venerdì 29 ottobre 2021

Cosa penso dell’età pensionabile

 

Quota 100 non verrà rinnovata, ha detto Mario Draghi, e “sia pure gradualmente” si tornerà alla “situazione normale”: che sarebbe, par di capire, la legge Fornero (legge fino a dieci anni fa non era per nulla la “situazione normale”, visto che l’ha introdotta lo scellerato governo Monti, ma transeat).

Data l’attualità del tema, rispondo volentieri a chi (non pochi) mi ha chiesto cosa penso del ripristino dell’età pensionabile a 67 anni (risultato finale del ritorno alla “normalità” della Fornero).

Ne penso una cosa molto semplice. L’età pensionabile in sé non è il punto. Il punto è se il governo metterà in atto (o meno) politiche di pieno impiego.

Lavorare fino a 67 anni, SE (un se molto importante, ovviamente) una persona sta bene di salute, si può.

Quello che non è accettabile è che l’economia venga mantenuta in una condizione di domanda artificialmente compressa e depressa. Perché la depressione economica implica che parecchie persone perdano il lavoro a 50, 55, 60 anni, con scarsissime prospettive di trovarne un altro.

E in queste condizioni non avere né lavoro né pensione è un autentico dramma.

Lo Stato è un grado di immettere nell’economia la quantità di potere d’acquisto adeguata per assicurare il pieno impiego. Poi c’è un tema di allocazione: e se la popolazione invecchia, è sicuramente sostenibile che questa allocazione non possa andare ai pensionati in misura superiore a un determinato livello. Il che implica di far lavorare la popolazione (la parte IN BUONA SALUTE fisica e mentale, s’intende) più a lungo.

Ma di FARLA LAVORARE a condizioni dignitose. Non di creare drammi sociali come i trecentomila esodati di forneriana memoria.

Per cui separare il tema delle pensioni (o qualunque altro tema di politica economica) dal contesto in cui si trova l’Italia da un quarto di secolo (le regole deflattive e depressive dell’Eurosistema) ci porta fuori strada.

Su QUELLE, sulle regole, il governo deve intervenire.

5 commenti:

  1. Pietro Ferrari: mi scusi, ma alla fine non crede che il discorso si riduca ad un bivio tra l'idea che la previdenza si paghi da sé (quindi i sistemi a ripartizione su base retributiva crollano quando vi è squilibrio tra pensionati e occupati optando per la capitalizzazione su base contributiva) e l'idea che invece debba essere finanziata dalla fiscalità generale in quanto non si regge da sé?

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    1. Io la vedo un po' diversamente: prima si porta l'economia al pieno impiego, poi in funzione delle risorse disponibili (che solo a quel punto si possono stimare esattamente) si prende una decisione POLITICA su quante allocarne alle persone non più in grado di lavorare, o per le quali si decide che l'età sia comunque sufficientemente avanzata. La dicotomia contributivo / retributivo IMHO porta fuori strada.

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    2. Concordo!!! del resto è un pò come il contadino che ha mille capi e niente fieno in cascina ... ne tanto meno campi dai quali poterlo (volendo) raccoglierlo ....

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  2. C'è inoltre da aggiungere che il termine di riferimento, non è più la vita MEDIA, bensì la SPERANZA DI VITA, che è tutt'altra cosa. Per fare un paragone comprensibile, è un pò come la famosa carota posta in cima al bastone per l'asino, che si sposta in avanti mano a mano che l'asino (noi) procede.

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    1. Una soluzione potrebbe essere: dato il monte contributi, che numero di pensionati possiamo sostenere a un livello di pensione decoroso ? in funzione di quello determiniamo l'età pensionabile. Però la premessa è che il monte contributi va massimizzato, con politiche di pieno impiego.

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