No ma anzi forse
sì.
L’economia
statunitense è in una situazione sicuramente meno problematica di quella
italiana. Ma ben lontana dall’essere ottimale.
Gli effetti della
crisi finanziaria nata negli USA nel 2008 si sono sovrapposti, prima di essere
(se non in parte minore) superati, alla crisi dell’euro e dei debiti sovrani
europei.
E’ possibile
stimare il cosiddetto “output gap” di un sistema economico, il minor livello
del PIL corrente rispetto al PIL potenziale del paese, nel modo seguente.
Sia per l’Italia
che per gli USA, si confronta il PIL previsto 2013 con il dato 2007
incrementato di un “normale” tasso di sviluppo reale. Quest’ultimo parametro è presumibilmente
più alto per gli USA che per l’Italia, in quanto la popolazione cresce più
velocemente oltreoceano. Ho utilizzato un 2% annuo per gli USA e un 1,5% annuo
per l’Italia. Sono tassi che prima del 2008 erano considerati conservativi.
I risultati sono i seguenti.
ITALIA - €
|
PIL a
|
Trend
|
Crescita PIL
|
Delta PIL
| ||||||
prezzi
|
Crescita
|
demo-
|
Effetto
|
potenziale
|
PIL
|
Output
|
potenziale
|
Differenza
| ||
Anno
|
PIL
|
2007
|
reale (**)
|
grafico
|
prezzi
|
(*)
|
potenziale
|
gap %
|
- effettivo
|
cumulata
|
2007
|
1.554
|
1.554
|
1.554
| |||||||
2008
|
1.575
|
1.535
|
-1,2%
|
0,4%
|
2,6%
|
1,5%
|
1.618
|
-2,7%
|
43
|
43
|
2009
|
1.520
|
1.451
|
-5,5%
|
0,4%
|
2,1%
|
1,5%
|
1.677
|
-9,4%
|
157
|
200
|
2010
|
1.553
|
1.478
|
1,9%
|
0,4%
|
0,3%
|
1,5%
|
1.707
|
-9,0%
|
154
|
355
|
2011
|
1.580
|
1.484
|
0,4%
|
0,4%
|
1,3%
|
1,5%
|
1.755
|
-10,0%
|
175
|
530
|
2012
|
1.566
|
1.450
|
-2,3%
|
0,4%
|
1,5%
|
1,5%
|
1.809
|
-13,4%
|
243
|
773
|
2013
|
1.559
|
1.423
|
-1,8%
|
0,4%
|
1,4%
|
1,5%
|
1.861
|
-16,2%
|
302
|
1.075
|
(*) Escluso effetto prezzi.
|
(**) Previsioni OCSE per il
2013.
| |||||||||
USA - $
|
PIL a
|
Trend
|
Crescita PIL
|
Delta PIL
| ||||||
prezzi
|
Crescita
|
demo-
|
Effetto
|
potenziale
|
PIL
|
Output
|
potenziale
|
Differenza
| ||
Anno
|
PIL
|
2007
|
reale (**)
|
grafico
|
prezzi
|
(*)
|
potenziale
|
gap %
|
- effettivo
|
cumulata
|
2007
|
13.954
|
13.954
|
13.954
| |||||||
2008
|
14.302
|
13.912
|
-0,3%
|
0,9%
|
2,8%
|
2,0%
|
14.632
|
-2,3%
|
330
|
330
|
2009
|
13.983
|
13.481
|
-3,1%
|
0,9%
|
0,9%
|
2,0%
|
15.059
|
-7,1%
|
1.076
|
1.405
|
2010
|
14.505
|
13.804
|
2,4%
|
0,9%
|
1,3%
|
2,0%
|
15.559
|
-6,8%
|
1.055
|
2.460
|
2011
|
15.076
|
14.053
|
1,8%
|
0,9%
|
2,1%
|
2,0%
|
16.204
|
-7,0%
|
1.128
|
3.588
|
2012
|
15.685
|
14.362
|
2,2%
|
0,9%
|
1,8%
|
2,0%
|
16.825
|
-6,8%
|
1.140
|
4.728
|
2013
|
16.159
|
14.592
|
1,6%
|
0,9%
|
1,4%
|
2,0%
|
17.402
|
-7,1%
|
1.243
|
5.972
|
(*) Escluso effetto prezzi.
|
(**) Previsioni Morgan
Stanley per il 2013.
|
Se per l’Italia
il “buco” di PIL è pari al 16% e continua a crescere rapidamente, per gli USA
si è assestato intorno al 7%. Che è molto meno peggio ma non può essere
considerato ottimale: il PIL USA è inferiore per oltre 1.200 miliardi di
dollari rispetto alle sue potenzialità.
Agli effetti
della crisi finanziaria culminata nel fallimento Lehman, negli USA non si sono
aggiunti i problemi dell’euro e delle feroci, controproducenti politiche di
austerità con le quali le inefficienze del sistema monetario sono state
“affrontate” (si fa per dire) in Europa.
Tuttavia
l’economia USA non è ancora uscita dalla “trappola della liquidità”. La domanda
rimane insufficiente rispetto a quanto necessario a mettere al lavoro le
risorse non occupate.
Per recuperare
1.200 miliardi di dollari di “output gap”, occorre effettuare un intervento di
sostegno della domanda, che può prendere varie forme: spesa pubblica,
sovvenzioni alle classi sociali disagiate, riduzioni di imposte. La
combinazione di questi interventi è evidentemente una scelta politica.
Sul piano
strettamente tecnico-economico, un punto non secondario è in che misura gli
interventi vanno direttamente a produrre spesa, e in che misura mettono invece
soldi in mano ai privati (tramite sovvenzioni o riduzioni di imposte). Gli
interventi del secondo tipo potrebbero infatti non alimentare per intero nuova
spesa, traducendosi invece (in parte) in risparmio.
E’ tuttavia un
problema meno significativo di come appare a prima vista se gli interventi di
sostegno della spesa privata vanno a beneficio di segmenti di popolazione con
poche disponibilità patrimoniali e bassi livelli di reddito. Queste persone
destinerebbero alla spesa, in modo immediato e rapido, sostanzialmente la
totalità dell’intervento che va a loro beneficio.
Quale importo
dovrebbe avere l’azione di sostegno della domanda ? dipende dal cosiddetto
“moltiplicatore keynesiano”. Un dollaro (o un euro) di sostegno si traduce in
una crescita di PIL, partendo da livelli depressi, superiore a 1 perché rimette
in modo una catena virtuosa. La maggior spesa alimenta la produzione, spinge le
aziende ad aumentare l’occupazione, innalza la fiducia di consumatori e imprese
il che incrementa ulteriormente la domanda, eccetera.
Una stima
recentemente emersa da studi e analisi formulate tra gli altri dal capo
economista del Fondo Monetario Internazionale, Olivier Blanchard, e dal Premio
Nobel Paul Krugman, colloca il moltiplicatore keynesiano – nelle condizioni
attuali – intorno a 1,3. L’intervento di sostegno della domanda negli USA
dovrebbe quindi ammontare a circa 900 miliardi di dollari: grosso modo il 5,5% del
PIL USA 2013.
Sarebbe anche
utile se una parte dell’intervento fosse indirizzata alla riduzione del costo
del lavoro, per evitare che ci sia una dispersione parziale degli effetti sotto
forma di peggioramento della bilancia commerciale USA. Anche se, essendo gli
USA un paese dotato di moneta sovrana e con un regime di cambio flessibile, la
crescita di domanda e l’immissione di moneta nell’economia potrebbe indebolire
il valore del dollaro, con un effetto compensativo.
Dove entrano in
gioco i Certificati di Credito Fiscale ? gli USA sono una nazione dotata di
sovranità monetaria, quindi potrebbero semplicemente finanziare gli interventi
di sostegno della domanda emettendo dollari.
I CCF – titoli
utilizzabili per pagare imposte e per soddisfare qualsiasi forma di
obbligazione finanziaria nei confronti del governo emittente – potrebbero però essere
un’alternativa da considerare, negli USA, per superare vincoli di natura
politica e legale.
La Federal
Reserve agisce in modo indipendente dal governo e, a quanto ne so, non può
essergli “ordinato” di emettere moneta, tantomeno per finanziare politiche di
spesa o riduzioni di imposte.
Ed esiste negli
USA un limite al livello totale di debito pubblico in circolazione. Limite che
periodicamente viene innalzato; ma attualmente il partito democratico esprime
il presidente, il partito repubblicano controlla il Congresso ed esiste
un’impasse politico sull’innalzamento del tetto. C’è quindi un problema anche
riguardo alla possibilità di finanziare con maggior debito l’incremento di
sostegno alla spesa.
Immaginiamo
invece di emettere Certificati di Credito Fiscale, utilizzabili dopo una
scadenza prefissata – per esempio gli stessi due anni che propongo nel caso
dell’Italia – e garantiti dal governo federale USA (garantiti nel senso che si
impegna, illimitatamente, ad accettarli in pagamento di imposte o di qualsiasi
altro impegno finanziario).
Questo non
richiederebbe l’intervento della Federal Reserve e non innalzerebbe il debito
pubblico. Se non in futuro, quando i CCF saranno utilizzati: ma a quel punto il
PIL e le entrate fiscali USA saranno considerevolmente più alti.
In definitiva, i
CCF potrebbero svolgere, sia negli USA che in Italia, un ruolo analogo:
restituire ai governi nazionali l’autonomia monetaria che permette di aumentare
il sostegno alla domanda, colmare l’”output gap” ed eliminare la disoccupazione
di massa.