sabato 29 maggio 2021

Mottarone, lockdown e confronti inappropriati

 

I tragici eventi del Mottarone hanno colpito tutti. Per quanto mi riguarda, anche un po’ di più. Ho una casa di vacanza a seicento metri dalla stazione intermedia della funivia Stresa – Mottarone. In quelle cabine ci sono stato tante volte, con mia moglie, mia figlia e tanti amici.

E l’indignazione è inevitabilmente salita alle stelle da quando sono emerse chiare indicazioni che la sciagura è stata provocata dalla manomissione del sistema frenante, attuata al solo scopo di lasciare la funivia in funzione invece di effettuare i necessari interventi di manutenzione. 

“La strage dell’avidità”, si è detto. Però alcuni commenti su testate giornalistiche e televisive sono andati oltre, introducendo un parallelo tra la tragedia della funivia e la fine del lockdown. Si sono letti titoli tipo “la strage delle riaperture”.

Il parallelo è del tutto fuori luogo.

Si dice: così come non si può, per ottenere un beneficio economico, far funzionare una funivia in condizioni insicure, neanche è possibile allentare misure restrittive finalizzate a contenere la diffusione del Covid, solo perché hanno un impatto sull’economia.

Provo a sintetizzare qual è la differenza.

Viaggiare su una funivia turistica non è indispensabile né essenziale per nessuno. Ammirare dall’alto i paesaggi del Lago Maggiore è molto bello, ma non è certo imprescindibile. In cima al Mottarone ci si arriva, peraltro, anche in auto in moto in bici a piedi. La funivia o viene gestita in condizioni di totale sicurezza – oppure la collettività ne può fare tranquillamente a meno.

Uscire di casa, anche ma non solo per lavorare, è invece la normalità per chiunque. Se è anomalo e inaccettabile salire su una funivia con un sistema di sicurezza disattivato, è invece NECESSARIO, per la maggior parte della popolazione, uscire di casa.

C’è il Covid, certo, e questo ha indotto all’adozione di provvedimenti restrittivi e limitazioni. Ma queste limitazioni non possono essere e in effetti non sono mai state totali. Anche nel periodo del lockdown “stretto”, marzo-maggio 2020, metà dell’economia (inevitabilmente) è rimasta in funzione, e da casa si è usciti – non fosse altro che per andare al supermercato o in farmacia.

Il rischio zero per la gestione di una funivia è raggiungibile – e se non lo fosse, di una funivia turistica si può fare a meno.

Il rischio zero per i movimenti di persone, anche nel corso di una pandemia, NON è raggiungibile e murare in casa l’intera popolazione NON è possibile. E non è forse peggio mantenere chiuse in casa, in un ambiente ristretto, due persone quando altre due invece devono inevitabilmente entrare e uscire ? non è forse che il rischio di formazione di un focolaio aumenta invece di diminuire ? il dubbio è quantomeno lecito. 

Manomettere i sistemi di sicurezza della Stresa – Mottarone è stato un atto sciagurato, irresponsabile, criminale.

Discutere dell’utilità e della misura dei lockdown è invece doveroso. Le restrizioni alla libertà di movimento tra l’altro hanno costi certi e benefici difficili da quantificare. E ogni attività umana comporta un grado di rischio. Il dibattito sui vari trade-off – riduzione dei problemi sanitari, danni economici, limitazione di diritti civili e costituzionali – è indispensabile.

È giusto allentare le restrizioni come si sta facendo in queste settimane ? io penso di sì. Opinioni contrarie sono assolutamente legittime, e confrontarsi è giusto e necessario.

Ma mettere in qualche modo sullo stesso piano chi ritiene appropriato allentare il lockdown e chi ha colpevolmente provocato una strage – no, questo è fuori da ogni logica.

 

mercoledì 26 maggio 2021

Imposta di successione: perché Letta è fuori strada

 

Come al solito, Mauro Ammirati centra perfettamente il punto:

Proposte come quella di Letta sulla successione sono definite, da alcuni economisti, “effetto gocciolamento”. Il popolo prende gli avanzi dei ricchi. Ventuno secoli fa, una donna cananea chiese un miracolo a Gesù dicendogli “Eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”, Mt 15,27. C’è poco da fare, certa gente ha un concetto perverso dell’economia. Sugli avanzi lasciati al popolo, che siano gocce o briciole, non si costruisce una società giusta né un’economia solida”.

La società oggi non è giusta e l’economia non è solida, in Italia, perché i maestri di Letta – Andreatta e Prodi in primo luogo – hanno raccontato la bufala che il problema fosse l’eccesso di potere d’acquisto in circolazione, altrimenti detto il livello del debito pubblico (che equivale, ma questo loro forse non l’hanno capito, e sicuramente non l’hanno detto, a risparmio privato).

Da questi (scellerati) presupposti sono nati l’adesione all’euro e venticinque anni di politiche depressive e deflattive. Che hanno devastato l’economia italiana e creato i guai che oggi Letta pretenderebbe di risolvere, appunto, con le briciole cadute dalla tavola – con l’imposta di successione per finanziare la “dote ai diciottenni”. 

L’ho detto e lo ripeto: io non sono pregiudizialmente contrario né alle imposte patrimoniali né all’imposta di successione. Ma respingo l’ipocrisia di chi pensa di risolvere qualcosa con nuove tasse quando il problema è uscire dal loop negativo creato all’Italia dall’ossequiosa aderenza alle regole dell’Eurosistema e alle ricette di Bruxelles.

PRIMA riportiamo l’Italia al pieno impiego immettendo capacità di spesa nel sistema economico e generando produzione e occupazione. POI possiamo parlare di quali forme di tassazione siano più o meno appropriate. Ma POI.

Altrimenti siamo sempre a baloccarci con modifiche a saldo zero (o addirittura negativo: vedi la proposta di patrimoniale LEU che doveva generare 18 miliardi di maggior gettito – altrimenti detto, RIDURRE di 18 miliardi la capacità di spesa nell’ambito dell’economia nazionale) senza affrontare, anzi senza neanche menzionare, il problema VERO.

Problema vero che è il razionamento artificiale della moneta e la continua, insensata compressione della capacità di spendere e di creare lavoro, che tiene costantemente sott’acqua la nostra economia.

 

sabato 22 maggio 2021

Mercati aperti e deflussi di capitale: alcune precisazioni

 

Alcuni economisti mainstream, di orientamento progressista e in parecchi casi, tra l’altro, favorevoli al progetto CCF / Moneta Fiscale, sono nondimeno in disaccordo con la mia tesi che uno Stato (per le ragioni illustrate qui) debba tipicamente trovarsi in situazione di deficit: detto altrimenti, debba mediamente spendere più di quanto incassa.

La loro posizione è che deficit prolungati nel tempo sono per definizione insostenibili. Sono transitoriamente necessari per superare fasi di difficoltà, ma poi è necessario riportate i conti pubblici in pareggio (qualcuno arriva addirittura a dire che si debbano produrre surplus per compensare i deficit precedenti).

In questo post sviluppo ulteriori argomentazioni a sostegno del mio punto di vista.

Sono obiettivi da perseguire, per un’economia nazionale, una crescita del PIL in linea con il potenziale (evitando sottoccupazione delle risorse produttive), moderati livelli di inflazione, e saldi commerciali esteri in pareggio (salvo essere in grado di finanziare i deficit esteri con moneta propria, cosa che è vera per alcuni paesi – gli USA in primo luogo – ma non per tutti).

In queste condizioni, il deficit pubblico si traduce automaticamente in risparmio finanziario privato interno. Saldi esteri in pareggio implicano che l’economia non ha necessità di attirare capitali esteri. Di conseguenza, gli investimenti produttivi possono essere finanziati da mezzi reperibili all’interno del paese.

Ciononostante, in presenza di mercati finanziari aperti e integrati, è possibile (sostengono gli economisti mainstream sopra citati) che gli operatori finanziari si “disamorino” del paese. Lo considerino inaffidabile, non attraente, perdano fiducia. A ragione o magari anche a torto.

È un problema ? dobbiamo preoccuparci se i capitali esteri cessano di affluire ? ma abbiamo appena visto che non sono necessari a un paese con saldi commerciali in equilibrio.

E se i capitali finanziari INTERNI fuggono all’estero ? ma questo implica che i residenti accumulino risparmio netto fuori dal proprio paese, il che richiede una variazione positiva della NIIP (Net International Investment Position). A sua volta, la NIIP si incrementa in presenza di saldi commerciali esteri positivi: il risparmio finanziario allocato all’estero cresce se le esportazioni eccedono le importazioni.

In effetti è più che probabile che questo accada in regime di cambi flessibili, perché la fuoriuscita di capitali tende a deprezzare il cambio - il che ha un effetto espansivo sul surplus commerciale e sul PIL.

Questo accelera la crescita ed attira capitali verso investimenti produttivi all’interno del paese. Il che tende a riequilibrare la situazione e a risolvere il (presunto) problema dei “capitali in fuga”.

Per supporre che questo non avvenga, occorre ipotizzare che un’economia in crescita, con poca inflazione e saldi esteri in pareggio, subendo uno shock positivo (spinta sulle esportazioni nette) non sia in grado di finanziare gli investimenti produttivi.

È, semplicemente, illogico e inverosimile.

Quando il deficit pubblico di un paese dotato della propria moneta diventa eccessivo ? quando genera eccesso d’inflazione e/o deficit commerciali elevati, persistenti NONCHÉ finanziati in moneta estera. Altrimenti il problema di sostenibilità non si pone, a prescindere dal livello numerico del deficit pubblico.

Un deficit pubblico pari (in media) a qualche punto percentuale è la normalità, non l’eccezione. Tanto è vero che nonostante NON tutti i deficit pubblici siano stati finanziati a debito (vari paesi li hanno, almeno parzialmente, monetizzati), TUTTI gli stati di un qualche rilievo economico HANNO ACCUMULATO DEBITO PUBBLICO.

Un’eccezione a quanto sopra si può verificare se, ad esempio, pretendo di bloccare il cambio all’infinito. In assenza di altri elementi compensativi, il ribilanciamento sopra descritto non si verifica e la fuoriuscita di capitali, che implica un incremento della NIIP e quindi saldi esteri positivi, richiede di comprimere la domanda interna, mandando l’economia in depressione. In altri termini, quanto è avvenuto in Italia dall’avvento dell’euroausterità (quindi dal 2011) in poi.

Ma l’origine del problema è aver eliminato l’ammortizzatore del cambio flessibile senza sostituirlo con qualcosa in grado di produrre risultati equivalenti (ad esempio l’abbassamento del cuneo fiscale, come previsto dal progetto CCF). Non di uno “sciopero degli investitori finanziari” che un’Italia dotata della propria moneta, in assenza di debito pubblico denominato in valuta straniera, avrebbe tranquillamente evitato.

mercoledì 19 maggio 2021

“Vivere al di sopra dei propri mezzi”: spiegare l’equivoco


È importante essere in grado di confutare, in modo rapido, convincente ed aderente alla realtà, la BUFALA dell’”Italia piena di debiti perché ha vissuto / vive al di sopra dei propri mezzi”. 

Perché di BUFALA si tratta.

La confutazione è semplicissima.

Se un paese ha i conti pubblici in deficit, significa che il settore pubblico spende più di quanto incassa (gli incassi essendo sostanzialmente le tasse).

Ora, ogni centesimo di deficit pubblico è un centesimo che resta nel SETTORE PRIVATO dell’economia. Il deficit non sono “soldi che spariscono” ma soldi che vengono immessi in circolazione e ci restano. Significa che quel centesimo andrà a incrementare il RISPARMIO di una famiglia o di un’azienda. L’eccesso di spesa rispetto alle tasse rimane in tasca ai propri cittadini.

L’eccezione a quanto sopra si verifica se quel centesimo viene speso nell’acquisto di beni o servizi prodotti all’estero. In questo caso, si verrà comunque a formare risparmio – ma a beneficio di un soggetto residente fuori dal territorio nazionale.

Ma questo NON si accade se il saldo commerciale italiano è in equilibrio, o se addirittura è positivo. E l’Italia ha conti con l’estero in surplus per 60 miliardi all’anno.

Un surplus commerciale implica che beni e servizi vengono prodotti dall’economia nazionale in misura maggiore rispetto alla spesa dei residenti italiani. In altri termini, l’Italia produce più di quello che spende. Vive AL DI SOTTO dei propri mezzi, non viceversa.

E infatti l’Italia ha una posizione finanziaria verso l’estero POSITIVA. Le attività finanziarie e gli investimenti patrimoniali esteri detenuti da italiani sono superiori alle attività finanziarie e patrimoniali possedute, in Italia, da soggetti stranieri.

La favola dell’”Italia paese che scialacqua e che vive al di sopra dei propri mezzi” nasce dal fatto che esistono un deficit e un debito pubblico – e il debito pubblico è particolarmente elevato in rapporto al PIL.

Ma ogni centesimo di deficit pubblico, come detto, si è tradotto in risparmio di cittadini e aziende ITALIANI. E di conseguenza il debito del settore pubblico è fronteggiato da risparmio del settore privato.

I problemi finanziari del settore pubblico italiano NON dipendono dall’aver sprecato o scialacquato. Dipendono SOLO dall’aver convertito il debito pubblico da moneta nazionale (che per definizione non creava problemi di rifinanziamento) a moneta straniera. Straniera, e troppo forte per i fondamentali dell’economia italiana.

Con il dovuto garbo ed educazione, ma con fermezza, chiarite tutto questo a chi per la miliardesima volta vi canta il ritornello dell’Italia sprecona e indebitata. La TREMENDA confusione tra deficit / debito pubblico, e deficit / debito estero, va chiarita una volta per tutte.

 

domenica 16 maggio 2021

Le “aspettative d’inflazione”

 

Credo utile sviluppare ulteriormente un passaggio del mio commento all’articolo di Thomas Palley (commento che si applica, in generale, a molte critiche formulate alla MMT dagli economisti mainstream).

Mi riferisco al punto che segue: “long-term interest rates will tend to rise if financial market participants anticipate risks of future financial turmoil or higher future inflation”.

Implicita in questa affermazione è che la MMT non si ponga il tema del controllo dell’inflazione. A riprova che Palley fraintende il pensiero degli autori MMT, che il tema, al contrario, se lo pongono eccome.

Ma c’è un’ulteriore ordine di considerazioni. Molti economisti mainstream attribuiscono un’importanza determinante alle “aspettative”. Per quanto riguarda in particolare l’inflazione e i tassi d’interesse, affermano che i mercati richiederanno tassi più alti se si formeranno l’idea che l’inflazione futura sia destinata a crescere.

Ho già spiegato nel post di cui al link sopra che l’istituto di emissione ha la possibilità di controllare a suo piacimento l’intera curva dei tassi d’interesse sul debito pubblico. Se la Federal Reserve stabilisce che il valore di mercato dei treasuries a dieci anni debba rimanere fissato a un livello che equivale a un tasso annuo dell’1,5%, comprando o vendendo titoli in misura illimitata a quel valore, l’1,5% è un dato di fatto che nessuna “aspettativa” può modificare.

In aggiunta a ciò, quanto possono reggere “aspettative” che la realtà non conferma ? se le politiche economiche sono impostate in modo da mantenere l’inflazione sotto controllo, posso anche immaginare che gli operatori finanziari siano inizialmente scettici sulla determinazione delle autorità a proseguire nel tempo con queste politiche.

Posso immaginarlo, ma non certo darlo per scontato. Ma prendiamola pure come ipotesi di lavoro.

I mercati finanziari possono essere scettici. Ma quanto regge questo scetticismo se dopo uno, due, tre anni queste “aspettative”, questa “immacolata concezione dell’inflazione”, non si concretizzano ?

L’inflazione, intesa come livello medio dei prezzi al consumo, non aumenta per effetto delle “aspettative”. Aumenta se il potere d’acquisto disponibile a famiglie e aziende supera la capacità produttiva del sistema economico.

Questo per quanto attiene al LIVELLO MEDIO. Possono verificarsi fenomeni di accaparramento, anche speculativo, a fronte di ipotesi sulla scarsità futura di particolari beni o servizi. Ma dipendono da previsioni di eventi specifici. Se prevedo la chiusura di un mega giacimento petrolifero in Arabia Saudita, indubbiamente il prezzo del petrolio salirà. Ma se la quantità di potere d’acquisto in circolazione rimane invariata, si comprimeranno i margini degli utilizzatori di petrolio o di altri operatori economici, mentre NON salirà l’indice MEDIO dei prezzi al consumo.

Le aspettative non influenzano l’inflazione (definita, ripeto, dal livello MEDIO dei prezzi al consumo). E non influenzano neanche i tassi sul debito pubblico. La politica economica EFFETTIVA (non le previsioni formulate da chicchessia) influenza invece l’inflazione, perché determina la capacità GENERALE di acquistare beni e servizi.

E le aspettative non incidono nemmeno sulla capacità dell’istituto di emissione di controllare i rendimenti offerti a chi sottoscrive debito pubblico (ammesso che si decida di emettere debito pubblico – cosa NON necessaria per uno Stato che emette la propria moneta).

 

martedì 11 maggio 2021

Crediti fiscali: la battaglia di retroguardia della Ragioneria Generale


Giovedì 6 maggio la Ragioneria Generale dello Stato ha chiesto lo stralcio di un emendamento al DL Sostegni, presentato da M5S e Lega e sostenuto da tutte le principali forze politiche (anche di opposizione). Finalità, rendere cedibile il credito d’imposta per l’acquisto di beni strumentali, previsto dal Piano Transizione 4.0: il “superbonus per le aziende”.

Le reazioni sono state decisamente vivaci e il M5S in particolare si è espresso in termini molto combattivi, minacciando addirittura di non votare la fiducia al governo.

Non ci si arriverà: ma l’azione della RGS solleva perplessità enormi. Chi scrive ha molto a cuore il tema, avendo da anni (insieme a Biagio Bossone, Massimo Costa e Stefano Sylos Labini) animato il Gruppo della Moneta Fiscale, che propone soluzioni di rilancio dell’economia mediante, appunto, emissione di crediti utilizzabili in compensazione di impegni fiscali.

Le motivazioni addotte dalla RGS sono francamente astruse. Un credito fiscale a utilizzo differito genera impatti negativi sul deficit e sul debito pubblico futuri: questo, a parità di condizioni. In realtà, la sua erogazione ha nel frattempo effetti compensativi, immediati, di stimolo all’economia.

Ignorare questi effetti compensativi e predisporre coperture a fronte degli impatti futuri (come già previsto) è fortemente conservativo, ma ha quantomeno una sua coerenza.

Ma la RGS va ben oltre: argomenta che se i crediti fiscali sono liberamente cedibili (dal beneficiario originale ad altri soggetti) allora “potrebbero”, anche alla luce di future ed eventuali (!) modifiche dei regolamenti Eurostat, costituire debito già al momento dell’emissione.

Un’arrampicata sugli specchi. Con questa “logica” bisognerebbe affermare che un BTP (negoziabile sul mercato) è debito pubblico, ma un finanziamento che l’Italia dovesse mai contrarre con il Fondo Monetario Internazionale (non negoziabile) non lo è !

Sorge il dubbio che la RGS sia influenzata da spinte politiche. I crediti fiscali negoziabili sono un potentissimo strumento di rilancio dell’economia: prova ne è l’enorme interesse che stanno suscitando, a partire dal Superbonus 110%.

Piccolo “difetto” agli occhi dell’establishment filo-Bruxelles: sono una leva in mano agli Stati e contrastano quindi il trasferimento di potere verso la UE.

Una posizione inaccettabile. Le regole dell’eurosistema vanno cambiate, ormai è riconosciuto: perché hanno dimostrato la loro catastrofica inadeguatezza, e perché ci sono da recuperare i danni economici del Covid.

Ma il processo di revisione è farraginoso e dubbio nei risultati. Le discordanze tra Stati sono enormi. La UE nel frattempo ha approvato uno strumento (il NextGenerationEU) inadeguato nella dimensione, complicatissimo nell’attuazione, e comunque ancora non attivo (dopo un anno) a causa delle forti opposizioni all’interno di vari parlamenti nazionali.

Se gli interventi a livello centrale non decollano o sono carenti, gli Stati devono poter supplire. Altrimenti (già lo constatiamo) i tempi di recupero dell’economia dell’Eurozona saranno sempre più lenti rispetto ad America ed Asia. Altro che “forza in grado di competere con i grandi blocchi mondiali”: l’Eurozona si condanna all’irrilevanza.

Temi di enorme rilievo. L’azione della RGS va quindi fortissimamente contrastata a livello politico. Non sono astrusi tecnicismi. C’è di mezzo il futuro del nostro Paese e del continente.

 

domenica 9 maggio 2021

Fiscal Money and the European Union

Una mia intervista con Real Progressives, eccellente sito di informazione su temi di economia politica - con focus sugli USA ma apertura anche a comprendere che cosa capita dalle nostre parti. Registrata il 10.4.2021.


Inserisco anche il link, qui (mi sono stati segnalati, in alcuni casi, problemi di accesso al video cliccando sull'immagine).

giovedì 6 maggio 2021

Il destino dell’Eurozona (nel lungo termine)

 

Un ritornello degli euro-unionisti è che gli Stati europei hanno bisogno di aggregarsi per “pesare” nei confronti dei grandi blocchi economico-politici mondiali (USA e Cina in particolare).

In merito a questo tema, credo sia utile riflettere su alcuni dati.

Se parliamo di aggregazione economica, assimilabile almeno in parte a un embrione di Superstato, dobbiamo fare riferimento all’Eurozona, non alla UE. Gli Stati che usano la loro moneta sono collegati agli altri da un sistema di accordi di libero scambio, regolamentazione della concorrenza, cooperazione economica, ma godono di autonomia pressoché totale per quanto riguarda le loro politiche di bilancio.

Bene. Oggi l’Eurozona ha una popolazione di circa 330 milioni di persone, il mondo nel suo complesso 7.850 milioni.

Il mondo continua a crescere in termini di popolazione. A metà del secolo o poco dopo si raggiungerà una stabilizzazione intorno a 10 miliardi di persone.

Gli Stati membri dell’Eurozona resteranno ai livelli attuali o forse caleranno un po’, diciamo intorno a 300 milioni.

In termini economici, lo sviluppo mondiale continuerà a ritmi molto sostenuti in Asia e (trainato anche dalla demografia) in Africa. E sarà significativo anche in America e in generale nella sfera anglosassone.

Se l’Eurozona continuerà con le sue politiche deflattive, orientate alla compressione salariale e alla ricerca ossessiva di surplus commerciali verso l’estero (orientamento che il Recovery Fund NON modifica in modo minimamente significativo) la sua crescita di PIL sarà invece modesta o nulla.

Nel 2050, possiamo quindi aspettarci un’Eurozona che pesa per il 3% della popolazione mondiale, con un PIL procapite ancora superiore alla media, ma decisamente meno di oggi.

Che peso avrà l’Eurozona nelle dinamiche mondiali ?

Il 3% della popolazione, e poco di più in termini di PIL complessivo, significa essere, rispetto al mondo, nella stessa relazione in cui la Svezia è oggi rispetto all’Eurozona. 

La Svezia ha 10 milioni di abitanti – il 3% di 330, appunto – e un reddito procapite un po’ più alto della media eurozonica.

Con tutto il rispetto per il civile e progredito popolo svedese, quanto pesa la Svezia in termini di capacità di interazione con l’Eurozona ?

Qualcosa di vicino a zero.

Mettiamolo in termini di proporzioni:

Svezia : Eurozona = Eurozona : Mondo.

In altri termini, se mai l’Eurozona s’integrasse sul piano politico (eventualità oggi remota, peraltro) negli equilibri mondiali conterebbe…

…tra poco e nulla.

Certo, le cose potrebbero cambiare. Altri paesi potrebbero adottare l’euro, per esempio. Peccato che gli stati UE-non-euro di un certo peso economico e/o demografico – Svezia, Danimarca, Polonia, Ungheria, Romania, Repubblica Ceca – se ne stiano guardando bene.

Per tacere dei britannici, che per non lasciare dubbi dalla UE sono proprio usciti

Mettiamola pure in termini crudi: l’integrazione politica europea “per contare negli equilibri economici mondiali” è una bufala. Tanto per cambiare.

 

martedì 4 maggio 2021

"Dal Super-Ecobonus alla Moneta Fiscale": il video

Video del webinar organizzato dalla componente parlamentare "L'Alternativa c'è" lo scorso 30 aprile.

Il link è qui. Il webinar parte dopo circa due minuti e mezzo, il mio intervento è dal minuto 34'30" fino a 49'.

sabato 1 maggio 2021

Gli scettici azzittiti dall’Ecobonus

 

L’Ecobonus 110% attribuisce crediti d’imposta, utilizzabili in compensazione su un arco temporale di cinque anni, a chi effettua interventi di ristrutturazione immobiliare che soddisfino determinati requisiti di efficientamento energetico e di miglioramento degli impatti ambientali.

In questi giorni, forze politiche e governo stanno discutendo animatamente in merito alla sua estensione, al suo prolungamento temporale, e a come rendere le procedure per ottenere l’Ecobonus più snelle e affidabili.

La normativa può senz’altro essere migliorata. Però un risultato importantissimo già è stato ottenuto.

Quando, nell’ormai lontano 2012, ho formulato le prime proposte di Moneta Fiscale nel formato CCF, ho ricevuto parecchie contestazioni – condite a volte da forti dosi d’ironia se non di sarcasmo – del tipo “ma che sono questi CCF, buoni pasto ?” “ma che me ne faccio ?” “ma chi mai li prenderà ?” “se vai in banca a farteli scontare ben che vada ti daranno metà del valore facciale”. Eccetera.

Il dato di fatto è che l’Ecobonus sta suscitando un interesse enorme, e le aziende di credito accettano di comprare i relativi crediti d’imposta con sconti tipo 7-8% del valore facciale, su un periodo di differimento medio di due anni o poco più. Su base annua il tasso di attualizzazione è del 3-4%, altro che il 50%.

Lo strumento oggi è ben lontano dall’essere sfruttato per tutto il suo potenziale. Le procedure per ottenerlo sono complesse, non so dire se per eccesso di burocrazia o perché la verifica delle caratteristiche energetico-ambientali degli interventi è, di suo, complicata.

Sicuramente la normativa va migliorata e semplificata. Ma in aggiunta, e ancora più importante, va estesa a un ventaglio di interventi molto più ampio, soggetti a condizioni di erogazione molto più semplici e automatiche. Come previsto peraltro dal progetto-base CCF.

Va inoltre avviata la piattaforma di scambio dei crediti fiscali, che renderà lo strumento molto più liquido e ridurrà ulteriormente, e di parecchio, i tassi di attualizzazione.

Ma già nella forma attuale, l’Ecobonus ha demolito gli scetticismi e le ironie di quei commentatori. Il valore economico della Moneta Fiscale e la sua capacità di sviluppare una potente azione espansiva sull’economia, nonché di ridare leve d’intervento per portare l’Italia fuori dalla crisi, sono a questo punto totalmente dimostrati.