giovedì 13 luglio 2017

BCE, CCF e titoli non soggetti a default

Si è parlato parecchio, nelle ultime settimane, di un report predisposto da due collaboratori della BCE, in particolare con riferimento al seguente passaggio:

“In un’economia che ha una propria moneta a corso forzoso, l’autorità monetaria e quella fiscale possono garantire che il debito pubblico denominato in quella valuta nazionale non sia soggetto a default, cioè che i titoli pubblici che giungono a maturazione siano convertiti in valuta a parità. Con una disposizione di questo tipo la politica fiscale può concentrarsi sulla stabilizzazione del ciclo economico anche quando la politica monetaria sui tassi raggiunge il livello nominale minimo. Nonostante ciò le autorità fiscali dei paesi dell’area euro hanno rinunciato alla possibilità di emettere titoli non soggetti a default. Di conseguenza una stabilizzazione efficace del ciclo macroeconomico è diventata un obiettivo difficile da raggiungere”.

Queste pochi frasi hanno implicazioni serissime. Si sta affermando (in un report predisposto da ricercatori che collaborano con la BCE !) che il sistema euro ha un problema fondamentale: l’impossibilità per gli stati membri di finanziarsi, e quindi anche di effettuare le necessarie manovre di stabilizzazione in presenza di shock esterni (quali la crisi finanziaria internazionale del 2008, e le sue conseguenze) emettendo titoli non soggetti a rischio d’insolvenza.

Con ogni probabilità, il report è stato predisposto per supportare una riforma dell’Eurosistema che preveda di rimediare a questa gravissima lacuna emettendo titoli garantiti dalla BCE, e modificando i trattati in modo da poterli utilizzare per queste operazioni di “stabilizzazione” (che in buona sostanza significa manovre espansive  - più spesa pubblica e/o minori tasse - nelle situazioni in cui la domanda è troppo debole).

Il problema è che non esiste attualmente, all’interno dell’Eurozona, il necessario consenso unanime per modificare i trattati. In parole più semplici, la Germania si oppone, e non è prevedibile che modifichi la sua posizione, quantomeno ancora per parecchi anni.

I Certificati di Credito Fiscale sono esattamente lo strumento che, senza richiedere modifiche dei trattati, risolve il problema. Li possono emettere gli stati membri e non sono soggetti a default, in quanto danno diritto a sconti su pagamenti di imposte future, ma non devono essere rimborsati in euro. Nessuno stato emittente potrà quindi mai essere costretto al default su un CCF – esattamente come non è possibile costringere al default (su un titolo di debito pubblico) lo stato che emette la moneta in cui quel titolo è rimborsabile.

I CCF, in sintesi, risolvono il problema discusso dai ricercatori BCE nel loro report.


2 commenti:

  1. 9) Nell’UEM i singoli Stati NON possano attuare AUTONOMAMENTE politiche fiscali espansive, non lo dico io (soltanto) ma, tra i tanti, Sergio Cesaratto, il quale nelle proprie pubblicazioni ha sempre evidenziato l’importanza della sostenibilità del debito estero ai fini della tenuta del sistema-paese. D’altra parte basta guardare a cosa è successo in Grecia il cui debito estero, divenuto insostenibile a causa di un cambio reale troppo sopravvalutato, ha condotto prima ad incrementi considerevoli del debito pubblico e poi al collasso dell’intero sistema-paese.

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    1. Il debito che rileva è quello che deve essere rimborsato e che quindi da' luogo a rischi d'insolvenza. I CCF non sono debito (anche ai sensi dei criteri contabili Eurostat, vedi post del 3.4.2017). Il progetto CCF in effetti permette di effettuare azioni espansive, bloccando definitivamente - nello stesso tempo - l'incremento del debito.

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