Leggo sempre con grande interesse gli interventi di Mauro Ammirati su temi economici e sociali. Ci tengo a citare parola per parola, e a commentare, questo suo post, che spiega con chiarezza cristallina quale mistificazione si celi dietro alla retorica dei “sacrifici da suddividere tra la popolazione” per affrontare le conseguenze della crisi economica. Crisi aggravata (perché ovviamente c’era già prima, da molti anni) dal Covid.
E’ un argomento che ho già affrontato diverse volte, questa spero che sia l’ultima, ma, detto tra noi, non sono così fiducioso. Continuo a leggere che i costi dell’attuale crisi devono essere equamente ripartiti, che ognuno sostenga la sua parte di sacrifici, che ci vuole la “solidarietà nazionale”, perciò ognuno rinunci a qualcosa affinché si possa venire incontro alle necessità di tutti. Scoraggiante, davvero. Ciò che avvenne negli anni Settanta non l’ho letto sui libri di storia o di macroeconomia: io c’ero, quei tempi li ho vissuti e ne ricordo i fatti e gli aspetti più importanti. Fu il periodo dell’austerità, delle domeniche a piedi, delle targhe automobilistiche pari e dispari, del riscaldamento razionato e dell’inflazione a due cifre. Mai nessuno, però, che spieghi come si arrivò a quella situazione. Cos’era accaduto ? Che i paesi arabi, diversi dei quali erano (e sono tuttora) produttori di petrolio, avevano perso la guerra del Kippur contro Israele, nel 1973. E pensarono di vendicare quella sconfitta, la quarta in 25 anni, tagliando l’estrazione e la produzione del greggio, provocando l’aumento del prezzo del barile d’oro nero del 400% (non è un errore di battitura, avete letto bene: il 400%). Inevitabilmente, in tutti i paesi industrializzati ci fu un’impennata inflazionistica, c’era il terrore che la produzione e l’offerta di beni reali crollasse e che restassimo senza neppure i beni di prima necessità, così molte famiglie fecero provviste come nei tempi di guerra. Quella crisi c’era davvero, perché il petrolio mancava davvero. Metteteci pure che eravamo nella preistoria dello sfruttamento delle fonti rinnovabili, la capacità produttiva e la tecnologia avevano fatto passi da gigante nei decenni precedenti, ma non c’è paragone con i giorni nostri. Poche famiglie avevano un televisore a colori, molte non avevano manco il telefono fisso, altro che posta certificata e social network. Si fece una politica di austerità perché non si poteva fare altro, dato che nessuna politica espansiva può darti una risorsa naturale, una materia prima che non hai. Allora aveva un senso ripartire equamente e fare i sacrifici. E sebbene non avessimo la capacità produttiva di cui disponiamo oggi, nessuno morì di fame, i beni di prima necessità non mancarono a nessuno, perché l’”economia della scarsità” l’avevamo già superata da un cinquantennio. Lo ripeto: quella crisi c’era davvero, esisteva e mordeva. Questa crisi, invece, in realtà, esiste solo nei computer del ministero dell’Economia e nei modelli degli economisti. Non c’è il minimo rischio che crolli la produzione di beni essenziali, si è solo accentuata una tendenza preesistente alla pandemia, ossia la carenza di domanda. E’ una situazione che si affronta e si supera sostenendo i consumi, il potere d’acquisto delle famiglie, particolarmente, quelle dei lavoratori autonomi la cui attività è danneggiata dalle norme anti Covid. Non troverete mai degli scaffali vuoti nei negozi del XXI secolo, non può succedere. Scusate, ma quali costi dovremmo ripartire ? quali sacrifici dovremmo fare ? Ma quelli che chiedono sacrifici anche per gli statali che rapporto hanno con le sostanze inebrianti e quelle stupefacenti ? Ma possibile che uno vada in televisione, dica una corbelleria e voi gli crediate ? Abbiamo tutti un cervello. Per favore, usiamolo.
Aggiungo da parte mia solo qualche ulteriore chiarimento.
Negli anni Settanta la crisi petrolifera non aveva, in realtà, ridotto la capacità produttiva del sistema economico. Persone e impianti erano sempre quelli. Era invece aumentato drammaticamente il costo di un importante input produttivo, il petrolio.
La conseguenza ? a parità di valore aggiunto prodotto, una parte maggiore andava ai fornitori esteri della materia prima, e una parte minore rimaneva disponibile per i redditi interni al paese – retribuzioni e utili.
Il problema quindi non era di produrre di meno, ma di beneficiare di una parte ridotta dei redditi che si generavano – perché la bolletta petrolifera era salita. In questo senso, per questo motivo, c’era un sacrifico da ripartire.
Durante la crisi petrolifera, nonostante molte oscillazioni a volte anche violente, la produzione e l’occupazione continuarono a crescere. Appunto perché non c’era ragione di produrre di meno: c’era la necessità di consumare di meno a parità di produzione, per pagare il maggior costo delle materie prime. Serviva un meccanismo di razionamento dei consumi, e l’inflazione fu appunto questo meccanismo.
L’inflazione in realtà poteva anche essere evitata, se il governo e la Banca d’Italia non avessero acconsentito a far aumentare la quantità nominale di potere d’acquisto in circolazione. Ci sarebbero state, in quel caso, minori retribuzioni e minori utili delle aziende, ma senza lievitazione dei prezzi dei beni di consumo.
Invece le autorità (non solo in Italia, in effetti in tutti i paesi industrializzati) decisero di immettere maggiore quantità di moneta nell’economia, evitando politiche di tagli e di tasse. Questo salvò il livello nominale di retribuzioni e utili, lasciando che gli effetti della crisi si scaricassero sull’inflazione.
Fu una scelta saggia. Se si fosse percorsa la via della deflazione, alla crisi dovuta alla scarsità di una risorsa reale si sarebbe aggiunto il dissesto del sistema finanziario. Gli effetti sarebbero stati molto più pesanti.
La situazione odierna è completamente diversa. Dalla crisi Lehman del 2008 in poi, soffriamo di una carenza di potere d’acquisto disponibile per far sì che la domanda di beni e servizi reali sia di livello pari alla capacità produttiva del sistema economico. Questo si è aggravato per le scellerate decisioni del 2011: imporre restrizioni fiscali per cercare (inutilmente) di ridurre il livello del debito pubblico in circolazione. Cosa che nessuno sarebbe mai stato in grado d’imporre, se il debito fosse rimasto in moneta nazionale, pienamente garantito dalla potestà di emissione delle istituzioni pubbliche italiane.
Il Covid ha aggiunto un’ulteriore dimensione ai problemi economici del paese. I lockdowns hanno (almeno temporaneamente) ridotto la possibilità di produrre beni e servizi, ma hanno anche ridotto i consumi (chiusi in casa, si spende di meno, specialmente per i prodotti non strettamente essenziali).
Non c’è quindi inflazione. E non ci sono ASSOLUTAMENTE “sacrifici” da imporre o da ripartire. C’è da immettere moneta per sostenere le categorie che subiscono impatti economici dal Covid, per non crear loro ulteriori difficoltà oggi, nonchè per permettergli di evitare insolvenze e chiusure, e di tornare alla piena operatività, quando prima o poi l’emergenza sarà passata.
Se questo non avviene, è solo perché i paesi dell’Eurozona, e in particolare l’Italia, non emettono e non controllano la moneta che utilizzano. Il che crea pesanti limitazioni, condizionamenti, e imposizioni dall’esterno, per tutti i paesi che se il sistema si rompesse (e un sistema disfunzionale è costantemente a rischio di rottura) si troverebbero a scegliere tra il default e la conversione in una moneta nazionale più debole. Non per i paesi dell’area ex marco, che in caso di rottura dell’euro tornerebbero, al contrario, a usare una moneta più forte.
I primi, infatti, in assenza di una garanzia piena e incondizionata della BCE, rischiano di non riuscire a rifinanziare il debito. I secondi no. Nessuno ha problemi a sottoscrivere un bund tedesco, perché se il sistema si rompe il “rischio” è di trovarsi in tasca marchi. Una moneta più forte, non più debole.
La sintesi ? Non c’è nessuna carenza di capacità produttiva. Non c’è la necessità di imporre nessun sacrificio a nessuno. Non ha senso parlare di tagli, tasse, patrimoniali, di che cosa far pagare a chi.
C’è da METTERE soldi in tasca a famiglie e aziende.
Se questo non
avviene, o avviene in misura insufficiente, il motivo è sempre quello: la scellerata decisione, presa venti e più
anni fa dall’Italia, di aderire (senza alcuna necessità o utilità economica) a
un'insensata unione monetaria con paesi la cui moneta era più forte della
nostra.
Marco, ok. Quello che scrivete sempre te ed Ammirati è chiarissimo e secondo me inattaccabile!. Il problema è però come al solito il mainstream che fa da barriera a gente come voi 2, galloni, Malvezzi, Stefano sylos labini, ecc. Come possiamo risolvere questa crisi (sempre che sia corretto utilizzare il termine crisi, in quanto la crisi è la conseguenza, di come te è ammirati avete spiegato nel tuo post, di nn potere emettere più una moneta che possa onorare il debito pubblico. Un nn debito (lira) con un debito vero (euro))?. Utilizzando la moneta fiscale? Tanto di cappello! Magari, io dico! Guardiamo però chi c'è al governo e soprattutto chi c'è al MEF! C'è talmente tanta carenza di domanda interna ( causa aumento della disoccupazione e cassa integrazione) che secondo me i ccf nn circolerebbero 10 volte più dell'euro a livello di velocità (vedi Sardex), ma molto di più! Dobbiamo quindi aspettare marzo 2023, sperando se posso permettermi che questo governo crolli prima, con la speranza che al governo e soprattutto al MEF nn ci sia un uomo filo Bruxelles e che quindi si possono fare i ccf? Arriviamo al discorso exit: molti italiani , nn ottenendo informazioni tecniche su come realmente funziona moneta, debito pubblico ed economia, poiché si informano su TV e giornali, hanno paura dello scenario exit. È vero che la percentuale di italiani pro Ital exit aumenta di GG in GG, ma secondo me nn c'è ancora una consapevolezza di massa di cosa sia Bruxelles/Francoforte. Arrivo al dunque: nn riesco a vedere soluzioni di conseguenza. O implode l'euro e la bella UE per motivi che poi impareremo, altrimenti io sinceramente nn vedo alternative di rinascita dell'Italia e dei paesi limitrofi.
RispondiEliminaGuarda, le dinamiche che porteranno al cambiamento non le so prevedere. Ma un anno prima del crollo del blocco sovietico avrei scommesso 1000 a uno che non poteva succedere. Quindi mai disperare. Nel frattempo fare informazione, sviluppare proposte, aumentare la consapevolezza, con tutti i mezzi possibili.
EliminaDiciamo che se Cina e Usa decidessero di rompere l'UE e l'Euro, questo scomparirebbe in un mese. Bisogna vedere che cosa a loro conviene fare.
EliminaDall'interno non vedo possibilità, a meno che le classi dominanti della Germania, e della Francia dietro, non riterranno un certo giorno che l'euro non fa più i loro interessi. Forse lo decideranno dopo aver spolpato l'Italia. Dall'Italia non arriverà niente, perchè niente è mai arrivato, quando si è trattato di piegare il corso della storia forzosamente secondo fini ad essa più conformi. Forse l'ultimo che lo fece fu Cavour. V'immaginate Salvini o Zingaretti o Draghi che fanno Cavour? Scusate, vado perchè sto sghignazzando.
Statisti del calibro di Cavour in un paese delle dimensioni dell'Italia ne nasce forse uno al secolo. Forse. Metternich diceva "è il più grande politico d'Europa, purtroppo non è dalla nostra parte".
EliminaOk, spero tu ci prenda! Certo, il fare girare l'informazione è la base del possibile cambiamento. Ciao Giò
RispondiEliminaDopo aver creato il covid19 ( che ha messo in ginocchio il mondo ) e averlo fatto scappare da 1 loro laboratorio ( come realisticamente ipotizzato da Le Iene in 1 servizio sul coronavirus) l'impero dei meticci ritardati obesi ameriCANI adesso vuole guadagnarci vendendoci il loro vaccino della casa farmaceutica Pfizer quando potremmo tranquillamente produrlo in Italia... i suoi amichetti USA sono incredibili prima infettano e avvelenano il mondo e poi ti vendono l'antidoto!?
RispondiEliminaLUCA