UNO: Impatto
della crisi sanitaria sul PIL 2020 e 2021
Iniziano a
circolare previsioni, ma il grado di alea è molto elevato.
Si parla di
cadute di PIL vicine o superiori al 10% per tutti i principali paesi europei e
per gli USA.
La caduta
dovrebbe essere grosso modo recuperata nel 2021.
L’ipotesi
sottostante è che la situazione attuale duri un paio di mesi, e in un altro
paio si torni gradualmente alla normalità.
Ma ovviamente
c’è molta incertezza sulla durata della crisi sanitaria, dei lockdown e dei blocchi produttivi.
DUE: Reazioni di
governi e banche centrali
Sono state
annunciate e cominciano già a essere attuate forti azioni espansive,
soprattutto in forma di erogazioni ad aziende e cittadini, sospensione di
pagamenti d’imposte, e sostegni al credito.
L’ordine di
grandezza corrisponde alla caduta di PIL prevista per il 2020 –
approssimativamente 10%, come detto.
Si spenderà
anche per il potenziamento delle strutture sanitarie di contrasto alla crisi,
ma al confronto sono cifre modeste. Sarebbe poi sensato, anzi doveroso, un
rilancio degli investimenti pubblici soprattutto (ma non solo) nel settore sanitario.
Questo però è un tema del “dopo”.
La banche
centrali stanno sostanzialmente monetizzando tutto, garantendo l’acquisto dei
titoli di Stato a tassi d’interesse pressoché azzerati e senza limiti temporali
prefissati.
L’eurozona come
di consueto fa parzialmente eccezione per la sua natura di non-Stato, per le
asimmetrie tra paesi e per i vincoli imposti dai trattati all’azione della BCE
(vedi nel seguito).
TRE: Esiste un
rischio di stagflazione ?
La crisi ha
contemporaneamente un impatto restrittivo sia sulla domanda che sull’offerta di
beni e servizi.
Tuttavia
l’effetto maggiore è sulla domanda. Chiusi in casa si spende ben poco. La domanda
di beni di consumo durevoli è praticamente azzerata.
Non si spende
per auto, elettrodomestici, abbigliamento, arredamento, turismo, ristoranti.
Solo alimentari, farmaceutici e poco altro.
Gli investimenti
aziendali sono per lo più “congelati”.
Ci sono tensioni
per l’approvvigionamento di componenti e materiali intermedi da altri paesi, ma
le supply chains verranno riattivate
(probabilmente con maggiore diversificazione e utilizzo di fornitori locali)
via via che si torna alla normalità e la domanda riparte.
L’enorme liquidità
immessa nell’economia rimarrà in circolo anche successivamente, ma compenserà in
effetti la caduta di reddito dovuta alle chiusure produttive e al periodo di
crisi.
Quando si tornerà
alla normalità, non ci sarà quindi una “botta” paurosa di domanda tale da
innescare inflazione incontrollata o comunque eccessiva.
C’è qualche voce
dissonante, ma questa è l’opinione della maggioranza degli economisti, e in
particolare di quelli che operano per conto di banche e istituzioni
finanziarie: non si vede rischio di stagflazione.
E’ un’opinione
confermata dai mercati finanziari: il delta di rendimento tra bond a tasso
fisso e bond indicizzati implica un’inflazione media dell’1% per i prossimi
dieci anni.
QUATTRO: Rischi
di tenuta del sistema euro
L’eurozona è
un’anomalia perché la sua banca centrale non è garante incondizionata del debito
degli stati membri.
I paesi del Nord
hanno già predisposto interventi enormi; il Sud è in difficoltà perché il
mercato finanziario teme la rottura e quindi impone tassi più alti.
La mutualizzazione
dei debiti pubblici continua a incontrare fortissime resistenze da parte di
Germania, Paesi Bassi ecc.
La rottura
dell’euro rimane quindi un evento possibile.
D’altra parte la
mutualizzazione potrebbe non essere mai dichiarata ma eseguita de facto: in pratica, in un modo o
nell’altro, la BCE continua a “lasciar intendere” che manterrà bassi i tassi e
gli spread (il “whatever it takes” di Draghi, anche se Draghi non è più alla BCE).
CINQUE: Posizione
dell’Italia
La domanda
interna era, già prima della crisi sanitaria, fiaccata da anni di austerità.
Se si
accetteranno interventi a fronte di “condizionalità” (impegni di rientro
successivo) ci sono fortissimi rischi di ulteriore deterioramento del tessuto
economico – sociale.
Tecnicamente il
problema è risolvibile con strumenti quali forme di “moneta” parallela (il progetto CCF), ma le difficoltà politiche sono enormi.
Se si arriva
alla rottura, c’è un elevato rischio che sia disordinata (conversione forzata di
debito e conti correnti da euro in nuove lire: in pratica, anche se non
giuridicamente, un default).
A parte le complicazioni
tecniche e legali, comunque, si tratterebbe di un evento tipo “rottura SME 1992”,
dopo la quale l’Italia si è ripresa.
SEI: Scenari
A livello
mondiale il recupero ci sarà senz’altro; molto aleatorio però è stimare la durata
e l’intensità del dip.
A livello Italia,
i rischi sono: ulteriore compressione di domanda interna, consumi,
investimenti; impoverimento della popolazione; degrado di infrastrutture e
welfare; sempre più si diventa un’area economica a basso costo, orientata all’export,
con alta disoccupazione, bassi salari e precariato sempre più diffuso.
Tutto questo non
è inevitabile: ma bisogna passare dal ridisegno oppure dalla rottura dell’euro. Ci sono enormi complessità
tecniche, legali e soprattutto politiche.
Gli effetti possibili
per l’Italia si divaricano tantissimo. Lo scenario positivo non è da escludere,
ma i rischi sono molto elevati.