Spero di
sbagliarmi. Ma ho il fortissimo timore che il titolo di questo post rifletta la
pura e semplice realtà dei fatti.
Non solo perché i
soldi da immettere nell’economia italiana tramite il Recovery Fund saranno del
tutto insufficienti. Forse un 2% del PIL per qualche (pochi) anni.
Non solo perché un
2% del PIL l’Italia lo raccoglie, come si è visto un paio di settimane fa, in
pochi giorni, per esempio con un’emissione di BTP Italia. Senza bisogno del
Recovery Fund.
Non solo perché le
erogazioni sono soggette all’”attuazione di riforme strutturali”, prescritte
dalla UE.
Non solo perché il
giudizio in merito alla loro attuazione è totalmente discrezionale, e in
qualsiasi momento, quindi, le erogazioni potranno essere sospese (mentre i nostri
contributi sono da pagare sull’unghia, senza nemmeno pensare di fiatare).
Ma anche perché nessuno
ha detto quale sarebbe il saldo di bilancio pubblico accettato, escludendo l’impatto
del Recovery Fund.
Mi spiego.
Ante Covid, nel
2019 il deficit pubblico italiano era stato pari all’1,6%. Del tutto
insufficiente a immettere nell’economia quanto necessario a produrre una
ripresa degna di questo nome. Sarebbe servito un 2% in più, almeno. Torna
sempre il 2%, come si vede (lo stesso 2% del MES, tra l’altro).
Adesso, per
prima cosa occorre recuperare le conseguenze economiche della crisi sanitaria.
Facciamo un’ipotesi ottimistica: tra il 2021 e il 2022, viene fatto (ci viene consentito
di fare) quanto necessario a ritornare – nel 2022 – ai livelli del 2019.
Questo vuol dire
essere ai livelli di partenza: che erano livelli di pesantissima e cronica depressione
dell’economia.
Si potrebbe
pensare: OK, da lì in poi il Recovery Fund ci assicura, appunto, quel 2% in più
necessario a uscire dalla depressione.
Ma “in più”
rispetto a cosa ?
Esauriti gli
effetti della crisi sanitaria, il patto di stabilità e crescita rientrerà in
funzione.
E la commissione
UE, nella persona dei vari Dombrovskis & c., non perde occasione di
ripetere che il debito pubblico dovrà tornare su una traiettoria di
contenimento e discesa.
Ci vuol poco a
immaginare, quindi, che la commissione UE “raccomanderà” di ottenere il
pareggio di bilancio, fatto salvo il contributo del Recovery Fund.
“Raccomandazione”
da eseguire sotto pena di sospensione dei contributi, s’intende.
Per cui: il
pareggio di bilancio diventa un’immissione di risorse pari al 2%, decimale più
decimale meno la stessa degli anni pre-Covid.
E l’economia
italiana continua quindi a rimanere nella situazione pre-Covid. Depressione
cronica, alti livelli di disoccupazione e sottoccupazione, fortissimo malessere
sociale.
Ammesso (e
ripeto, è un’ipotesi ottimistica) che almeno l’impatto Covid venga recuperato.
Se no, è molto peggio.
Se tutto va
bene, stiamo come prima, cioè decisamente male. E per di più ancora più di
prima siamo sotto costante minaccia di quanto dicono (con totale
discrezionalità, che implica possibile – e credo, purtroppo, anche probabile –
arbitrarietà) gli eurocrati.
Il Recovery Fund
per noi è pessimo. Ma in realtà non piace a nessuno Stato UE.
A chi pagherà
più di quanto incassa (i nordici) non piace per ovvi motivi.
Germania e
Francia non ne sono certo entusiasti. Anche loro pagheranno più di quanto
incassano. Se lo fanno andare vagamente bene perché data la loro influenza
sulle gerarchie UE, saranno dalla parte dei controllori e non dei controllati.
Ma ne farebbero volentieri a meno.
Il Recovery Fund
piace solo agli eurocrati, perché mette ancora più potere in mano a loro – a una
burocrazia pletorica, incompetente, invadente e vessatoria.
Spero di
sbagliarmi, ripeto. Ma non credo di sbagliarmi.
Credo invece più
probabile – questa è la mia speranza di gran lunga più plausibile – che l’accordo
sui “dettagli” (chi prende, chi paga, chi controlla e come) deragli, e che il
Recovery Fund non decolli.
E che l’Italia
prosegua per conto suo, con quello che realmente serve e risolve.
Ad esempio, e in primo luogo, i CCF.