domenica 27 agosto 2023

Le basse retribuzioni delle PMI ??

 

Rimane, chissà perché, molto folta la compagine di economisti, politici, commentatori economici (da bar ma anche no) convinti che uno dei problemi dell’Italia sia la bassa dimensione media delle aziende, e che si risolverebbe chissà che cosa con provvedimenti tipo incentivi alle aggregazioni.

Tempo fa avevo debunkato l’argomentazione riguardante la bassa produttività del lavoro delle microaziende. Vedi qui: la bassa produttività del lavoro si accompagna a un’alta produttività del capitale investito, e dipende dal fatto che le PMI sono tipicamente poco capital intensive. Se hai bisogno di molto capitale fisico per operare, naturalmente la tua produttività del lavoro deve essere elevata (se no chiudi), ma hai anche spese elevate per investimenti e manutenzione degli impianti, quindi non è affatto detto che il tuo modello d’impresa sia più efficace e più sostenibile.

Però comunque le grandi aziende pagano meglio delle piccole. Si dice. Ma è vero ?

Pochi giorni fa vedo circolare su LinkedIn questi dati (fonte non citata, ma non ho ragione di dubitare della loro affidabilità) secondo i quali le micro- e piccole aziende pagano effettivamente retribuzioni più basse della media. Per cui comunque la crescita di scala resta un obiettivo da perseguire. No ?


No. Sicuramente non sulla base di quei dati.

La tabella indica, ad esempio, che il costo del lavoro medio per le aziende sotto i dieci dipendenti è 25.000 euro all’anno, ben al di sotto della media nazionale di 36.800.

Non è però messo in evidenza un dettaglio, tutt’altro che irrilevante. L’azienda sotto i dieci dipendenti è, evidentemente, un piccolo esercizio commerciale o artigianale. Dove il titolare lavora fianco a fianco dei dipendenti, ma non è un dipendente. Percepisce il suo reddito come lavoratore autonomo, o come amministratore, o magari come detentore delle quote di capitale.

Prendiamo ad esempio un’ipotetica aziendina con cinque dipendenti, che lavorano fianco a fianco con, e alle dipendenze del, titolare. I cinque percepiscono 25.000 euro lordi, il titolare (che ha avviato l’azienda, che si assume il rischio di impresa, che in genere è più avanti di età e più esperto) si paga 100.000 euro lordi di emolumenti da amministratore.

Il costo del lavoro VERO è 25.000 x 5 + 100.000 = 225.000 cioè 37.500 euro a persona. E la differenza rispetto alla media nazionale di 36.800 sparisce.

Un esempio irrealistico o comunque ipotetico ? ve ne faccio un altro concreto. Sto negoziando la possibile acquisizione di una piccola ma florida azienda meccanica, con 24 dipendenti e un costo del lavoro totale (nel 2022) di 1.200.000 euro all’anno. Il costo del lavoro per dipendente qui è sopra la media, l’azienda del resto impiega un buon numero di tecnici specializzati: 50.000 euro.

Ma quest’ultimo dato è una sottostima perché nell’azienda opera anche il titolare, che si paga la bellezza di 500.000 di emolumenti annui nonché 1.200.000 di dividendi.

Fare la media mettendo nel conto tutto ciò che percepisce il titolare non sarebbe corretto. Questa comincia a essere un’azienda strutturata, che ha effettuato investimenti, che ha un valore a prescindere da chi la conduce. Tanto è vero che, in vista della possibile cessione, si è già definito di assumere un direttore generale che prenderà le funzioni dell’attuale titolare.

E il manager entrante non percepirà, naturalmente, 500.000 euro all’anno né tantomeno 1.200.000 o 1.700.000. Sarà un dipendente, non un azionista. Ma un dipendente altamente qualificato e specializzato, con una retribuzione lorda annua di 250.000 euro.

Il che significa che non avremo più un monte retribuzioni di 1.200.000 per 24 persone, ma di 1.450.000 per 25. E “come per magia” la media salirà da 50.000 a 58.000.

Cosa ci dice tutto questo ?

Che bisogna interpretare i dati e non prendere una tabella come un oracolo, senza riflettere sulla realtà sottostante. La grande maggioranza delle aziende sotto i 50 dipendenti, ma anche moltissime di quelle tra i 50 e i 250, hanno pochi o nessun dirigente perché le funzioni manageriali sono svolte dai titolari (che spesso sono più di una persona, e magari comprendono membri della stessa famiglia).

E i titolari abbassano la media del costo del lavoro per dipendente perché… non sono dipendenti.

La crescita implica migliori retribuzioni per i dipendenti ? sì, ma non perché le aziende “si concentrano”. Implica migliori retribuzioni se l’economia è in pieno impiego, se la domanda è tonica, se le aziende (grandi e piccole) sono incentivate a competere per assicurare buone condizioni ai lavoratori.

Non è il modello PMI italiano che è diventato obsoleto. L’economia italiana è andata in crisi perché da un quarto di secolo sta facendo austerità per cercare di risolvere (senza riuscirci) un problema inventato (il debito pubblico, che lasciandolo in lire problema non sarebbe mai stato). E perché usa una moneta straniera, sopravvalutata per i propri fondamentali.

Ma a chi ha sostenuto la demenziale decisione di entrare nell’euro e di aderire ai trattati europei, naturalmente, i capri espiatori fanno comodo. E le PMI sono uno dei capri espiatori preferiti.

mercoledì 23 agosto 2023

Non preoccupatevi per la Cina

 Durante lo scorso weekend, i giornaloni erano pieni di titoli allarmati e allarmistici in merito alla crisi immobiliare cinese, al presunto fallimento del loro modello di sviluppo, ai rischi di contagio per l'economia mondiale eccetera.

Avevo in mente di scrivere un post per smentire le Cassandre, ma mi sono poi accordo che Michele Geraci mi aveva preceduto, e non faccio quindi altro che citarlo.


Tweet del 19.8.2023, ore 13.01.

Aggiungo solo che il punto fondamentale a mio avviso è l'ultimo, e naturalmente la moneta unica, per quanto ci riguarda (cioè per quanto riguarda l'Italia) è una parte sostanziale e sostanziosa del problema.


mercoledì 16 agosto 2023

Il rendimento del debito pubblico

 

Il rendimento del (cosiddetto) debito pubblico DEVE essere fissato dalle autorità governative, in quanto si tratta di una forma, una tra le varie, di destinazione della spesa pubblica.

La normalità, per uno Stato, è avere conti pubblici in deficit, cioè immettere nell’economia più potere d’acquisto di quanto ne venga prelevato con le tasse.

Il deficit pubblico si trasforma, centesimo per centesimo, in risparmio privato, quindi in risparmio di aziende e cittadini residenti nel paese (se non ci sono variazioni nei conti con l’estero).

A questo risparmio può essere garantita una remunerazione: questa è la funzione del debito pubblico. La remunerazione è una destinazione della spesa pubblica, e compete allo Stato stabilire se debba essere più o meno alta, se debba essere fissa o variabile, se debba essere proposta a livelli differenziati in funzione di una scadenza temporale del risparmio investito in passività del Tesoro, eccetera.

La remunerazione garantita al risparmio è quindi una decisione politica. Come è una decisione politica quanti soldi destinare alla sanità, alla pubblica istruzione, agli investimenti in infrastrutture, all’ordine pubblico, eccetera.

Uno Stato CHE EMETTE LA PROPRIA MONETA può E DEVE definire la remunerazione del debito pubblico in funzione di scelte politiche, tenendo naturalmente in conto (tra gli altri) obiettivi di massimizzazione dell’occupazione, di stabilità monetaria, di equilibrio nei conti con l’estero.

NON deve lasciare che la remunerazione del debito pubblico venga definita dagli operatori di mercato e dai loro comportamenti, spesso speculativi e non necessariamente razionali. E comunque disallineati rispetto alle necessità del paese. Non perché gli operatori di mercato siano “cattivi”, ma perché soddisfare le necessità del paese non è il loro obiettivo.

 

mercoledì 9 agosto 2023

Banche ed extraprofitti

 

Non so se la sovrattassa sugli extraprofitti bancari sia una buona o una cattiva mossa. Non ho ancora abbastanza dettagli. D’istinto sono scettico sulle proposte di nuove tasse. E sono invece molto più in linea con il concetto che sarebbe meglio rendere il sistema bancario più competitivo.

Motivo ? le banche stanno generando grossi utili perché i tassi d’interesse sono saliti rispetto al livello zero o giù di lì degli ultimi anni: senza che questo incremento sia stato condiviso con i depositanti. Sui conti correnti e sui depositi le banche continuano a pagare zero o zero virgola.

In passato, negli anni della lira, le cose non funzionavano così. E la domanda che mi pongo, ma me la ponevo anche prima, è la seguente: la cosiddetta “Europa”, cioè la UE, afferma che l’economia deve diventare il più concorrenziale e competitiva possibile. Fortemente competitiva.

Ma la cosiddetta “Europa”, in questo caso l’ente di riferimento che è la BCE, nello stesso tempo dice, in effetti da parecchio tempo, che le banche sono troppe e che bisogna stimolare il sistema bancario a concentrarsi, a ridurre il numero degli operatori.

Il che in effetti è avvenuto e il risultato lo stiamo vedendo. I benefici dell’incremento dei tassi non vengono condivisi con i risparmiatori. La concentrazione crea una rendita di posizione oligopolistica.

La motivazione di questa difformità di comportamento sarebbe interessante che qualche autorità UE / BCE, o anche solo qualche commentatore euroentusiasta (ce ne sono parecchi) la spiegasse. Perché spiegazioni non ne ho mai sentite, e francamente non riesco a ipotizzarne nessuna.

mercoledì 2 agosto 2023

Più spesa, più reddito ?!

 

Ogni tanto leggo commenti di euroausterici vari & assortiti che manifestano stupore (quanto va bene) o sbeffeggiano (più spesso) l’affermazione che a livello macroeconomico un incremento di spesa, o meglio di deficit, pubblico, equivale a un incremento di reddito privato.

Uno di loro definiva questo concetto una macchina del moto perpetuo. In altri termini: un’assurdità, un’insensatezza.

In realtà non solo è vero, ma è addirittura elementare.

Il deficit pubblico è immissione di potere d’acquisto nel settore privato dell’economia. Se lo Stato spende più di quanto tassa, il settore privato incassa più di quanto paga. Incrementa il suo reddito disponibile e il suo risparmio.

Naturalmente, se l’incremento di deficit pubblico si accompagna a un peggioramento di saldi commerciali con l’estero, l’incremento di reddito e di risparmio va a beneficio (parzialmente o totalmente) del settore privato ESTERO, non di quello nazionale. Ma sempre di settore privato si tratta. E se non c’è beneficio per il paese, è per un problema di deficit estero, non di deficit pubblico.

Ma allora basta stampare per arricchire qualcuno ? è questa la (presunta) implicazione che gli euroausterici trovano ridicola.

Invece non c’è nulla di ridicolo. Il deficit pubblico aumenta il reddito NOMINALE a disposizione del settore privato.

L’incremento del reddito nominale corrisponde a un incremento del reddito REALE se la maggiore capacità di spesa alimenta maggiore produzione di beni e servizi, come è altamente probabile nel momento in cui c’è un consistente sottoutilizzo di risorse produttive (manodopera e capacità produttiva delle aziende).

Diversamente, se l’incremento di reddito nominale non si accompagna a maggiore produzione, a crescere sono i prezzi. Quindi il reddito nominale aumenta ma il reddito reale no.

Ragionando su questi concetti si comprende quanto sia stata scellerata l’austerità imposta dalle euroregole a vari paesi dell’Eurozona, e purtroppo per noi in particolare all’Italia, tra il 2011 e il 2019. Sforzi di contenimento del deficit pubblico in anni in cui il PIL era decisamente al di sotto del suo potenziale e l’inflazione era SOTTO, non sopra, gli obiettivi della stessa BCE.

Un danno economico inflitto al paese dell’ordine di svariate centinaia, anzi complessivamente di migliaia, di miliardi.