Biagio Bossone / Marco Cattaneo / Massimo Costa / Stefano Sylos Labini
I notevoli
risultati conseguiti da partiti euroscettici quali M5S e Lega nelle recenti
elezioni italiane sono stati attribuiti allo scadente andamento dell’economia
(vedi ad esempio questo recente articolo di Martin Wolf sul Financial Times).
Effettivamente, è
così. A prezzi costanti, il PIL italiano 2017 è stato inferiore di 100 miliardi di euro rispetto al 2007 – un decremento del 5,5% ! Nel medesimo
periodo, le esportazioni sono aumentate del 7,8% - non una prestazione stellare
in dieci anni, ma comunque una chiara indicazione che la causa principale è la
carenza di domanda interna. Se il PIL italiano fosse cresciuto allo stesso
ritmo delle importazioni, oggi sarebbe più elevato del 14% - ovvero 241
miliardi di euro.
Queste situazione
genera un tasso di disoccupazione U-6 (che prende in considerazione anche gli
scoraggiati nonché i lavoratori involontariamente part-time) del 30% circa. E’ fuori discussione che esista un enorme
output gap.
L’economia
italiana sicuramente soffre anche di altri problemi. La crescita della
produttività è irrisoria da vent’anni a questa parte. Ma di nuovo, almeno in
parte questo nasce dalla depressione della domanda. In termini reali, gli investimenti
sono stati inferiori del 18,5% nel 2017 rispetto al 2007. La bassa domanda del
settore privato, le restrizioni alla spesa pubblica, e il basso impiego della
capacità produttiva esistente producono effetti negativi e perduranti su
investimenti e produttività.
Dato che le regole
fiscali impediscono di reflazionare la domanda emettendo debito, e poiché la
politica monetaria non può diventare più accomodante di quanto sia già oggi, è
necessario uno strumento alternativo. La Moneta Fiscale è lo strumento
necessario.
La nostra proposta
è che il governo emetta titoli trasferibili e negoziabili, che i possessori
potranno usare, a partire da due anni dopo l’emissione, per conseguire sconti
fiscali. Questi titoli avranno immediatamente valore in quanto incorporano
diritti certi a risparmi d’imposta futuri, e potranno essere immediatamente
scambiati contro euro o utilizzati come strumenti di pagamento (in parallelo
all’euro) per acquistare beni e servizi.
La Moneta Fiscale
verrebbe assegnata, senza corrispettivo, per integrare i redditi dei
lavoratori, finanziare investimenti pubblici e programmi di spesa sociale, e
ridurre il cuneo fiscale sul lavoro in favore delle aziende. Queste
assegnazioni incrementerebbero la domanda interna e (replicando gli effetti di
una svalutazione del cambio) migliorerebbero la competitività delle aziende. L’output gap verrebbe colmato senza
peggiorare i saldi commerciali esteri del paese.
Va notato che in
base ai principi contabili internazionali, questi titoli fiscali non
costituirebbero debito, in quanto l’emittente non assumerebbe alcun obbligo di
rimborsarli in euro. Sulla base delle regole Eurostat, quindi, verrebbero
trattati come “non-payable deferred tax
assets” e non avrebbero impatti sui conti pubblici fino al loro utilizzo per
conseguire sconti fiscali (cioè due anni dopo l’emissione, quando produzione e
gettito avranno recuperato).
Sulla base di
ipotesi molto prudenziali (moltiplicatore fiscale di 1 e ripresa degli
investimenti privati in misura tale da recuperare metà della caduta rispetto al
2007) l’incremento del PIL produrrebbe gettito fiscale incrementale sufficiente
a compensare gli sconti fiscali. Questi ultimi raggiungerebbero un massimo di
100 miliardi annui, che si confronta con oltre 800 di entrate totali del
settore pubblico italiano. Il rapporto di copertura (cioè le entrate pubbliche
lorde divise per gli sconti fiscali che diventano utilizzabili ogni anno)
sarebbe più che sufficiente per gestire eventuali ammanchi dovuti a future
recessioni.
Abbiamo trovato la
pietra filosofale ? certamente no: in un’economia con un forte sottoutilizzo
delle risorse produttive il moltiplicatore opera prevalentemente sulla
produzione e solo marginalmente sui prezzi. E se le dispersioni esterne sono
sotto controllo (come consentito dal miglioramento di competitività) l’effetto
moltiplicativo è ai massimi. La Moneta Fiscale mobilita risorse inutilizzate,
accelera gli investimenti e spinge le banche a far ripartire il credito.
Attivando un
programma di Moneta Fiscale, l’Italia risolverebbe il suo problema di output gap senza chiedere nulla a
nessuno. Non sarebbero necessarie revisioni dei trattati né trasferimenti
finanziari. Il debito pubblico smetterebbe di incrementarsi e inizierebbe a
declinare in percentuale del PIL, realizzando così gli obiettivi del Fiscal
Compact. Le finanze pubbliche sarebbero sostenibili purché la BCE confermi il “whatever it takes” – impegno che non
avrebbe motivo di rinnegare, data la stabilizzazione del debito italiano.
Se l’Italia
peggiorasse in futuro la sua disciplina fiscale ed emettesse un eccesso di
Moneta Fiscale, solo i riceventi ne verrebbero danneggiati: il valore dello
strumento scenderebbe ma senza impatti sull’euro e senza che si creino rischi
di default. In ogni caso, l’ampiezza
del rapporto di copertura rende questo scenario del tutto improbabile. Inoltre,
è corretto ricordare che l’incapacità italiana di controllare le finanze
pubbliche è un mito. Tra il 1998 e il 2017, l’Italia è stato l’unico paese
dell’Eurozona a non conseguire mai deficit primari di bilancio pubblico salvo
che nel 2009. Casomai l’Italia ha sofferto di un eccesso di contenimento dei deficit pubblici e, di conseguenza, di
una pesante caduta della produzione.
Una forte ripresa
dell’economia italiana (e verosimilmente di altri paesi meridionali
dell’Eurozona, che potrebbero replicare lo schema Moneta Fiscale) è una
precondizione indispensabile per la cooperazione efficace ed armoniosa delle
economie europee. La Moneta Fiscale è lo strumento appropriato per rendere
raggiungibile questo obiettivo.