Ferruccio
De Bortoli ha pubblicato su “Corriere Economia” un pezzo sulla Moneta Fiscale. Il
Corriere ci ha dato disponibilità a pubblicare una replica, cosa che dovrebbe
avvenire, credo, lunedì 23 prossimo. Vi anticipo intanto un mio primo draft; la
versione finale della risposta dirà cose in parte simili ma anche (ovviamente…)
in parte diverse nonché più estensive, grazie alle integrazioni di
Biagio Bossone, Massimo Costa e Stefano Sylos Labini.
Ferruccio De
Bortoli va ringraziato per l’attenzione dedicata, nell'articolo del 9 ottobre u.s., alla nostra proposta di rilanciare l’economia italiana introducendo uno strumento finanziario denominato Certificato di Credito Fiscale (CCF) o Titolo
di Sconto Fiscale (TSF). E’ appropriato, d’altra parte, cogliere l’occasione
per una serie di chiarimenti in merito ai dubbi che sono stati espressi.
Una prima
osservazione: purtroppo, l’ottimismo sull’economia italiana manifestato da De
Bortoli è – allo stato attuale – difficile da condividere. Le esportazioni
crescono e i saldi commerciali esteri sono ampiamente positivi, certo. A
riprova che dove c’è domanda, le nostre aziende continuano a essere
competitive. Ma il problema è appunto la carenza di domanda interna – conseguenza dei vincoli
imposti dal “sistema euro” nella sua conformazione attuale.
Il +1,5% previsto
per il PIL reale 2017 implica che permane un delta negativo di circa 100
miliardi (un buco del 6% circa) rispetto ai livelli 2007 – dieci anni fa ! La
disoccupazione è doppia, le persone in povertà assolute triple, la qualità dei
posti di lavoro che si creano è scadente, con ampie e crescenti sacche di
precariato e lavoro a tempo limitato.
Crescite dell’uno
virgola non migliorano il profondo disagio sociale in cui è caduto il nostro
paese. Sono a stento sufficienti a non peggiorare la situazione.
E questo quadro
è in realtà fortemente a rischio di peggiorare. L’establishment politico tedesco (sia il ministro delle finanze uscente
Schaeuble, che Lindner, il leader del partito liberale FDP, probabile
componente della prossima coalizione di governo) preme per un meccanismo di
ristrutturazione automatica dei debiti pubblici dei paesi in difficoltà. Il
costituendo governo olandese è su posizioni simili. E la vigilanza BCE spinge per
accelerare lo smaltimento dei non-performing
loans detenuti dalle banche.
Il rischio è affossare
la debole e insufficiente crescita che in questo momento l’Italia è
faticosamente arrivata a conseguire. La ristrutturazione automatica dei debiti
pubblici, poi, ha forti probabilità di innescare l’uscita dall’Eurozona dei
paesi interessati.
Di fronte a
questi problemi, i CCF sono una soluzione estremamente plausibile.
Il loro valore è
agganciato all’euro, in quanto a partire da una data futura prestabilita sono
utilizzabili illimitatamente per ottenere sconti fiscali. Non possono quindi
verificarsi significative discordanze di valore tra euro e CCF, purché
ovviamente non giungano a utilizzo CCF in quantità prossima alle entrate
pubbliche lorde. In questo caso la perdita di valore sarebbe causata dalla difficoltà
di utilizzare tutti i CCF nell’anno in cui scatta il diritto allo sconto: ma il
problema non sussiste in quanto il progetto prevede un’amplissima copertura
(minimo 5:1, più probabilmente 10:1).
L’innesco di un
“moltiplicatore fiscale” elevato – crescita di PIL superiore ai CCF emessi – è
giustificato dagli attuali livelli di domanda aggregata, fortemente inferiori
alle capacità produttive dell’economia. Ne sono prova proprio l’altissimo
livello di disoccupazione e sottoccupazione, e il PIL reale enormemente
inferiore ai livelli raggiunti una decade (!) fa. Il moltiplicatore fiscale è
alto in contesti del genere (mentre è vicino a zero se le condizioni
dell’economia sono già toniche: in assenza di risorse produttive da mettere al
lavoro, introdurre domanda innalza i prezzi, non le quantità prodotte).
Del resto, una
prova chiarissima dell’alto moltiplicatore in condizioni di depressione
economica l’abbiamo avuta, disgraziatamente, a causa delle azioni di segno
opposto (“consolidamento fiscale”) attuate nel 2011-2012: tredici trimestri di
caduta consecutiva e cinque punti di PIL lasciati sul terreno (nonché un
rapporto debito pubblico lordo / PIL che è salito invece di scendere, a causa
della flessione del denominatore).
Quanto al dubbio
che i CCF in circolazione dovrebbero essere conteggiati come parte del debito
pubblico, trattati e regolamenti UE ed Eurostat sono chiarissimi: debito è solo
quello a fronte del quale lo Stato è impegnato a un pagamento. Il
diritto a conseguire uno sconto d’imposta non lo è, altrimenti per assurdo
dovrebbe essere “debito dello Stato” (un esempio tra molti) la minore imposta
conseguente dal diritto ad ammortizzare un impianto industriale negli anni
futuri di utilizzo.
De Bortoli
commenta che sussiste il rischio di “caos che si scatenerebbe sui criteri di
distribuzione”. Ma qualsiasi azione di politica fiscale (spesa e tassazione) comporta
effetti distributivi: compito degli organi di governo è gestirli, ed è quanto
avviene da sempre – non certo dal momento in cui si introducono i CCF.
Quanto
all’osservazione (sempre di De Bortoli) che “non si riflette a sufficienza
sugli effetti diseducativi di un reddito gratuito”: i CCF non nascono per
questo. L’allocazione è per varie finalità – integrazione di reddito ai
lavoratori, riduzione del cuneo fiscale a vantaggio delle imprese,
finanziamento di investimenti pubblici, spesa sanitaria, pubblica istruzione.
Potere d’acquisto in più, quindi, a chi lavora, o per generare più lavoro. La
critica di De Bortoli ha senso se rivolta a proposte quali il reddito di
cittadinanza del M5S: che è una, ma solo
una, delle tante cose che i CCF possono contribuire a realizzare – e se non
piace, va criticata quella proposta,
non lo strumento.
De Bortoli teme poi
che la manovra “sarebbe percepita come una scorciatoia, una furbizia,
rivelatrice di difficoltà di bilancio ben superiori alla realtà”. Ma le
difficoltà – si è detto sopra – esistono: l’errore imperdonabile è ignorarle. I
paesi del Nord chiedono che venga rigorosamente imposto un tetto massimo ai
debiti pubblici, quelli del Sud (Francia inclusa) hanno invece bisogno di
rilanciare domanda, produzione e occupazione.
La soluzione CCF
riconcilia le due posizioni. Nessuno potrà mai forzare uno Stato a non onorare
l’impegno di accettare CCF. D’altra parte, lo Stato che attuasse il programma
in modo indisciplinato sarebbe punito dallo svilimento di valore dei suoi CCF
(se ne emettesse una quantità che allunga i tempi di utilizzo effettivi) senza
ricadute o rischi sugli altri paesi.
In sintesi:
tetto massimo ai debiti pubblici in misura pari ai livelli attuali, in tutti i
paesi. Ognuno è libero di emettere CCF nazionali, perché non richiedono
garanzie e non implicano rischi per i partner dell’Eurozona. Ogni paese ritrova
le leve d’azione necessarie per riportare domanda, occupazione, attività
economica a livelli tonici.
E l’Eurosistema
ottiene finalmente condizioni di efficienza e di sostenibilità, che oggi non sussistono.
Complimenti, ho trovato il suo articolo in versione inglese su Zero Hedge. Me lo leggerò poi con calma e, visto che posso, in italiano. :)
RispondiEliminaL'interesse mediatico è in crescita; una previsione facile è che lo vedremo aumentare ancora parecchio, da qui alle elezioni...
Eliminaè possibile avere il link ?
Eliminacerto che rispetto ad anni fa l'argomento sta sempre di più suscitando interesse...
link di Zero Hedge
EliminaEccolo http://www.zerohedge.com/news/2017-10-15/italys-parallel-fiscal-currency-all-you-need-know
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