Ho letto solo
qualche giorno fa un articolo pubblicato in effetti ad aprile scorso, su “Scenari
economici”, da Fabio Lugano. Vale la pena di prenderne spunto per chiarire una
volta di più alcuni temi.
L’autore è
scettico sul fatto che un progetto CCF / Moneta Fiscale possa costituire una
soluzione stabile per l’Eurozona, in quanto l’incremento di potere d’acquisto
da essi generato si tradurrebbe – in assenza di un riallineamento valutario –
in squilibri nei saldi commerciali esteri.
Per qualche
ragione che a me sinceramente riesce abbastanza misteriosa, questa obiezione
continua a riaffiorare, nonostante le spiegazioni del caso siano state fornite
non una ma svariate volte: a partire dal primissimo articolo pubblicato ormai
cinque anni fa sul Sole 24Ore, dove per la prima volta ho presentato il
concetto dei Certificati di Credito Fiscale. Articolo che addirittura era
intitolato (un po’ impropriamente in realtà) “Certificati di credito per il
cuneo”.
La proposta infatti
è di emettere CCF non solo per rilanciare la domanda interna ma anche per
abbassare il costo del lavoro effettivo, riducendo il cuneo fiscale a vantaggio
delle aziende (oltre che dei dipendenti). Un mix appropriato di emissioni
consente di espandere la domanda interna mantenendo invariati i saldi
commerciali esteri.
A parte questo,
forse ancora più significativo è un passaggio dove Fabio Lugano afferma che “la
grande differenza tra Minibot e Moneta Fiscale è essenzialmente nel fatto che
il Minibot non teme di chiamarsi “debito”, mentre la Moneta Fiscale e i CCF giocano
su una differenza (??) tra “Passività” e “Debiti””. Secondo l’autore, una
distinzione puramente formale.
Bene, la
distinzione non è formale ma assolutamente di sostanza.
Sul piano
strettamente tecnico-contabile, i CCF non sono in effetti neanche una passività
soggetta a essere registrata a bilancio, come non lo sono i buoni sconti emessi
da un supermercato. Ne avevo spiegato le ragioni qui.
Ma, si dirà, un
CCF comporta comunque un impegno per lo Stato emittente: accettarlo a riduzione
di tasse future. Dove c’è un impegno c’è una responsabilità – in inglese liability. E questa, al di là delle
prassi contabili, e una forma di passività, giusto ? Non per niente nei bilanci
anglosassoni l’attivo e il passivo sono denominati “assets” e “liabilities”,
appunto.
Il punto che
sfugge in questa argomentazione è che anche
la moneta fiat, la moneta sovrana, è una liability. Uno Stato che emette la
propria moneta si impegna ad accettarla. E in effetti la moneta emessa è
contabilmente registrata al passivo dagli enti che la emettono – dalla Federal
Reserve, dalla Bank of England, in generale da tutti gli istituti pubblici che emettono moneta nazionale.
La distinzione
tra “passività” e “debito” non è affatto formale. E’ di enorme sostanza. Ci
sono debiti sui quali rischio di essere forzato all’insolvenza, e ci sono
passività rispetto alle quali l’insolvenza potrà sempre essere evitata, perché
è lo Stato che le emette e che le gestisce.
I CCF da questo
punto di vista equivalgono a una moneta nazionale fiat. L’impegno di accettazione potrà sempre essere onorato,
qualunque sia il comportamento dei mercati finanziari. Non è concepibile un
rischio di default connesso a una crisi dello spread come quella del 2011 per
uno Stato che si finanzia emettendo CCF – così come non è concepibile per uno
Stato che emette la propria moneta (e non è indebitato in moneta estera). E il
motivo è che non c’è obbligo di rimborsare i CCF.
Questo non
implica che si debbano emettere CCF in quantità infinita, così come non si deve
emettere moneta nazionale fiat in
quantità infinita. Oltre certi livelli – ovvero se distribuisco potere d’acquisto
in misura superiore al potenziale produttivo dell’economia – non genero più
produzione e occupazione, ma solo crescita dei prezzi (quindi inflazione a
livelli indesiderati).
Ma il punto
chiave è che la corretta gestione di un programma di rilancio dell’economia sia che avvenga mediante emissione di moneta nazionale
fiat, sia che avvenga mediante emissione di CCF, impone di preoccuparsi dell’inflazione, ma non del rischio di default indotto da
una crisi finanziaria (magari prodotta da fenomeni puramente speculativi).
Rilanciare l’economia
senza mettere in mano ai mercati finanziari nuovi titoli di debito, espressi in
una valuta emessa da terzi, fa una differenza enorme. Altro che “distinzione
puramente formale”…
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