martedì 23 agosto 2016

Olimpiadi a Roma, cosa mi renderebbe favorevole (forse)

Si sono conclusi da due giorni i Giochi Olimpici di Rio de Janeiro. L’Italia ha chiuso con un medagliere discreto, anche buono se confrontato con alcune previsioni alquanto pessimistiche, che lasciavano temere un netto calo rispetto alle ultime edizioni.
Con 8 ori, 12 argenti e 8 bronzi si è invece pareggiata Londra 2012 (8-9-11) in termini sia di ori che di medaglie totali (28), con un miglioramento di composizione (più argenti e meno bronzi). Quindi un piccolo progresso rispetto agli ultimi Giochi, e anche ai penultimi di Pechino 2008 (8-9-10).
Certo, storicamente ci sono stati periodi migliori (tra il 1996 e il 2004), ma anche peggiori (ininterrottamente tra il 1968 e il 1992, con l’eccezione di Los Angeles 1984, dove però si era sfruttato il boicottaggio del blocco est europeo). Ben venga quindi il risultato di Rio, e la non fortissima ma neanche disprezzabile inversione di tendenza.
Mi piace seguire i Giochi Olimpici, ma sono decisamente schierato contro l’ipotesi di tenerli a Roma nel 2024, nelle condizioni attuali dell’economia italiana. Dove le “condizioni attuali” consistono in un insieme di vincoli, quello dell’Eurosistema, che impongono limiti massimi ai deficit di bilancio pubblico tali da mantenere l’economia fortemente al di sotto di condizioni di pieno impiego delle risorse produttive, impedendo così di risolvere una crisi dovuta a depressione della domanda.
Finché si rimane all’interno di questo sistema, si è costretti ad aumentare tasse o a tagliare servizi pubblici per coprire una spesa in più. Detto in soldoni, c’è il forte rischio di chiudere ospedali per pagare le Olimpiadi, o cose del genere. A meno che qualcuno dimostri che è il costo dei Giochi verrebbe interamente coperto da risorse private, cosa che mi lascia però fortemente scettico.
Se l’Italia si sgancia dai vincoli dell’Eurosistema, rilancia domanda, PIL e occupazione, riassorbe l’attuale, spaventoso, assurdo “output gap”, si può parlare di tante cose, compreso di tenere i Giochi in Italia. Fermo restando che anche con l’economia in condizioni toniche e soddisfacenti vanno sempre valutate le priorità, perché le risorse disponibili – anche in situazione di pieno impiego – hanno comunque, in un dato momento, limiti imposti da popolazione, tecnologia e capacità produttiva.
Però se non sto costantemente attuando tagli a sanità o pensioni per correre dietro a limiti contabili privi di senso in un contesto economico pesantemente depresso, di Olimpiadi si può quantomeno parlare. Oggi, no.


martedì 16 agosto 2016

Attenzione a non criticare Renzi per i motivi sbagliati

Il dato preliminare sulla variazione di PIL reale italiano nel secondo trimestre 2016 ha evidenziato uno sconfortante zero. Le previsioni per l’anno dovranno essere riviste, per l’ennesima volta, al ribasso, e per l’ennesima volta si dovrà prendere atto che non è in corso alcuna ripresa degna di questo nome. L’Italia non sta recuperando il suo pauroso output gap, e non c’è alcuna prospettiva che, in costanza delle attuali politiche economiche, la situazione possa migliorare.

Vari articoli e commenti letti negli ultimi giorni, tuttavia, criticano l’azione del governo sulla base di argomentazioni sbagliate. Spesso si legge che l’errore di Renzi è stato di aver “sperperato risorse” con iniziative che avrebbero “creato debito e non crescita”. Prendiamo per esempio gli 80 euro. Sono costati complessivamente circa dieci miliardi, e il rilancio di domanda e consumi non si è visto. Uno spreco, quindi ?

Il punto da chiarire è che tutte le azioni espansive effettuate dal governo Renzi sono state effettuate in ossequio alla ferrea logica del “saldo zero”. Se do qualcosa in più all’economia reale da un lato, in altri termini, devo recuperare con tagli o tasse da qualche altra parte.

E’ il meccanismo delle “coperture”. Nel momento stesso in cui si cominciavano a erogare gli 80 euro, ad esempio, scattavano azioni compensative – aumenti e anticipazioni di imposte dirette, incrementi di accise, eccetera – che pareggiavano esattamente gli importi totali.

Le manovre a saldo zero evidentemente non sono espansive ma redistributive. Non alimentano maggiore domanda - da cui segue, se c’è capacità produttiva da rimettere al lavoro, maggiore produzione e occupazione. Le manovre a saldo zero, semplicemente, tolgono a qualcuno per dare a qualcun altro.

Se c’è un effetto positivo, può essere dovuto solo al fatto che si tolgono soldi a qualcuno che tende a spenderli di meno per darli a qualcun altro li spende in misura maggiore. Si gioca sulle differenze di propensione alla spesa, in altri termini: che sono molto difficili da misurare e alla fine tendono, comunque, in buona parte a elidersi.

Nel caso degli 80 euro, un po’ di effetto netto positivo forse c’è anche stato: chi li ha ricevuti – lavoratori a basso reddito – probabilmente ha una propensione alla spesa un po’ più alta di chi ha pagato le maggiori tasse. Ma per importi netti molto modesti. Inoltre l’impatto sulla produzione interna dell’espansione netta dei consumi, già di per sé limitato da questo effetto di elisione, è stata ulteriormente ridotto dalla tendenza ad alimentare, in parte, maggiori importazioni.

Diverso sarebbe stato l’effetto di una manovra senza coperture, e, inoltre, parzialmente rivolta a ottenere (anche) un immediato miglioramento di competitività delle aziende italiane, mediante una riduzione consistente e permanente del cuneo fiscale.

Il problema del governo Renzi non è stato quindi l’aver “speso più soldi senza risultati”, ma l’aver adottato politiche economiche che pretendono di avviare la ripresa senza immettere maggiori risorse nette nell’economia.

Prova ne è che il rapporto deficit pubblico / PIL italiano continua a diminuire, sia pure in modo molto lento, nonostante l’assenza di crescita economica. Diminuisce non perché sia stata avviata una ripresa che produce più gettito fiscale, ma perché l’orientamento netto delle azioni di politica economica continua a essere restrittivo. Pochissimi decimali di riduzione del rapporto deficit / PIL vengono ottenuti a costo di mantenere l’economia italiana in condizioni di depressione permanente, disoccupazione e sottoccupazione altissima, deterioramento continuo del tessuto produttivo, disagio sociale che continua a salire, sofferenze e incagli del sistema bancario a livelli inaccettabili, eccetera.

E le ultime dichiarazioni di vari esponenti governativi non danno indicazioni di inversioni di atteggiamento. Si parla di “ottenere maggiore flessibilità” dalla UE, ma questo che significa ? il rapporto deficit pubblico / PIL italiano nel 2015 è sceso al 2,6% rispetto al precedente 3%. Nel 2016 e nel 2017 erano programmate ulteriori discese rispettivamente al 2,3% e all’1,8%. La “maggiore flessibilità” a cui si punta consisterebbe nel continuare a ridurre il deficit, ma più lentamente. Magari, ad esempio, a 2,4% quest’anno e a 2,2% il prossimo.

In altri termini: stiamo andando nella direzione sbagliata “però” puntiamo non a invertire la rotta, ma a rallentarla. Dovrebbe essere chiaro (ma a quanto pare non lo è…) che, così, dall’obiettivo ci si continua ad allontanare.

Una vera inversione di percorso, che permetta di avviare, finalmente, una ripresa che si possa definire tale, richiede di immettere maggiore potere d’acquisto nell’economia. E si può farlo senza incrementare l’indebitamento pubblico e senza rompere l’euro: superando gli insostenibili vincoli dell’attuale eurosistema, con l’emissione di titoli fiscali.

giovedì 11 agosto 2016

Previsioni di borsa e previsioni meteo


Per non parlare sempre e solo di macroeconomia (o forse l’analisi fondamentale dei mercati finanziari va considerata, almeno in parte, una branca della macroeconomia ?)

Sia le previsioni di borsa che le previsioni meteo, contrariamente a quanto si sente spesso dire, sono affidabili, a condizione di specificare esattamente l’oggetto della previsione e soprattutto il periodo temporale di riferimento.

Le previsioni meteo sono molto affidabili su un orizzonte di 1-2 giorni, discretamente affidabili su un orizzonte di una settimana, e sostanzialmente prive di qualsiasi validità se riferite a un periodo più lungo.

Le previsioni di borsa, intese come previsioni di andamento di un mercato azionario ampio e diversificato (per esempio la borsa USA, e non la borsa italiana, dove sono quotati troppo pochi titoli, e troppo concentrati in pochi settori, quello finanziario in particolare) sono affidabili se riferite a un arco temporale lungo.

Per lungo si intende almeno cinque anni, meglio se dieci o oltre.

L’affermazione che il mercato azionario USA si situerà a livelli di valore più elevati di quelli odierni nel 2021 è affidabile al 90%. Se parliamo del 2026, a oltre il 95%. Se parliamo del 2031, l’affidabilità è probabilmente nell’ordine del 99%.

Previsioni relativa all’andamento della prossima settimana, mese o trimestre, sono invece sostanzialmente prive di validità. Possono essere giuste o sbagliate, come possono essere giuste o sbagliate quelle basate sul lancio di una moneta.


lunedì 8 agosto 2016

Ricatto MPS sul referendum costituzionale? non credo


Negli ultimi giorni ho letto alcuni commenti incentrati sulla tempistica con cui dovrebbe aver luogo l’(ennesimo) salvataggio di Monte dei Paschi di Siena.

I dettagli sono tuttora alquanto nebulosi. Si parla di un’operazione - coordinata da JP Morgan, e con un ruolo importante di Mediobanca - che prevederà un aumento di capitale di MPS per un ammontare dell’ordine di 5 miliardi, e, contestualmente, la cessione di una decina di miliardi di NPL, per un valore pari a circa un terzo del facciale.

L’operazione ha ricevuto l’approvazione della BCE e delle autorità di vigilanza dell’Eurosistema, il che dovrebbe corrispondere a un’attestazione di fiducia nella sua adeguatezza a sanare la situazione patrimoniale della banca senese - unico istituto italiano che ha ricevuto una valutazione negativa in conseguenza degli “stress test” resi noti a fine luglio scorso.

Lascia perplessi, indubbiamente, che si sia approvato un piano i cui elementi chiave sono tuttora così vaghi: primo fra tutti, non si capisce se le istituzioni finanziarie che lo organizzano garantiscano effettivamente il successo dell’operazione.

I commenti sulla tempistica che menzionavo sopra, comunque, riguardano il fatto che l’operazione non si dovrebbe perfezionare prima di dicembre 2016. La data interagisce in qualche modo con il referendum sulle riforme costituzionali, che si dovrebbe tenere poco prima, probabilmente a novembre. L’operazione MPS secondo alcuni dovrebbe pendere come una sorta di spada di Damocle sull’esito del referendum.

Magari mi sfugge qualcosa, ma mi pare un’ipotesi infondata. In primo luogo, il tema è troppo tecnico per influenzare un segmento sufficientemente ampio della pubblica opinione e dell’elettorato.

Inoltre, non vedo come la cosa potrebbe in pratica funzionare. Se il referendum si svolge in condizioni di mercato turbolento perché ci sono dubbi sul successo del salvataggio, questo è un fattore negativo per il governo in carica, che del referendum è il proponente nonché, ovviamente, il principale sostenitore.

Bisognerebbe immaginare quindi una situazione in cui la borsa è agitata, ci sono dubbi sul successo dell’operazione MPS, e i sostenitori del sì riescono a convincere l’opinione pubblica che il referendum e le riforme costituzionali devono passare per “calmare i mercati”. Mi sembra che sia molto più probabile il contrario: le turbolenze finanziarie casomai diminuirebbero la fiducia nei confronti del governo Renzi e delle sue proposte di riforma.

Non credo quindi che il tema MPS sia strumentalizzabile a favore del sì al referendum. Casomai ha senso pensare che, al contrario, la data posteriore al referendum (per l’operazione di “salvataggio”) sia stata programmata per evitare che un eventuale insuccesso affondi totalmente il fronte del sì.

Quindi, se c’è una interrelazione tra le date, il governo Renzi non sta giocando all’attacco (“votate sì perché altrimenti MPS, e di conseguenza il sistema bancario, sono a rischio”) ma casomai in difesa (il referendum facciamolo prima per evitare che le ipotetiche turbolenze abbattano il consenso). Se c’è un nesso tra tempistica del salvataggio e tempistica del referendum, questo mi sembra l’unico possibile.

mercoledì 3 agosto 2016

Ancora sul Sardex


Ulteriori considerazioni sul Sardex, anche queste su stimolo di Stefano Sylos Labini:



UNO, il Sardex non è convertibile in euro ma accettato (da parte degli aderenti al circuito) in sostituzione dell’euro, in rapporto 1:1.

DUE, il Sardex è attribuito agli aderenti al circuito attraverso un affidamento: quindi chi è affidato per, ad esempio, 10.000 Sardex, può effettuare acquisti fino a quell’importo totale. Dovrà poi compensare questa posizione di debito vendendo beni e servizi di sua produzione sul circuito: i compratori a loro volta saldano l’acquisto utilizzando Sardex.

TRE, trascorso un anno senza che la compensazione abbia luogo, il debito in Sardex diventa debito in euro (e quindi va saldato in euro).

QUATTRO, su debiti e crediti in Sardex non si applicano interessi: in questo modo si stimola la circolazione e non l’accumulazione di Sardex.

CINQUE, l’accettazione nel circuito Sardex è subordinata, per evidenti motivi, al fatto di poter offrire beni e servizi interessanti per altri aderenti al circuito.

SEI, viene richiesto agli aderenti al circuito di avere una partita IVA.

SETTE, sempre più frequentemente individui in possesso di crediti Sardex li utilizzano anche per acquisti al dettaglio (per fare la spesa, banalmente).

OTTO, si sta verificando in modo quasi naturale un’estensione al segmento “consumer”. Chi non ha partita IVA o comunque non aderisce al circuito, magari perché non ha beni o servizi da vendere agli altri aderenti, ottiene Sardex come se fossero punti premio di un supermercato – cioè facendo acquisti in euro da aziende iscritti e ricevendo sconti, o “punti fedeltà”, in Sardex, che poi utilizza nel circuito.



Stefano commenta: “confrontando Sardex e CCF, si evidenziano alcune differenze riguardo alla natura dei due strumenti, oltre al fatto che dietro al CCF c’è l’accettazione fiscale, quindi lo Stato. Il Sardex è uno strumento microeconomico e serve essenzialmente per favorire gli scambi, mentre il CCF ha una natura macroeconomica perché fa entrare in gioco il moltiplicatore keynesiano”.



Questa considerazione è corretta, ma va anche notato che all’origine di entrambi i progetti c’è comunque un problema macro: una situazione di sottoutilizzo delle risorse produttive nell’ambito del sistema economico. Se le risorse fossero perfettamente e totalmente utilizzate, non ci sarebbe una particolare necessità né del Sardex né dei CCF.



In un contesto di domanda depressa, sia il Sardex che il CCF rimettono in modo capacità di spesa e produzione:

Il CCF, perché è un titolo con un suo valore autonomo, accettato dalla generalità degli operatori economici (perché tutti, in un modo o nell’altro, hanno da effettuare pagamenti fiscali) che viene assegnato gratuitamente a una serie di soggetti e ne incrementa la capacità di spesa.

Il Sardex, perché equivale a un affidamento creditizio erogato a soggetti che (1) hanno capacità di fornire beni e servizi interessanti per gli altri aderenti al circuito, e (2) entrano in un meccanismo che consente loro di estinguere il debito, tramite, appunto, la fornitura dei beni e servizi medesimi. Fornitura che sono in grado di effettuare appunto perché la loro capacità produttiva non è satura.


Qui un recentissimo articolo sull'argomento.

lunedì 1 agosto 2016

La lezione dimenticata di Hjalmar Schacht

Un articolo di Biagio Bossone e Stefano Sylos Labini, pubblicato su Voxeu.org, e disponibile qui anche in versione italiana, ripercorre l'esperienza storica di Hjalmar Schacht e dei suoi MEFO bills.

I MEFO bills, ricordo, sono stati un diretto ispiratore del progetto CCF.

Dall'articolo e dai riferimenti bibliografici citati emergono alcune considerazioni interessanti in merito all'attitudine tedesca nei confronti delle politiche keynesiane di stimolo della domanda. Il dubbio che emerge è che Schacht sia stato soggetto a una sorta di "damnatio memoriae". Nonostante l'enorme efficacia della sua azione nel periodo 1933-1937, Schacht agiva all'interno del regime nazista, ed è plausibile che dopo il 1945 abbia avuto un'influenza, in Germania, la volontà di rimuovere l'analisi dei presupposti teorici e dei risultati pratici di quanto avvenuto in quegli anni.

A distanza di ottant'anni, comunque, è fondamentale separare il giudizio politico sul regime nazista dalla valutazione di politiche economiche che nel contesto della Grande Depressione sono risultate di enorme efficacia: e che possiedono tutti i presupposti per esserlo anche oggi, in una situazione economica sotto molti aspetti del tutto analoga.