Un articolo uscito pochi giorni fa (di Satyajit Das, ex banchiere ed economista indiano emigrato
in Australia) è un esempio tra i tanti di come l’establishment finanziario internazionale vede, generalmente, il
problema del debito.
Già il titolo è
indicativo: “The World Will Pay for Not Dealing With Debt”. Il contenuto si
riassume grosso modo come segue: la crisi finanziaria del 2007-2009 è stata una
conseguenza dell’”eccesso di debito”. E le soluzioni messe in atto
successivamente hanno solo posposto, non risolto il problema.
Anzi, i tassi di
interesse a zero, il Quantitative Easing, la corsa di tanti paesi a indebolire
la propria moneta hanno peggiorato la situazione, inducendo a coprire con nuovo
debito i problemi nati dal vecchio, e spingendo a impiegare le risorse
finanziarie con poca o nessuna considerazione per le ricadute in termini di
crescita e di produttività.
Prima o poi
tutto questo darà luogo a una catena di deleveraging
tramite default o ristrutturazioni, con
conseguenze inquietanti per l’economia reale.
Tra tutte queste
considerazioni, spicca per la sua assenza quella che a mio modesto avviso
dovrebbe essere la più semplice e ovvia. Se c’è “troppo debito” – non è chiaro “troppo”
rispetto a quali parametri, ma comunque se ce n’è “molto” in circolazione – ma nello
stesso tempo l’unico problema che il mondo in questi anni non ha avuto è l’inflazione,
qual è il motivo tecnico o teorico per cui nella misura necessaria questo
debito non possa essere sostituito da qualcosa che debito non è – la moneta ?
L’articolo non
considera e non cita minimamente questa eventualità. Sembra essere un dogma: si
può fare e si può prendere in considerazione di tutto, ma immettere moneta per
sostenere i redditi (specialmente a favore delle classi sociali disagiate), per
ridurre le tasse, per rilanciare gli investimenti pubblici – no, tutto questo
no.
Invece dovrebbe
essere la strada ovvia e naturale, specialmente se le ipotesi alternative
comportano rischi così drammatici come quelli descritti nell’articolo.
Eppure di Helicopter Money aveva ampiamente parlato,
decine d’anni fa, un liberista puro del calibro di Milton Friedman (non solo
economisti ultrapostkeynesiani, quindi).
Eppure anche
dove gli assetti istituzionali hanno portato al massimo grado il principio dell’indipendenza
della Banca Centrale rispetto ai governi, sono concepibili e attuabili
meccanismi che raggiungono gli stessi risultati – come la Moneta Fiscale, ben
nota a chi segue questo blog.
Se il debito
spaventa perché ne esiste “molto” rispetto a redditi e produzione, se l’inflazione
non è il problema (anzi lo è perché, in particolare nell’Eurozona, è troppo
bassa, non viceversa), se molti paesi (tra cui in primo luogo l'Italia) hanno
un'enorme quantità di disoccupazione e di sottoccupazione, le strade da
percorrere sono molto chiare.
Rilancio dell’economia
con un’azione governativa basata su strumenti monetari e non su emissione di
debito. E ripristino di migliori livelli di produzione e soprattutto di
occupazione, con tutti i benefici che ne seguono non solo in termini di
stabilità finanziaria, ma anche e soprattutto di equilibrio e di coesione
sociale.
Problemi, questi
ultimi, che dovrebbero essere ben chiari nella testa dei policymakers, che invece dedicano molto tempo a interrogarsi sulla “crescente
ondata populista” e molto meno a identificarne e a rimuoverne le cause – anche quando
sono ovvie ed evidenti.
L’establishment finanziario (che influenza
fortemente quello politico) tutto ciò si ostina, salvo eccezioni purtroppo
minoritarie, a non volerlo vedere e capire. Il problema è questo, non certo la
mancanza di soluzioni tecniche.