Si è parlato
parecchio, nelle ultime settimane, di un report predisposto da due
collaboratori della BCE, in particolare con riferimento al seguente passaggio:
“In un’economia
che ha una propria moneta a corso forzoso, l’autorità monetaria e quella
fiscale possono garantire che il debito pubblico denominato in quella valuta
nazionale non sia soggetto a default, cioè che i titoli pubblici che giungono a
maturazione siano convertiti in valuta a parità. Con una disposizione di questo
tipo la politica fiscale può concentrarsi sulla stabilizzazione del ciclo
economico anche quando la politica monetaria sui tassi raggiunge il livello
nominale minimo. Nonostante ciò le autorità fiscali dei paesi dell’area euro
hanno rinunciato alla possibilità di emettere titoli non soggetti a default. Di
conseguenza una stabilizzazione efficace del ciclo macroeconomico è diventata
un obiettivo difficile da raggiungere”.
Queste pochi
frasi hanno implicazioni serissime. Si sta affermando (in un report predisposto
da ricercatori che collaborano con la BCE !) che il sistema euro ha un problema
fondamentale: l’impossibilità per gli stati membri di finanziarsi, e quindi
anche di effettuare le necessarie manovre di stabilizzazione in presenza di
shock esterni (quali la crisi finanziaria internazionale del 2008, e le sue
conseguenze) emettendo titoli non soggetti a rischio d’insolvenza.
Con ogni
probabilità, il report è stato predisposto per supportare una riforma
dell’Eurosistema che preveda di rimediare a questa gravissima lacuna emettendo
titoli garantiti dalla BCE, e modificando i trattati in modo da poterli
utilizzare per queste operazioni di “stabilizzazione” (che in buona sostanza
significa manovre espansive - più spesa
pubblica e/o minori tasse - nelle situazioni in cui la domanda è troppo
debole).
Il problema è
che non esiste attualmente, all’interno dell’Eurozona, il necessario consenso
unanime per modificare i trattati. In parole più semplici, la Germania si
oppone, e non è prevedibile che modifichi la sua posizione, quantomeno ancora
per parecchi anni.
I Certificati di Credito Fiscale sono esattamente lo strumento che, senza richiedere modifiche
dei trattati, risolve il problema. Li possono emettere gli stati membri e non
sono soggetti a default, in quanto danno diritto a sconti su pagamenti di
imposte future, ma non devono essere rimborsati in euro. Nessuno stato
emittente potrà quindi mai essere costretto al default su un CCF – esattamente
come non è possibile costringere al default (su un titolo di debito pubblico)
lo stato che emette la moneta in cui quel titolo è rimborsabile.
I CCF, in
sintesi, risolvono il problema discusso dai ricercatori BCE nel loro report.
9) Nell’UEM i singoli Stati NON possano attuare AUTONOMAMENTE politiche fiscali espansive, non lo dico io (soltanto) ma, tra i tanti, Sergio Cesaratto, il quale nelle proprie pubblicazioni ha sempre evidenziato l’importanza della sostenibilità del debito estero ai fini della tenuta del sistema-paese. D’altra parte basta guardare a cosa è successo in Grecia il cui debito estero, divenuto insostenibile a causa di un cambio reale troppo sopravvalutato, ha condotto prima ad incrementi considerevoli del debito pubblico e poi al collasso dell’intero sistema-paese.
RispondiEliminaIl debito che rileva è quello che deve essere rimborsato e che quindi da' luogo a rischi d'insolvenza. I CCF non sono debito (anche ai sensi dei criteri contabili Eurostat, vedi post del 3.4.2017). Il progetto CCF in effetti permette di effettuare azioni espansive, bloccando definitivamente - nello stesso tempo - l'incremento del debito.
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