L’articolo sulla Moneta Fiscale pubblicato alcuni giorni fa da Roberto Perotti su Lavoce.info ha dato luogo a un vivace scambio di
opinioni (vedi il folto numero di commenti).
Penso sia opportuno sintetizzare e approfondire un
aspetto della sua posizione (e fugare, di conseguenza, i dubbi che ne deriverebbero
in merito alla validità della proposta Moneta Fiscale / CCF).
Perotti NON contesta che la Moneta Fiscale non rientri
nel “Maastricht Debt”, che è il debito pubblico rilevante per gli accordi che
governano il funzionamento dell’Eurozona (in particolare, ai fini del Patto di
Stabilità e Crescita e del Fiscal Compact). Al massimo dice cose tipo “sarebbe
da approfondire”, “andrebbe sentita Eurostat”, ma non ha elementi per affermare
che la Moneta Fiscale farebbe parte del Maastricht Debt. E in effetti, la Moneta Fiscale non vi rientra.
Apparentemente, la sua critica alla Moneta Fiscale è
incentrata sul fatto che in ogni caso si tratta, in un modo o nell’altro, di
una passività. E che aumentare le passività in circolazione sia qualcosa di
intrinsecamente negativo, in particolare per l’Italia.
Probabilmente per questa ragione, appare più possibilista
nei confronti dei Minibot proposti da Claudio Borghi, perché i Minibot
trasformano (in titoli circolanti) crediti verso il settore pubblico già esistenti. Al momento della loro
emissione, quindi, le passività delle pubbliche amministrazioni italiane
(definite nel senso più ampio possibile, che non è quello del “Maastricht
Debt”) non variano.
I Minibot nella forma attualmente proposta hanno però una
serie di limitazioni:
UNO, appunto perché trasformano debiti NON compresi nel
Maastricht Debt in titoli utilizzabili per ridurre pagamenti di tasse, nel
momento in cui il diritto alla riduzione fiscale viene utilizzato il Maastricht
Debt (a parità di condizioni) in effetti aumenta.
DUE, quanto sopra non avviene nella misura in cui i
Minibot circolano senza essere utilizzati per ridurre pagamenti di tasse, ma a
priori non è noto a quanto ammonterà l’utilizzo effettivo (e questa è la
ragione per cui io ho proposto, invece, di emettere CCF con due anni di
dilazione tra assegnazione e utilizzabilità per conseguire gli sconti fiscali: per
far sì che la ripresa dell’economia produca entrate fiscali compensative, anche
in caso di utilizzo integrale alla prima data possibile).
TRE, i CCF sono “fiat
money”: li assegni dove ritieni che sia più utile per conseguire, in
particolare, il maggior effetto espansivo su domanda e PIL; i Minibot vanno
invece a chi già detiene crediti, che non necessariamente (anzi) coincide con i
soggetti che hanno la maggiore propensione alla spesa.
En
passant, rimane vero, nonostante tutto quanto sopra, che la
proposta Minibot va nella direzione giusta e che i Minibot possono essere utilmente integrati con i CCF; vedi ulteriori considerazioni qui.
Tornando a Perotti, quello che sembra sfuggirgli è che
una “passività della pubblica amministrazione” non è qualcosa di brutto o di negativo
in quanto tale, e soprattutto non
rappresenta un impoverimento del paese. Al contrario, l’aumento del passivo del
settore pubblico è per definizione un incremento di attivo del settore privato.
Le “passività del settore pubblico” possono essere fonte
di preoccupazione non in astratto, ma in funzione di due circostanze ben
precise.
La prima, se comportano un obbligo di rimborso in una
moneta che la pubblica amministrazione non emette. Qui c’è un rischio legato
all’eventualità che lo Stato emittente non sia in grado di reperire, a
scadenza, la moneta (euro nel nostro caso) necessaria al rimborso (o che lo
possa fare solo a condizioni disastrose). Ed è uno dei fondamentali difetti
d’impostazione del progetto euro: si è convertito un debito in moneta nazionale
in debito in moneta straniera. Si è creato senza alcuna necessità un rischio d'insolvenza.
La seconda nasce se l’incremento delle
passività della pubblica amministrazione mette a disposizione del settore
privato un livello di potere d’acquisto eccessivo rispetto alla capacità
produttiva del sistema economico. In quel caso si genera inflazione a livelli
indesiderati. Ma è un problema che non sussiste quando la domanda è fortemente
depressa e l’inflazione è troppo bassa: come, oggi, è il caso per l’Italia.
Se nelle condizioni attuali l’Italia finanziasse un
maggior livello di deficit pubblico in moneta propria, l’operazione sarebbe
positiva sotto tutti i profili: ripresa della produzione e dell’occupazione, nessuna
inflazione indesiderata, e nessun rischio di credito aggiuntivo. Questo,
nonostante la moneta emessa sia anch’essa una passività del settore pubblico - se
per passività intendiamo “impegno”, “liability”:
lo Stato emittente è infatti impegnato a riconoscere il valore legale della
moneta e ad accettarla per estinguere le obbligazioni finanziarie nei suoi
confronti (in primo luogo, le tasse).
Il punto fondamentale è che il debito in moneta estera
comporta in primo luogo un rischio di credito; il debito in moneta propria (o
il finanziamento monetario diretto del deficit), invece, un rischio
d’inflazione. Sono due tipologie di rischio nettamente diverse e nella situazione odierna dell’Italia preoccupa il primo, NON IL SECONDO.
Per effettuare un’azione espansiva della domanda e uscire
dalla depressione che attanaglia l’economia italiana, evitando di passare
tramite la rottura della moneta unica europea, è necessario immettere potere
d’acquisto nel sistema economico, a beneficio di cittadini e imprese.
I CCF si affiancano all’euro e mettono a disposizione
dello Stato italiano un titolo che pur non essendo moneta legale né unità di
conto (quella rimane l’euro) possiede altre caratteristiche della moneta: è una
riserva di valore e un intermediario di scambio.
Come non esiste un rischio di credito su un’emissione di
moneta, non esiste neanche per il CCF, in quanto non sussiste obbligo di
rimborso.
I due anni di dilazione temporale tra assegnazione dei
CCF e loro utilizzabilità per conseguire gli sconti fiscali permettono di
evitare, sulla base di ipotesi prudenziali (recupero anche solo parziale
dell’enorme output gap di cui soffre
oggi l’economia italiana) che il Maastricht Debt (e quindi i connessi impegni
di rimborso in euro) si incrementi. E questo corrisponde al raggiungimento
dell’obiettivo fondamentale del Fiscal Compact.
Va anche notato che quand’anche non si realizzasse una
perfetta corrispondenza, negli anni futuri, tra maggior gettito fiscale lordo e
utilizzo dei CCF, basterebbe sostenere in CCF e non in euro una piccola parte
degli incrementi futuri di spesa pubblica per gestire le potenziali discrasie. Sono poi possibili varie altre azioni, qui sintetizzate.
Solo se le emissioni di CCF raggiungessero livelli tali
da far sì che in un anno futuro ne giungano a scadenza quantità molto elevate
rispetto agli incassi lordi delle pubbliche amministrazioni, si avrebbe un
rischio di “svilimento” del valore dei CCF, dovuto a un fenomeno di “intasamento
di scadenze”. Ma è un’eventualità remotissima, tenuto conto che il livello
massimo previsto delle scadenze annue è di 100 miliardi, contro incassi lordi
delle pubbliche amministrazioni (già oggi) di 800 circa.
Vale la pena di commentare anche il probabile punto di
vista degli altri stati membri dell’Eurozona. I tedeschi, in particolare, sono
enormemente preoccupati dal rischio d’insolvenza dell’Italia sul suo debito
pubblico. Si rendono conto che l’Italia è too
big too fail, che un suo dissesto finanziario sarebbe disastroso e, in
pratica, inaccettabile. Temono di dover subire enormi esborsi per evitarlo.
Ipotizzano, di conseguenza, meccanismi che dovrebbero
evitare questi esborsi, introducendo sotto certe condizioni la ristrutturazione
automatica dei debiti che non si riescono a rifinanziare sul mercato. Ma è un’idea
totalmente irrealistica: se questi meccanismi venissero adottati il debito
italiano perderebbe valore subito
perché sconterebbe un rischio che oggi il mercato percepisce come modesto. I
tassi d’interesse sui BTP decollerebbero; il meccanismo che dovrebbe rendere “morbida”
la ristrutturazione rischierebbe, al contrario, di produrre un violento dissesto
– e in tempi molto rapidi.
Oggi il mercato non crede a questi scenari perché fa
affidamento sul whatever it takes di
Mario Draghi. Il cui venir meno, con ogni probabilità, implicherebbe la fine – immediata
– dell’euro. Il problema che rende tutti inquieti è: si può mantenere in essere
il whatever it takes a garanzia di un
debito pubblico italiano che continua ad aumentare ?
Da qui derivano le pressioni sull’Italia per mantenere in
essere politiche fiscali restrittive (o addirittura inasprirle) e raggiungere
il pareggio di bilancio. Sventuratamente, tutto ciò impedisce qualsiasi ripresa
economica degna di questo nome e lascia il nostro paese in una situazione di
pesantissimo disagio economico e sociale, senza che si intravedano svolte né a
breve termine né oltre.
Utilizzare CCF per effettuare politiche economiche
espansive permette, al contrario, una forte ripresa e nello stesso tempo blocca
una volta per tutte l’incremento del debito garantito dal whatever it takes. I CCF non comportano impegni di rimborso e non
hanno necessità di essere garantiti dalla BCE. Il loro valore è garantito dall’utilizzabilità
a fini fiscali.
L’emissione di CCF non comporta rischi per i partner dell’Eurozona.
Se l’Italia eccedesse con le emissioni, produrrebbe eccesso di domanda e quindi
inflazione: ma solo qui, non negli altri paesi. E nel momento in cui i CCF
diventano utilizzabili per conseguire sconti fiscali si potrebbe creare l’”intasamento
di scadenze” sopra descritto. Ma lo subirebbero solo gli assegnatari italiani, o chi ha deciso di comprare CCF sul mercato secondario; rischio comunque
assimilabile a una perdita su un investimento in valuta, senza passare da un
evento traumatico come un default.
Quanto sopra, ricordo, si riferisce in ogni caso ad
eventualità remotissime. Oggi il problema dell’economia italiana è una
pesantissima carenza di domanda interna che si accompagna a un’inflazione
troppo bassa, non troppo alta. E come visto il progetto prevede che giungano a
utilizzabilità, nei singoli anni, quantità di CCF pari a una modesta frazione
delle entrate lorde delle pubbliche amministrazioni.
In sintesi e in conclusione: il progetto Moneta Fiscale /
CCF consente di colmare lo spaventoso output
gap che affligge attualmente l’economia italiana
senza creare rischi di credito addizionali
se correttamente gestito (emissioni nella misura
necessaria a recuperare l’output gap,
e non oltre) senza rischi di inflazione indesiderata
senza che debbano essere richiesti trasferimenti finanziari né condivisioni di rischi (ulteriori rispetto al whatever it takes applicato allo stock di debito attuale)
con flessibilità operative molto vicine a quelle che si
avrebbero emettendo moneta nazionale
e tutto questo, senza passare tramite la rottura
dell’euro.
Giuseppe Parrone: Sarà pure vero che con i Minibot il Maastricht Debt in effetti aumenta, ma l'imprenditore che ha un credito nei confronti della PA, sarebbe messo subito nelle condizioni di poter pagare i propri fornitori, e dare tutte le loro spettanze alle maestranze, con grande beneficio nell'aumento dei consumi interni.
RispondiEliminaSì ma se vengono poi subito utilizzati per pagare tasse, il Maastricht Debt aumenta e allora i casi sono due: o te ne freghi, o se vuoi stare nelle regole UE devi tassare / tagliare da qualche altra parte.
EliminaNon condivido due dichiarazioni:
RispondiEliminaAl contrario, l’aumento del passivo del settore pubblico è per definizione un
incremento di attivo del settore privato.
Non necessariamente, l'Italia non e' un econoimia chiusa: il settore pubblico (o privato) di un altro paese puo' cambiare.
L’emissione di CCF non comporta rischi per i partner dell’Eurozona. Se l’Italia
eccedesse con le emissioni, produrrebbe eccesso di domanda e quindi inflazione:
ma solo qui, non negli altri paesi. E nel momento in cui i CCF diventano
utilizzabili per conseguire sconti fiscali si potrebbe creare l’”intasamento di
scadenze” sopra descritto. Ma lo subirebbero solo gli assegnatari italiani, o
chi ha deciso di comprare CCF sul mercato secondario; rischio comunque
assimilabile a una perdita su un investimento in valuta, senza passare da un
evento traumatico come un default.
Questo paragrafo mi sembra molto discutibile: L'inflazione italiana fa parte dell'inflazione europea per cui una piu' alta inflazione in Italia ha effetti sui partner. Inoltre l'idea che un incremento della domanda in Italia non avrebbe effetti al di fuori dell'Italia mi sembra fondamentalmente sbagliato, l'Italia non e' un economia chiusa. Inoltre non capisco proprio come si possa sostenere che vendere un claim sulle mie entrate e' fondamentalmente diverso da un debito normale. Se faccio la cessione del 1/5 dello stipendio (esiste ancora?), non lo considera come un incremento del debito? Se ho un mutuo e successivamnete faccio la cessione dello stipendio, il rischio di credito del mio creditore e' salito. Anzi rischi pure che mi faccia causa se dichiaro che la cessione del salario e' in qualche modo senior.
Se poi uno legge l'idea che i CCF non sono una quantita' fissa, ma che li possiamo aumentare ancora di piu', beh non mi pare molto sorprendenti che i creditori (o i garanti del debito) non saranno esattamente estasiati dalla situazione.
Invece che cercare di trovare loopholes nei patti europei, il governo italiano dovrebbe cercare prima di tutto di evitare un cambiamento nella politica monetaria della ECB. In secondo frangente sarebbe molto meglio cercare di convincere gli stati del Nord Europa ad incrementare la loro spesa fiscale o a cercare di ridurre in qualche modo il loro surplus (che tra l'altro e' pure quello al di fuori dei parametri). Un incremento della loro spesa pubblica e delle loro importazioni avrebbe un effetto equivalente, senza il peccato originale di incrementare il sospetto che si cerchino semplicemente trasferimenti da Nord a Sud.
Sul primo punto: infatti non ho scritto “incremento di attivo del settore privato ITALIANO” ma mi sono fermato a privato :) Il problema non si pone se l’azione espansiva è condotta a saldi commerciali esteri invariati, e questo con il progetto CCF è ottenuto in quanto una parte delle assegnazioni va alle aziende in funzione dei costi di lavoro lordi sostenuti - dando quindi luogo a un immediato recupero di competitività.
EliminaSul tema dell’inflazione: capisco il suo punto in astratto - in concreto, l’inflazione dell’Eurozona oggi è troppo bassa - ce lo dice costantemente la BCE - e l’Italia è sotto la media...
EliminaSul tema che cosa dicono o non dicono i creditori: se lo stock di debito non aumenta più grazie ad azioni che sono impegnato ad effettuare - e che posso effettuare senza effetti depressivi sull’economia - non hanno proprio nulla da dire.
EliminaSul suo ultimo paragrafo, prenda atto di una cosa che è la pura e semplice realtà: NIENTE di quanto lei ipotizza ha la MINIMA possibilità di essere non dico accettato, ma neanche preso in considerazione.
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