
proposte volte a rafforzare i meccanismi ordoliberisti e prevedere che chi non
riesce a conviverci esca dal sistema. In quest'ottica, la Germania era pronta
(e lo è tuttora) ad attivare la Grexit.[3]
È tuttavia
ragionevole ritenere che uno schema tipo CCF, che consenta l'uscita morbida di
Italia, Spagna e probabilmente Francia, possa non essere mal visto dalla
Germania e i suoi paesi satelliti. La Germania proseguirebbe l’integrazione con
i paesi in grado di seguire le proprie regole (Olanda, Austria e qualcun altro),
mentre gli altri paesi si separerebbero garantendo la solvibilità dei propri
debiti.[4]
Per
una nuova meccanica dell’Eurosistema: conclusione
In conclusione,
allorché una riforma dell’Eurosistema richiederebbe di mettere pesantemente le
mani sul disegno architetturale del sistema, sulle sue istituzioni centrali e
persino sui principi che ispirano le loro politiche, noi non nutriamo questa
ambizione.
Non ne vediamo
né le premesse né i paesi o i leader che possano ispirare la volontà comune di
guardare a una simile riforma. No, noi non puntiamo a quanto riteniamo essere
oggi politicamente impossibile. D'altra parte, riteniamo che una rottura del
sistema abbia grosse difficoltà attuative e comporti rischi di
destabilizzazione del sistema finanziario difficili da valutare.
Proponiamo invece
una meccanica stabile per chi vorrà restare, che renda finalmente possibile
coniugare sostenibilità fiscale e finanziaria e forte ripresa della crescita, e
che al contempo consenta di preparare un’uscita morbida per chi vorrà uscire o per
chi non potrà reggere il passo degli altri.
[1]
La proposta è stata illustrata in modo dettagliato e approfonditamente studiata
nell’e-book di recente pubblicazione da Micromega “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare
l'euro”, a cura di B. Bossone, M. Cattaneo, E. Grazzini e S. Sylos Labini,
con la prefazione di L. Gallino (http://temi.repubblica.it/micromega-online/“per-una-moneta-fiscale-gratuita-come-uscire-dallausterita-senza-spaccare-leuro”-online-il-nuovo-ebook-gratuito-di-micromega/).
Una recente e sintetica presentazione dell’idea di fondo, arricchita di
ulteriori considerazioni, è riportata in B. Bossone e M. Cattaneo, “I
Certificati di Credito Fiscale e John Maynard Keynes”, Keynes Blog, 20
luglio 2015 (http://keynesblog.com/2015/07/20/i-certificati-di-credito-fiscale-e-john-maynard-keynes/).
[2]
Tale sconto sarà presumibilmente non molto diverso dal tasso d’interesse
applicabile a un normale titolo di stato di pari durata.
[3]
Si vedano su Reuters, “German
"wisemen" say euro zone states should be able to go bankrupt”, 28
July, 2015 (http://mobile.reuters.com/article/idUSB4N0ZN01L20150728)
e su Financial Times, “Schäuble outlines
plan to limit European Commission powers”, 30 July 2015 (http://www.ft.com/intl/cms/s/0/88352cf2-3697-11e5-bdbb-35e55cbae175.html#axzz3hYe9OAHs).
[4]
Tali debiti rimarrebbero in euro e diminuirebbero rapidamente in proporzione al
PIL, grazie alla garanzia del pareggio incassi-uscite in euro, sopra discussa,
e utilizzando i CCF per far ripartire le economie e attivando, se necessario,
le clausole di salvaguardia.
giovedì 6 agosto 2015
A New Mechanism for the Eurosystem
By Biagio Bossone and Marco Cattaneo
Lost hopes and new realism
Today’s Eurosystem is certainly not the system that many European
citizens had in mind when they first thought about the single currency. Indeed,
they expected a system built on strong rules and discipline. Yet they expected above
all a system whose new currency - the euro - would be a symbol of and a vehicle
to further European integration, cooperation and economic prosperity. To that
vision the euro has become the biggest obstacle, proving to be an instrument of
division, a source of conflicts, and a generator of arrogance and subjugation.
For those who cultivated the dream of a unifying currency, thinking
today of reforming the EU institutions with a view to bringing them back into
that dream is pure illusion. We start from this premise. Yet, being aware of the
deep uncertainty surrounding a traumatic breakup of the system, we propose a
set of measures that would make possible within the system’s current structure to:
·
Engineer economic
recovery by those member states that are most affected by the crisis
·
Minimize the risk
of default from member states that are most exposed to debt, and
·
Allow a soft exit for
those member states that choose to leave the euro.
A fiscal plan
In an economy where the public sector may not increase spending, we
propose that the government issues special non-debt instruments, the Tax Credit
Certificate (TCCs). These certificates entitle their holders to a reduction of
taxes, fees and all other financial obligations to the public sector, two years
from their issue-date and for amounts equivalent to their face value. We will
discuss the two-year deferral period shortly. The TCCs are transferable
securities that can be traded for euros, thus making immediate spending
possible. Likely, these securities will trade at a discount of a similar size
to that on a two-year zero-coupon bond. Those who sell TCCs want to be able to
spend their value. Those who buy them acquire the right to future tax cuts (and
therefore to future savings). Financial intermediaries can buy TCCs at a
discount from those who want to sell them, and will either use them for future
tax cuts or sell them at a lower discount and make a profit in return.
TCC assignments
Individual member states of the Eurozone issue TCCs and assign them (free
of charge) to a number of social categories and for a number of purposes,
including:
·
Employees and
self-employed workers, both in the private and public sector: this adds to
their actual net income
·
Companies, based
on their labor costs: this reduces the tax wedge (and hence their gross staff
costs) and improves their competitiveness
·
Measures to
support social spending, such as unemployment benefits, integration of income
and minimum pensions, benefits for disadvantaged social groups
·
Financing and co-financing
of public investment and public works (public procurement with payments
partially or totally paid out in TCCs instead of euros).
As the state assigns TCCs to households and companies, many households will
want to convert them into euros for spending purposes. Companies, on their
side, will likely do the same or will take advantage of the lower tax burden to
lower their prices and restore competitiveness. In a depressed economy,
spending stimulated by TCC issuances will have a multiplier effect on income
and employment. Prospects of credit risk will improve and strengthen the
incentive for banks to resume lending to production and investment. During the two-year
deferral on the TCCs, new output will follow from new spending and will
generate new tax revenue that will finance the tax reduction. This will prevent
the deficit-to-GDP ratio from going up.
TCC volumes and allocations
Eurozone member states shall establish a program for the issue of TCCs,
aiming to achieve the following results:
·
Stimulating domestic
demand and consequently increase GDP and employment
·
Improving external
competitiveness of domestic production (via TCC assignments to companies): this
prevents the increase in domestic demand from resulting in foreign trade
imbalances, by supporting exports and encouraging import substitution
·
Fighting deflation
or chronically below ECB-target inflation.
The TCCs are hybrid securities...
The TCCs are not debt instruments: the issuing state makes no commitment
to repaying them in euros, it only promises to reduce taxpayer obligations by
an equivalent amount. There is no possibility, either theoretical or practical,
that the issuing state might be forced to default on the TCCs.
The TCCs are not legal tender. The only legal tender of the Eurozone member
states remains the euro. No private or public entity is obliged to accept
payments in TCCs. Bank deposits continue to be denominated in euros, and public
and private budgets and balance sheets continue to be drawn up in euros.
...yet they are a store of value and potential means of payment
While they are not legal tender, the TCCs bear two characteristics that
are typically associated with money. They are a store of value, since the right
to future tax reliefs attached to them is a source of value. And they are a
potential means of payment since, apart from legal obligations, it is likely
that the TCCs will circulate and be accepted for payment in exchange of goods
and services, provided that the payment infrastructure allows for circulation
of electronic (dematerialized) securities.
Fiscal stability
Public budget targets
The treaties that govern the operation of the Eurosystem bind member
states to attain certain fiscal targets. When general economic conditions are
bad, the attempt to achieve a reduction of the public deficit through restrictive
fiscal policies produces pro-cyclical effects. Under such effects, either the governments
fail to achieve the given targets, or they have to impose additional costs on
the society if they want to secure their achievement. The introduction of the TCCs
addresses this internal inconsistency of the Eurosystem. Each member state can
commit, for example, to maintaining a zero balance between euro receipts and
payments, as it can rely on TCC assignments to engineer the necessary stimulus.
Sustainability of the program CCF
For all countries of the Eurosystem that need to stimulate demand and recover
external competitiveness – most notably Italy, Spain and France – a TCC program
would in all likelihood be sustainable. With a fiscal multiplier (ratio of GDP
growth and TCCs issued) slightly less than one, these countries would achieve
the policy objectives described above (raise output and employment, balance
foreign trade, price stability) without worsening the deficit-to-GDP ratio. Moreover,
if the fiscal multiplier exceeds 1 (as econometric evidence generally shows to
be the case in all highly depressed economies), the program non only fully funds
itself but also generates additional fiscal resources. When two years after issuance
the TCCs start being used to reduce tax payments, the higher tax revenues
resulting from the higher level of GDP offset the decline in revenue due to the
use of the TCCs.
Safeguard clauses
However, if a government that is implementing a TCC program has
difficulty reaching its fiscal targets, due to, say, less than favorable economic
conditions, it can take a number of actions to ensure a balanced euro budget and
public debt consolidation. Specifically, it may introduce a number of safeguard
clauses into the program, which would be triggered in the event that output
growth were to generate less tax revenues than expected. The government may:
·
Announce its
commitment to finance a (presumably small) share of its expenses in TCCs
·
Compensate taxpayers
for tax raises by assigning them with new TCCs (this would be equivalent to
replacing tax increases with compulsory TCC-for-euro swaps)
·
Incentivize TCC
holders to delay the use of their maturing TCCs for tax rebate by increasing
the value of their TCC holdings (this would be equivalent to paying an interest
in the form of new TCCs)
·
Raise euro funds
from the capital market by placing TCCs with longer maturities instead of
issuing debt.
The effect of these clauses would be way far less pro-cyclical than cutting
public expenditure and/or raising taxes since, as under EU rules, they would
not drain purchasing power from the economy and would only replace one type of
assets (euros) with another (TCCs) in the portfolio of TCC holders.
Financial stability
Breaking the spiral between sovereign debt crisis and banking crisis
The introduction of the TCCs also creates conditions for reducing and gradually
eliminating another serious problem inherent in the Eurosystem. Financial
institutions, in particular the national banking systems, hold large amounts of
government bonds issued by their government. As a result, state insolvency causes
severe disruptions to them.
As TCCs starts being issued, banks can partially replace traditional government
bonds with TCCs on the asset side of their balance sheet. This progressively
lowers the risk that state default hits the local banking system.
Eurosystem monetary stability and “soft” exit option
Underperformance of fiscal targets, due to, say, less favorable than expected
revenues, may lead certain countries to increase excessively the issuance of
new TCCs (for example as they need to resort to safeguard clauses too often).
In this case, the TCCs would lose value in terms of domestic prices but that
would not affect the value of the euro, avoiding any negative impact on the countries
that do not issue (or do not over-issue) TCCs.
A country that would over-issue TCCs eventually might find itself in a situation
where the domestic circulation of TCCs would be predominant with respect to that
of euros. At that point, there will be the possibility (which might in fact be
regulated a priori) to transform the TCCs into a national currency, thus de
facto enacting a soft exit from the Eurosystem.
What would our partners think?
German leading opinion – currently personified by Germany’s Minister of
Finance Wolfgang Schaeuble – has got the point that the Eurosystem, as it is,
doesn’t work, unless Keynesian policies and fiscal transfers are adopted. But
this is taboo for Germany and the other North-European countries. In this light
one should read the wisemen report and the plan written by Schaeuble himself, both
just released.[1] In
practice, both documents delineate proposals to strengthen the ordoliberal
rules governing the system and to provide for the exit of those members that are
not able to live with the rules. In this regard, Germany was (and still is)
ready to let Greece go.
Against this background, it would be reasonable to assume that the TCC
program might not be rejected by Germany and its satellite states, since it
would eventually allow for the exit of Italy, Spain, and probably even France. While
Germany would further on its integration with countries that can follow its
rules (the Netherlands, Austria and some others), other countries would de
facto part with the system. Yet the TCC program would ensure their debt
repayment capacity, since their public debt would rapidly decline in proportion
to their GDP thanks to the balanced euro budget rule and the safeguard clauses
discussed above.
For a new mechanism of the Eurosystem: Conclusion
A sweeping reform of the Eurosystem would require an overhaul of its architectural
design, its central institutions, and even the principles underpinning its
policies. We do not nurture such an ambition, as we see neither the premises of
it nor the countries and the leaders who can inspire it. On the other hand, we
are aware that breaking up the system might have destabilizing and potentially
dangerous and costly consequences.
We therefore propose a revision of the system, which, on the one hand, would
allow crisis countries that want to remain in it to achieve rapid economic
recovery, as well as fiscal and financial sustainability, while on the other it
would prepare for a soft exit those countries that do not want to stay in the
system or cannot live by its rules.
[1] Ses on Reuters, “German "wisemen" say euro zone states
should be able to go bankrupt”, 28 July, 2015 (http://mobile.reuters.com/article/idUSB4N0ZN01L20150728) e on the Financial Times, “Schäuble outlines plan to limit European
Commission powers”, 30 July 2015 (http://www.ft.com/intl/cms/s/0/88352cf2-3697-11e5-bdbb-35e55cbae175.html#axzz3hYe9OAHs).
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