Negli ultimi
giorni – ma in realtà è un tema ricorrente – si è parlato parecchio delle
dichiarazioni di Salvini e di Giorgetti sull’euro: dichiarazioni apparentemente
contraddittorie, con Giorgetti che esclude tassativamente che si stia studiando
l’uscita (oggi…) e Salvini che come d’abitudine si esprime in toni molto più
pugnaci.
Per chiarire la
situazione, è bene prendere a riferimento i documenti ufficiali, ad esempio la
mozione al congresso 2017 della Lega – relatore proprio Giorgetti.
In quella
relazione “si sottolinea la necessità di tornare quantomeno allo status
pre-Maastricht” (che significa pre-euro) e “in assenza di condizioni o di
volontà politica affinché questi passaggi siano decisi in maniera concordata
tra gli Stati membri, allora come misura estrema non resterà che l’alternativa
di un negoziato bilaterale tra Italia e UE ricorrendo alla clausola di
rescissione”.
In tutto questo
di ambiguo non c’è proprio niente.
Il problema è un
altro. E’ che le dichiarazioni – quelle ufficiali, non le fonti giornalistiche
più o meno imprecise e travisate – delineano un percorso tanto chiaro quanto irrealistico.
La possibilità
di “concordare i passaggi” è infatti completamente assente perché alla UE non
passa neanche per l’anticamera del cervello di aprire un tavolo su questo
argomento (né in merito a una revisione dei trattati che vada in direzione di
maggiore flessibilità: al contrario).
Per questo
motivo, il percorso delineato dalla Lega in sede di congresso porta
direttamente all’attivazione della clausola di rescissione: l’articolo 50.
E’ la strada che
ha percorso con successo il Regno Unito, certo. Ma ci sono voluti anni per
arrivare alla decisione di tenere un referendum, altri anni (da giugno 2016
fino a gennaio 2020) per dare attuazione alla Brexit. E tutto questo in un
paese che non aveva l’euro e non era quindi sottoposto alle turbolenze e ai
condizionamenti dei mercati finanziari.
In pratica, la
posizione della Lega sulla carta è di ricerca di un accordo; nella realtà, è,
in effetti, di rottura. Imposta dall’inflessibilità della UE, certo: ma questa
è la situazione.
Il problema
quindi non è l’ambiguità. Sono altri due: in primo luogo, per la rottura
dell’euro non c’è un consenso sufficientemente forte nel paese.
In secondo
luogo, le difficoltà tecniche e operative sono elevatissime.
Se la Lega vuole
assumere una posizione chiara e percorribile, la strada è un’altra: è il
progetto CCF.
La proposta di legge, sottoscritta da 90 parlamentari M5S, è arrivata alla Commissione Finanze del Senato. Claudio Borghi dice che la Lega la voterà, e questo mi fa
moltissimo piacere.
Nello stesso
tempo, è però scettico sul fatto che venga approvata, e continua a ritenere i
Minibot un progetto migliore.
E’ qui che si riscontra
un’ambiguità vera. Non prendetela come una questione di personalismi. L’amico
Claudio è stato il primo proponente dei Minibot, mentre io sono il primo
proponente dei CCF.
Ma non è per
“attaccamento alla creatura” che ripeto ancora una volta quanto ho già spesso
affermato in passato: l’impatto espansivo dei Minibot è molto modesto rispetto
a quello dei CCF. I Minibot sono del tutto insufficienti a risolvere le
disfunzioni dell’euro.
E Claudio Borghi
in realtà lo sa. Ma allora perché propone un intervento inadeguato ? E’
chiaro che la reazione dei mercati sarà di supporre che i Minibot siano il
passaggio verso “un’altra cosa”, non meglio chiarita. Qui sta l’opacità della
posizione leghista.
Per chiarire
ulteriormente, e anche per rispondere ai molti che mi chiedono se CCF e Minibot
non possono essere introdotti insieme: certo che sì, non c’è nessuna
incompatibilità, ma il punto è un altro.
Se proponi i
Minibot da soli, hai risolto ben poco. La loro eventuale introduzione “in
solitario” ha senso solo in funzione di quanto afferma la relazione del
Congresso Lega 2017: “tornare quantomeno allo status pre-Maastricht e in
assenza di condizioni o di volontà politica affinché questi passaggi siano
decisi in maniera concordata tra gli Stati membri, allora come misura estrema
non resterà che l’alternativa di un negoziato bilaterale tra Italia e UE
ricorrendo alla clausola di rescissione”
Siccome non c’è
NESSUNA volontà di decidere passaggi “in maniera concordata”, e questo è
chiarissimo a tutti, è anche chiaro che stai andando alla rottura, e che i
Minibot sono una mossa preparatoria ad attuarla. Il che manderebbe
immediatamente in fibrillazione i mercati finanziari.
La proposta CCF
è invece la via giusta da percorrere, e i CCF sono lo strumento essenziale. Perché
il progetto è adeguato a risolvere le disfunzioni dell’eurozona e può, inoltre,
essere presentato alla piena luce del sole: si mette in atto il necessario
impatto espansivo sulla domanda, impegnandosi nello stesso tempo, in modo
ferreo e incontrovertibile, a ridurre gradualmente e costantemente il rapporto
tra Maastricht Debt e PIL. Dove il Maastricht Debt è il debito da rimborsare,
rifinanziare, collocare sul mercato.
Questa è la via per comunicare un percorso che sia non solo
definito in termini chiari e non (percepiti come) ambigui, ma anche concreti e
attuabili. Non rompere il sistema ma risolverne le disfunzioni: con una manovra
non deflagrante, ma, nello stesso tempo, attuabile dall’Italia senza chiedere nulla
a nessuno. E la mossa sono i CCF.