Riaffiora il nome di Giuliano Amato come possibile prossimo presidente della repubblica, e Annalisa Cuzzocrea sulla Stampa commenta tra le altre cose che gli viene imputato “il prelievo forzoso del sei per mille sui depositi bancari che – insieme a una finanziaria da 93mila miliardi – servivano a salvare l’Italia dalla bancarotta e dall’isolamento”.
Vicenda questa avvenuta nel luglio del 1992. Il prelievo del sei per mille colpì molto – in negativo – l’immaginazione collettiva perché aveva tutta l’aria di una sgraffignata avvenuta con il favore delle tenebre.
In realtà si trattò di un’azione molto più di immagine che di sostanza. Difficilmente una famiglia media, a quei tempi, teneva in banca sui conti più di una decina di milioni di lire. La liquidità la si parcheggiava in BOT e CCT, felici di portarsi a casa rendimenti del 7%, 10%, 12% (lo lascio come informazione storica a beneficio dei fenomeni che ripetono come un disco rotto “ma chi mai comprerebbe titoli di Stato in lire ?").
Il sei per mille di dieci milioni sono 60.000 lire, trenta euro odierni; che a potere d’acquisto attuale corrispondono a 50-60.
Se ti sfilano di tasca cinquanta o sessanta euro non sei felice, ma è difficile pensare che qualcuno abbia avuto difficoltà economiche per una cosa del genere. Certo, in quel periodo non mancarono storie dell’orrore di chi prese una legnata perché aveva trecento milioni sul conto, dovendosi recare due giorni dopo dal notaio a rogitare l’acquisto di una casa. Ma furono episodi del tutto isolati (non che questo consolasse chi ne fu colpito, ovviamente…).
Impattarono molto meno l’immaginazione, ma molto di più il portafogli, altre azioni attuate in quel fatidico 1992. Per esempio, l’introduzione dell’ICI (poi diventata IMU).
Quella che trovo desolante, tuttavia, è l’affermazione della giornalista, secondo la quale tutto ciò sarebbe stato necessario per “salvare l’Italia dalla bancarotta e dall’isolamento”.
MA ANCORA QUI, SIAMO ?
L’Italia non era minimamente a rischio bancarotta nel 1992. Il debito pubblico era in lire e ovviamente la nostra banca centrale era totalmente in grado di assicurarne il rifinanziamento.
Le azioni di Amato non servivano a evitare nessuna bancarotta. Tentavano di evitare un’altra cosa: la rottura dello SME, cioè del sistema di cambi fissi che legava le varie monete europee.
Obiettivo fallito. Dato che la Banca d’Italia poteva emettere lire ma non poteva emettere marchi o fiorini o franchi francesi, le azioni attuate nel luglio del 1992 non servirono affatto ad evitare l’uscita dallo SME e il riallineamento valutario, che infatti avvenne nel settembre 1992. Solo due mesi dopo.
Tutto questo sprofondò l’Italia nell’”isolamento” ? ovviamente no. Tra l’altro, dallo SME uscirono, insieme all’Italia, parecchi altri paesi, tra cui Regno Unito e Svezia.
Regno Unito e Svezia che fecero poi tesoro dell’esperienza – e non entrarono nell’euro. Senza che tutto questo li abbia isolati da nulla, peraltro.
Questa è una storia così nota e analizzata che trovo letteralmente sbalorditivo come chi scrive sui giornaloni paludati, su Stampubblica o sul Corsole, faccia finta di ignorarla.
O magari la
ignora sul serio. Che non è un’attenuante.