Perché il
Progetto Moneta Fiscale deve essere al centro del dibattito politico ? perché è
in grado di risolvere le disfunzioni della moneta unica europea e di
trasformare l’Eurozona in un’area di sviluppo economico condiviso e solidale.
Moneta Fiscale è
qualsiasi titolo o attività che possa essere utilizzato per compensare
obbligazioni finanziarie dovute al settore pubblico. È quindi un diritto a uno
sconto fiscale, e può essere scambiato (con controparti che lo accettino su
base volontaria) per ottenere beni, servizi o un corrispettivo finanziario. Il
settore pubblico nazionale si impegna ad accettarlo in compensazione (come
sopra definita) ma non ad effettuare pagamenti in cash.
Per comprendere
la logica del Progetto va in primo luogo sgombrato il campo da alcune
affermazioni insensate che purtroppo ancora orientano (per fortuna meno che in
passato) il dibattito economico. In particolare, si sente tuttora dire che il
deficit e il debito del settore pubblico sono “gravami” per l’economia.
L’affermazione è
sbagliata, per la ragione fondamentale che il deficit è l’eccesso della spesa
del settore pubblico rispetto al prelievo fiscale. Questo eccesso di spesa si
tramuta INEVITABILMENTE in un saldo positivo a disposizione del settore
privato. Se il pubblico spende più di quanto tassa, il privato riceve più di
quanto paga: incrementa quindi i suoi redditi e i suoi risparmi.
Il deficit
pubblico PUO’ rappresentare un problema ma SOLO in presenza di una di queste
due situazioni: l’immissione di potere d’acquisto nell’economia crea (a) livelli
di inflazione indesiderata, OPPURE (b) scompensi nei saldi commerciali esteri
(il potere d’acquisto immesso dal settore pubblico defluisce all’estero).
L’Italia ha
adottato feroci politiche di austerità nonostante NON soffrisse di nessuna di
queste due situazioni: l’inflazione fino al 2021 è stata inferiore alle medie
dell’Eurozona nonché ai target BCE; la NIIP (Net International Investment
Position) è positiva; i saldi commerciali con l’estero sono stati, dal 2014 al
2021, eccedentari per 40-60 miliardi annui.
In tutti questi
anni, quindi, maggiori deficit pubblici avrebbero ARRICCHITO il paese.
Avrebbero messo a disposizione del settore privato nazionale capacità di spesa
senza alzare l’inflazione a livelli indesiderati (anzi, casomai l’avrebbero
avvicinata ai target BCE) e senza scompensi nei conti esteri.
Quanto al debito
pubblico, un paese che emette la sua moneta non ha bisogno di emettere debito
per finanziare il deficit. Spende, semplicemente, accreditando le controparti
tramite i suoi conti correnti presso l’istituto di emissione.
In questo modo
immette risparmio finanziario nell’economia. L’emissione di debito pubblico è
un servizio offerto al settore privato per impiegare, in un investimento a basso
rendimento ma privo di rischio, il risparmio stesso. Non ha però una necessità
logica; è un evento successivo, potrebbe anche non aver luogo.
La gravissima
disfunzione dell’euro consiste proprio nell’aver spossessato gli Stati dalla
possibilità di effettuare spesa pubblica netta senza passare tramite il
collocamento di debito presso i mercati finanziari; e di averli costretti ad
emettere debito in una moneta di cui nessuno Stato ha il controllo.
Gli Stati hanno
quindi dovuto utilizzare, come canale di finanziamento dei deficit, un debito
che incorpora un rischio di default che in circostanze normali (emissione di
moneta sovrana) non sarebbe esistito.
Disfunzione
pesantissima, che impedisce, in varie circostanze, agli Stati di effettuare
politiche di sostegno all’economia. Ne segue il rischio – già sperimentato in
passato – di aggravare in modo disastroso situazioni di difficoltà che adeguate
politiche anticicliche avrebbero consentito di superare rapidamente.
La UE stessa ha
modificato la sua attitudine rispetto a quanto avvenuto durante la crisi dei
debiti sovrani (2011-3), quando si chiedeva agli Stati in difficoltà di attuare
contemporaneamente riforme economiche e di ridurre i deficit pubblici. Le
politiche di “consolidamento fiscale” hanno invece pesantemente aggravato la
crisi, provocando cadute di PIL e accrescendo, in luogo di diminuire, il
rapporto tra debito pubblico e PIL medesimo.
Oggi invece i Piani
Nazionali di Resilienza e Ripresa (PNRR) non prescrivono riforme “e” austerità”,
ma riforme “insieme a” politiche espansive.
Il problema è
che la dimensione dei piani UE, spesso definita “immensa”, “ciclopica”,
“oceanica” e via iperboleggiando, è in realtà modestissima.
I mezzi disponibili
per l’Italia vengono stimati in circa 200 miliardi. Di questi, tuttavia, 120
sono finanziamenti e incidono sul deficit: non rappresentano quindi soldi in
più immessi nell’economia ma solo una fonte di approvvigionamento alternativa
rispetto ai titoli di Stato.
Gli altri 80
miliardi, cosiddetti “grants” o “contributi a fondo perduto”, a fondo perduto
in realtà non sono, in quanto dovranno essere compensati da futuri versamenti o
tasse. Almeno temporaneamente, danno comunque un beneficio: ma insufficiente, tenuto
conto che verranno resi disponibili nell’arco di 4-5 anni.
Draghi stesso sa
che il PNRR è insufficiente, e infatti in più occasioni ha affermato che il
Patto di Stabilità e Crescita (PSC) non potrà essere riattivato in forma
invariata. Ma le posizioni degli Stati membri sono antitetiche. I mediterranei
vogliono un PSC più flessibile ed espansivo; i paesi del Nord ne chiedono il
ripristino in termini invariati, se non più rigidi.
I paesi del Nord
temono che un eccesso di debito pubblico di altri Stati membri possa dar luogo
a eventi di default o alla spaccatura della moneta unica. Non accettano però
un’illimitata e incondizionata garanzia da parte della BCE.
Il compromesso
politicamente perseguibile consiste nel mantenere l’impegno alla riduzione del
rapporto debito pubblico / PIL degli Stati, tenuto conto però che il debito
pubblico di riferimento NON include la Moneta Fiscale.
La Moneta
Fiscale potrà quindi essere utilizzata per attuare le politiche espansive
necessarie al raggiungimento e al mantenimento del pieno impiego delle risorse
produttive del paese.
La Moneta
Fiscale non comporta impegni di pagamento da parte dello Stato emittente, che
quindi non potrà mai essere forzato dai mercati finanziari ad andare in
default. L’impegno di accettazione (per compensare obblighi finanziari verso lo
Stato emittente stesso) potrà sempre essere onorato.
Un’eventuale “indisciplina”
di uno Stato (eccesso di emissione di Moneta Fiscale) al massimo depaupererà il
valore della Moneta Fiscale di quello Stato, perché circoleranno più titoli di
quanti se ne riesca a utilizzare nelle scadenze prestabilite. Ma questa eventualità
(peraltro del tutto improbabile) non avrà un riflesso sull’assetto generale
dell’eurosistema né forzerà BCE o altri a intervenire per preservarne la
stabilità. Resterà un problema interno allo Stato in questione.
La Moneta
Fiscale potrà essere utilizzata sia per finanziare interventi di spesa pubblica
(pubblico impiego, spesa sociale, investimenti, sostegno ai redditi) che per
ridurre il carico fiscale effettivo (senza necessariamente ridurre tasse o imposte,
bensì erogando Moneta Fiscale al contribuente).
La Moneta
Fiscale può inoltre essere utilizzata come mitigante dell’inflazione, ritornata
a essere un problema in seguito al dissesto delle catene di fornitura di
materie prime e componenti, prodotto dalla ripartenza post Covid e aggravato
poi dalla crisi ucraina.
Erogazioni di
Moneta Fiscale agli utilizzatori di energia, carburanti, prodotti alimentari
allevierebbero grandemente i problemi che oggi affliggono imprese e consumatori
(e soprattutto le fasce sociali disagiate).
Una parte delle
erogazioni di Moneta Fiscale potrà inoltre essere effettuata a beneficio dei
datori di lavoro, riducendo il peso effettivo del cuneo fiscale. Le produzioni
italiane diventeranno così più competitive, evitando che parte dell’effetto
espansivo del Progetto si disperda in peggioramento dei saldi esteri.
Non occorre che
BCE, UE o Stati membri forniscano garanzie addizionali. Si saranno create le
condizioni per ridurre, gradualmente ma costantemente, il peso del debito a
rischio di default rispetto a un PIL finalmente in crescita stabile. La constatazione
che le disfunzioni del sistema sono state finalmente risolte è adeguata per
rassicurare i detentori del debito che il sistema è diventato, finalmente,
stabile e affidabile.
Il progetto
Moneta Fiscale è stato criticato da alcuni commentatori in quanto, si afferma,
non c’è certezza che l’espansione economica prodotta dalla disponibilità di
maggior potere d’acquisto produca PIL e quindi gettito fiscale lordo in misura
corrispondente agli sconti fiscali, via via che questi diventano utilizzabili.
Il motivo è che l’effetto
espansivo è governato dai cosiddetti “moltiplicatori fiscali”, sulla cui
dimensione (come su qualsiasi manovra di politica economica) a priori si
possono formulare ragionevoli ipotesi, non previsioni precise al centesimo.
Va però
chiarito: non occorre che questa equivalenza perfetta si verifichi, perché un
eventuale ammanco potrà facilmente essere compensato incrementando gradualmente
nel tempo le emissioni di Moneta Fiscale.
Ad esempio, la formulazione
originaria del Progetto prevede che gli sconti fiscali che diventano via via
utilizzabili (con un differimento temporale di due anni rispetto all’emissione)
arrivino gradualmente a 100 miliardi di euro annui.
Gli incassi
totali lordi del settore pubblico italiano sono dell’ordine di 800, e saliranno
con l’espansione del PIL nominale. Emettere qualcosa più di 100 nell’anno in
cui 100 di sconti fiscali vengono utilizzati significa che continuerà a
esistere un’enorme differenza tra Moneta Fiscale in circolazione e incassi
lordi del settore pubblico. Il rischio che le emissioni di Moneta Fiscale
raggiungono livelli tali da svilirne il valore è in pratica infinitesimale.
La Moneta
Fiscale non è un meccanismo per rompere l’euro. Risolvendone le disfunzioni ne
garantisce in effetti la continuità, oggi periodicamente revocata in dubbio.
Non è uno
strumento sostitutivo, ma integrativo dell’euro. Il Progetto prevede che la
circolazione di Moneta Fiscale in Italia raggiunga qualche centinaio di
miliardi, mentre il valore totale delle attività finanziarie detenute dal
settore privato nazionale è dell’ordine di 5.000 circa.
Il Progetto
Moneta Fiscale è un passaggio cardine per rimettere in carreggiata l’economia
italiana e l’assetto dell’Eurozona; per far riprendere al nostro continente la
strada di uno sviluppo economico armonico, solidale, inclusivo, rispettoso
della coesione sociale.