UNO - Premessa
L’Eurozona, e
soprattutto i paesi mediterranei, si trovano in una situazione economica
pesantissima: massiccia disoccupazione e incapacità di crescere in misura sufficiente
a riassorbirla.
I trattati bloccano
adeguate azioni espansive della domanda, non risolvono gli squilibri commerciali
interni, lasciano dubbi sulla solvibilità dei debiti pubblici.
Senza una profonda revisione dei meccanismi di
funzionamento, la rottura deflagrante e disordinata dell’Eurozona ha probabilità
molto significative. E il proseguimento delle politiche attuali implica
comunque bassa crescita, alta disoccupazione, malessere sociale e instabilità
politica.
DUE - La
diagnosi sbagliata della crisi
I vertici della
UE e degli stati membri hanno agito in base a presupposti errati.
In quasi tutti i
casi, i paesi non sono andati in crisi per irresponsabilità fiscale ed eccesso
di spesa pubblica. In Italia tra il 1999 e il 2007 il rapporto debito pubblico
/ PIL è diminuito. In Spagna e in Irlanda era a livelli molto inferiori alla
Germania.
Il problema era
invece un eccesso di debito privato (spesso erogato da paesi del Nord Europa,
per finanziare speculazioni immobiliari e consumi privati), unito a perdite di
competitività del Sud rispetto al Nord (dovute a maggior inflazione salariale).
A questo si è
aggiunta, dal 2008, la debolezza dell’economia mondiale causata dalla “crisi
Lehman”. Gli investitori hanno quindi venduto il debito dei paesi periferici,
innalzando spread e tassi d’interesse, in quanto diventavano dubbie solvibilità
e/o capacità di rimanere nell’Eurozona.
TRE - Le terapie
adottate: perché non hanno funzionato
Data la diagnosi
errata, le terapie messe in atto non hanno risolto la crisi. Si sono imposte al
Sud politiche di austerità (aumenti di tasse e contenimenti di spesa pubblica)
e cercato di riequilibrare la competitività con il Nord (nell’impossibilità di
riallineare i cambi) con riduzioni salariali.
Ciò ha abbattuto
domanda, produzione e occupazione: i rapporti debito pubblico / PIL sono non
calati bensì saliti (per la compressione del denominatore).
Solo nell’agosto
2012 la BCE ha annunciato la disponibilità a garantire i debiti sovrani,
condizionata però alla prosecuzione di deleterie politiche di austerità.
QUATTRO - L’attuale
eurosistema non è solo inefficiente, è inapplicabile
Il Fiscal Compact
impone la riduzione, per vent’anni, del rapporto debito pubblico / PIL, e nello
stesso tempo la contrazione dei deficit (puntando al pareggio di bilancio).
Tentare di
ridurre i deficit con azioni di austerità abbasserebbe ancor più domanda e PIL,
innalzando, invece di ridurre, il rapporto debito / PIL, e accrescendo i già
disastrosi effetti sull’occupazione.
CINQUE - Le
soluzioni possibili: precondizioni
L’euro come
moneta unica di una pluralità di stati ha futuro solo se gestito come una moneta
sovrana. I debiti statali non possono avere rischi d’insolvenza, devono essere
sicuri quanto la moneta. Di fatto sono
una forma di moneta: depositi a termine (trasferibili) presso il tesoro dello
stato emittente.
Senza questa
garanzia, i debiti pubblici diventano debiti in moneta estera: crisi finanziarie
e congiunture negative creano rischi d’insolvenza agli stati e li costringono ad
adottare politiche procicliche.
Questo NON
significa che ogni stato possa o debba espandere il proprio debito all’infinito
(né espandere l’emissione di moneta all’infinito). Vanno rispettati vincoli, ma
non i parametri aritmetici previsti nel trattato di Maastricht e nel Fiscal
Compact.
Emettere debito
sovrano equivale ad emettere moneta, e troppa moneta che alimenta troppa
domanda crea inflazione eccessiva. L’obiettivo BCE è però inflazione “inferiore
ma vicina” al 2%. Oggi è vicina a zero e tende a scendere.
Ogni stato deve
avere la facoltà di effettuare azioni espansive della domanda, mediante
emissione di moneta o di debito integralmente garantito. Questo, rispettando
l’obiettivo d’inflazione: il che oggi significa aumentare domanda, PIL e occupazione.
Se non si crea
inflazione eccessiva, e nessuno stato deve far fronte a debiti altrui (in
quanto esiste la garanzia BCE) l’espansione monetaria non ha costi per nessuno.
Un altro vincolo
è non creare alti e cronici deficit commerciali (quindi crescita di debito estero)
in singoli paesi. Questo si ottiene se una parte adeguata dell’azione espansiva
effettuata nei paesi meno competitivi va a ridurre le imposte e in generale i costi
che gravano su lavoro e produzione domestica.
SEI - Revisione
dei vincoli di bilancio pubblico
Una via per
ottenere ciò è confermare che la BCE garantisce i debiti dei vari stati, e nello
stesso tempo innalzare i deficit
pubblici nei paesi in difficoltà.
Per esempio un
incremento da parte della Francia dal 4,4% al 7%, e dell’Italia dal 3% al 6%,
per tre anni, con una parte non marginale che va a ridurre imposte su lavoro e
produzioni interne (evitando quindi squilibri nei saldi commerciali esteri) invertirebbe
totalmente l’andamento economico dell’Eurozona.
SETTE - Azione
espansiva con finanziamento monetario a cura della BCE
Una via più
innovativa è che la BCE eroghi moneta per una quota prefissata del PIL, senza
contropartita e a titolo definitivo, a ogni stato (“helicopter money”).
I paesi con
problemi di occupazione e competitività utilizzeranno la moneta per espandere
la spesa e ridurre le tasse, fino a riportare occupazione e inflazione ai
livelli desiderati, evitando nello stesso tempo (grazie al minor carico fiscale
sulle produzioni domestiche) di squilibrare i saldi commerciali esteri.
I paesi che non
hanno tali necessità, o le hanno in misura minore, potranno utilizzare le
erogazioni per acquistare e annullare quote del loro debito pubblico.
L’azione
potrebbe ammontare ad alcuni punti di PIL ed essere ripetuta negli anni, fino a
ristabilire condizioni economiche positive ed equilibrate in tutta l’Eurozona.
OTTO - Introduzione
di strumenti monetari complementari, in parallelo all’euro
Vari stati
membri dell’Eurozona possono emettere monete complementari nazionali per
effettuare azioni di rilancio dell’economia.
Per esempio, l’Italia
(e altri paesi) possono emettere Certificati di Credito Fiscale (CCF) e
assegnarli gratuitamente a cittadini e aziende per integrare i redditi, ridurre
il carico fiscale che grava sui costi di lavoro e delle produzioni domestiche,
ed effettuare azioni di spesa.
I CCF saranno utilizzabili
dal possessore per pagare tasse e altre obbligazioni finanziarie dovute allo
stato emittente, a partire ad esempio da due anni dopo l’inizio delle
assegnazioni. Il differimento dà tempo all’economia di innalzare il PIL e di
generare maggiori entrate fiscali (al lordo dell’utilizzo dei CCF).
I riceventi potranno
monetizzare in anticipo i CCF, cedendoli sul mercato con uno sconto
presumibilmente non molto diverso da un normale titolo di stato.
Si rilanciano
così le economie in difficoltà, preservando l’obiettivo del Fiscal Compact:
ridurre i rischi di insolvenza dei vari stati.
In effetti è la
via per ridare senso e applicabilità al Fiscal Compact: i CCF sono un titolo
che lo stato emittente si impegna ad accettare, ma non a rimborsare. Non è possibile
un default sui CCF, che sono di fatto una forma di moneta.
Ogni stato potrebbe
emettere CCF in misura tale da recuperare PIL e occupazione, rispettando gli
obiettivi di stabilità monetaria e di equilibrio dei saldi commerciali esteri,
purché il saldo annuo tra pagamenti e incassi pubblici in euro (quindi CCF
esclusi) sia in pareggio e purché il rapporto tra debito pubblico da rimborsare
in euro (anche qui, CCF esclusi) e PIL cali come previsto dal Fiscal Compact.
L’Italia, in
particolare, potrebbe emettere CCF per 90-100 miliardi il primo anno, da
incrementare poi fino a un massimo di 200. L’ammontare, anno per anno, sarà modulabile
in base alla risposta dell’economia e alla congiuntura.
Ulteriori
riduzioni del rischio di default sul debito pubblico sono ottenibili rifinanziando
i titoli in scadenza con “BOT fiscali”, cioè con titoli che – analogamente ai
CCF – lo stato si impegna ad accettare in pagamento di tasse e obbligazioni
finanziarie future nei suoi confronti, ma non a rimborsare in euro.
I CCF potrebbero
anche diventare, in futuro, una moneta nazionale circolante, rimpiazzando gradualmente
l’euro. Questa eventualità - comunque non indispensabile al funzionamento della
proposta – costituirebbe una forma di
uscita dall’euro per sostituzione e senza rotture.
NOVE - Che cosa si
evita adottando una di queste soluzioni
***Attuare il
breakup dell’euro.
***Attivare
trasferimenti di risorse finanziarie tra paesi.
***Effettuare
riallineamenti valutari.
***Ridenominare
la moneta in cui sono espressi contratti di qualsiasi genere (finanziamenti,
rapporti di lavoro, pensioni ecc.).
***Convertire la
valuta in cui sono espressi titoli, depositi bancari o qualsiasi altra attività
finanziaria.
***Richiedere ai
paesi più competitivi (Germania in primis) alti livelli di inflazione
salariale, per riallinearsi ai paesi mediterranei: che recuperano competitività,
invece, riducendo il carico fiscale sulle produzioni domestiche.
***Costringere
l’Eurozona, per un periodo imprecisato ma sicuramente lungo, a bassissima
crescita e pesante disoccupazione.
***Mantenere a
zero, per un periodo indefinito, i tassi di riferimento BCE e i tassi sui titoli
di stato Nord Europei (cosa che penalizza i risparmiatori locali).
DIECI - Conclusioni
Soluzioni all’Eurocrisi
sono possibili e, dal punto di vista tecnico, rapidamente applicabili. Se ne
può identificarne una e attuarla rapidamente. E si deve.
E’ auspicabile
che questo avvenga tramite un dialogo costruttivo che porti rapidamente a un accordo efficace tra gli
stati membri dell’Eurozona. Ma in assenza di accordo singoli stati possono,
e devono, agire in modo unilaterale
(ancorché non deflagrante), ad esempio tramite l’emissione di moneta
parallela (i CCF).