Per cominciare,
alcuni dati.
PIL a
|
Crescita PIL
|
Delta PIL
| ||||||
prezzi
|
Crescita
|
Effetto
|
potenziale
|
PIL
|
potenziale
|
Differenza
| ||
Anno
|
PIL
|
2007
|
reale
|
prezzi
|
(*)
|
potenziale
|
vs effettivo
|
cumulata
|
2007
|
1.554
|
1.554
|
1.554
| |||||
2008
|
1.575
|
1.535
|
-1,2%
|
2,6%
|
1,5%
|
1.618
|
43
|
43
|
2009
|
1.520
|
1.451
|
-5,5%
|
2,1%
|
1,5%
|
1.677
|
157
|
200
|
2010
|
1.553
|
1.478
|
1,9%
|
0,3%
|
1,5%
|
1.707
|
154
|
355
|
2011
|
1.580
|
1.484
|
0,4%
|
1,3%
|
1,5%
|
1.755
|
175
|
530
|
2012
|
1.566
|
1.450
|
-2,3%
|
1,5%
|
1,5%
|
1.809
|
243
|
773
|
2013
|
1.559
|
1.423
|
-1,8%
|
1,4%
|
1,5%
|
1.861
|
302
|
1.075
|
(*) Escluso effetto prezzi.
|
Commenti.
Depurato per l’effetto prezzi, il PIL 2013 italiano è previsto dall’OCSE a
livelli inferiori di quasi il 9% (1.423 contro 1.554) rispetto al 2007.
Il PIL
potenziale di un paese cresce per effetto dell’accumulazione di capitale
produttivo, dei miglioramenti della tecnologia e della crescita demografica.
Ipotizziamo che il PIL 2007 sia stato pari al livello potenziale, cioè a una
situazione ottimale sotto il profilo dell’occupazione. Anche se per la verità
il contesto economico 2007 dell’Italia lo ricordo discreto, non proprio
smagliante.
Ipotizziamo
inoltre che il PIL potenziale in Italia abbia una tendenza a crescere in
ragione dell’1,5% annuo medio. E’ un dato inferiore a quelli che circolavano
prima della crisi, dove il 2% era già considerato cautelativo.
Con queste due
ipotesi, si arriva a stimare il PIL italiano potenziale, altrimenti detto il
PIL “di piena occupazione”: che non significa disoccupazione zero, bensì
un’economia sufficientemente dinamica, in cui trovare lavoro a condizioni
decorose e stabili è possibile in modo abbastanza rapido sia per i giovani al
primo impiego, sia per chi si trova a cercarne uno in età più matura.
Un livello
“sano” di attività economica richiede che il PIL effettivo corrisponda al
potenziale. La differenza negativa è il cosiddetto “output gap” ed è la perdita
di produzione, e quindi di reddito, che il paese subisce a causa dell’incapacità
di sfruttare una parte delle sue risorse produttive.
L’output gap
italiano nel 2013 è di circa 300 miliardi di euro. Stiamo procedendo oltre il
16% sotto le potenzialità della nostra economia.
Questo ammanco è
stato prodotto essenzialmente da due fenomeni: la crisi finanziaria esplosa, a
livello mondiale, nel settembre 2008 con il fallimento Lehman Brothers, e la
crisi dell’eurozona la cui data d’inizio può essere situata nel 2009, e che ha
investito in pieno l’Italia nel 2011 (impennata del costo del debito pubblico,
dimissioni di Berlusconi, governo Monti).
Stimare
separatamente gli effetti è difficile, o meglio opinabile. Le due crisi si sono
sovrapposte – nel 2011 l’output gap dovuto alla crisi Lehman dava segni di
attenuazione, ma ancora molto parziali. D’altra parte le differenze di
competitività tra Germania e Italia, tra Nord e Sud Europa, si stavano
accumulando e stavano frenando il recupero italiano sicuramente da prima delle
manovre di austerità (iniziate a metà 2011).
Con tutti i
limiti e le approssimazioni del caso, suggerisco comunque di etichettare sotto
la voce “Crisi Lehman” l’output gap complessivo rilevato nel 2008, 2009, 2010 e
metà 2011. E sotto la voce “Eurocrisi” l’altra meta 2011, il 2012 e il 2013.
Fanno
impressione, in ogni caso, le cifre totali. In sei anni, l’Italia subisce una
perdita di PIL, quindi di reddito della collettività nazionale, di 1.075
miliardi di euro, di cui 443 attribuibili alla Crisi Lehman e 632 all’Eurocrisi.
E la
devastazione economica non finisce certo con il 2013. Nemmeno si attenua, se
le politiche adottate in Italia e in Europa proseguiranno per inerzia, secondo
le linee attuali.
Bene,
applichiamo a questi dati il progetto Certificati di Credito Fiscale per
ottenere la chiave di soluzione di questo pesantissimo contesto. Stime recenti
elaborate e / o utilizzate da economisti di grande prestigio e notorietà (Olivier
Blanchard, capo economista del Fondo Monetario Internazionale; Paul Krugman, premio
Nobel 2008) stimano intorno a 1,3 il cosidetto “moltiplicatore keynesiano”.
Questo equivale
a dire che un insieme di politiche attive di sostegno della domanda, in
situazione di PIL inferiore a quello potenziale, produce un recupero di
produzione e reddito pari a 1,3 volte circa il loro importo.
Dato un output
gap di 302 miliardi di euro, per riportare l’economia italiana al suo
potenziale vanno quindi emessi, su base annua, CCF per un importo di 302 / 1,3
= 232 miliardi. Nelle prime formulazioni del progetto avevo parlato di 150
miliardi, successivamente incrementati a 200. La cifra lievita essenzialmente
per una ragione: il tempo passa, il PIL effettivo italiano continua a scendere
e l’output gap ad aumentare.
Oltre a colmare
il gap di domanda e di capacità di spesa, dobbiamo però essere ragionevolmente
certi che questa immissione di strumenti monetari non produca un peggioramento
della bilancia commerciale italiana. Altrimenti l’effetto positivo sul PIL
sarebbe in parte eroso dall’aumento del deficit commerciale, e riprenderebbe ad
accumularsi debito verso l’estero.
Per ottenere
questo effetto, il progetto CCF prevede che una parte significativa delle
emissioni di CCF vada alle aziende private, per ridurre la tassazione effettiva
del lavoro che grava su di esse e riportare la competitività (costo del lavoro
per unità di prodotto) a livelli Nord Europei.
L’attuale
deficit di competitività è stimato nel 20% circa, mentre i costi di lavoro
annui lordi delle aziende private italiane sono previsti in 466 miliardi di
euro. La quota di CCF ad esse destinate dovrebbe essere quindi all’incirca pari
a 466 x 20% = 93 miliardi.
Non sono
previste assegnazioni di CCF al datore di lavoro pubblico. In primo luogo si
tratterebbe di una partita di giro (moneta statale assegnata allo Stato
medesimo). Inoltre l’amministrazione pubblica eroga servizi che, salvo eccezioni
complessivamente di poco conto, non sono destinati all’export né competono con
le importazioni: sanità, pubblica istruzione, ordine pubblico, giustizia,
difesa, territorio.
Restano 232 – 93
= 139 miliardi annui utilizzabili per altre forme di sostegno dei redditi e della
domanda:
Integrazione di
reddito di TUTTI i lavoratori (dipendenti pubblici, dipendenti privati e
autonomi).
Sostegno ai
redditi delle categorie disagiate e più colpite dalla crisi.
Miglioramento /
reintegro di spesa sociale.
Accelerazione dei
pagamenti a fornitori della pubblica amministrazione.
prima che uscisse l'attuale post. con un calcoletto da scuola elementare, in assenza di dati OCSE,avevo calcolato il PIL nell'ordine
RispondiEliminadi 1602, semplicemente rapportandolo al debito
pubblico ( assodato )di 2035.
è troppo semplicistico? GFC
Il PIL effettivo o il PIL potenziale ? penso l'effettivo, probabilmente è uscito un numero un po' più alto perché hai usato una stima leggermente ottimistica del rapporto debito / PIL.
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